Passeggiando per il centro storico di Teramo ci si imbatte in uno scenario composito, in cui le costruzioni moderne la fanno da padrone ma, ciononostante, si ha comunque la sensazione di trovarsi in un luogo che ha una sua tradizione, una sua storia. In effetti, anche se non sembra, Teramo di storia ne ha parecchia.
Una storia che affonda le sue radici in un periodo che viene da lontano, dalla Fenicia, un periodo che risale a prima che l’abbraccio totalizzante di Roma modellasse lei e gran parte del mondo allora conosciuto.

Non è rimasto molto di quel passato misterioso: perciò, una buona parte del patrimonio artistico della città si riferisce al periodo in cui Roma la rese una comunità ricca e fiorente, una cittadina che ha continuato ad avere il suo ruolo anche in epoca cristiana, con una tradizione più che millenaria (il primo vescovo teramano attestato risale al VII secolo d.C.). Non stupisce, quindi che, nella nostra camminata nel centro della città, ci si trovi di fronte a chiese e santuari di ogni grandezza.

Poc’anzi si è parlato di quanto poco si conosca del passato preromano della città e della regione. Le poche testimonianze che la terra ha restituito trovano posto nel museo archeologico cittadino, intitolato al grande storico e archeologo teramano Francesco Savini, una struttura fondamentale per la città ma che da anni risulta chiusa. Passando davanti al palazzo che lo ospita, in una delle vie parallele al corso cittadino, non si può fare a meno di notare la malinconia delle porte lignee chiuse e screpolate dalle intemperie. La prima tappa di una passeggiata tra i beni archeologici di Teramo che non sono fruibili non poteva che partire da qui. Qui dentro trovano posto le testimonianze della storia cittadina per un periodo compreso tra il XII secolo a.C. e il VII secolo d.C., stando a quanto dichiarato sul sito web del comune, in un allestimento multipiano. Laconicamente, il sito stesso ci dice che il museo è inagibile a causa degli eventi sismici del 2016. Tuttavia, è recentissima la notizia di un nuovo finanziamento per la sua “riqualificazione” e la “valorizzazione”.

Museo archeologico Francesco Savini

Si cammina ancora, si oltrepassa il duomo. Infilandoci nelle viuzze si arriva al teatro romano: uno scheletro di pietre semisepolto sotto le fondamenta dei palazzi ma ancora in grado di suscitare un fascino antico. Lo si contempla così, da lontano, osservandolo mentre affiora per metà, mentre la mente corre indietro nel tempo, al tempo delle opere di Plauto e Terenzio e di chissà chi altro, agli attori in toga che recitavano in latino, al pubblico seduto tra gli spalti, di cui sopravvivono i sostegni pieni di erbacce, adagiati sulla ghiaia. Questo è forse il sito sfruttato “meglio” della città, se escludiamo gli edifici religiosi: si sono organizzate diverse visite nella parte emersa e ad oggi c’è anche un progetto per riportarlo tutto quanto alla luce. L’amministrazione comunale ha avviato e completato le opere di demolizione di un palazzo disabitato che sorgeva al di sopra di una porzione di teatro. Restiamo in attesa degli scavi esplorativi, anche se tempistiche certe per ora non ce ne sono. In tanti hanno immaginato il teatro romano di Teramo riportato tutto alla luce, reso un vero e proprio museo a cielo aperto; i più ambiziosi, addirittura, lo vedevano già rifunzionalizzato, sede di spettacoli e manifestazioni culturali. Ad oggi, niente di tutto ciò ma quei nastri e quegli attrezzi edili all’interno del sito qualche speranza la alimentano ancora.

Teatro romano di Teramo

A poche decine di metri in linea d’aria, in piazza Sant’Anna, è presente un altro monumento, ingabbiato in una costruzione di vetro. Si tratta dell’antica cattedrale paleocristiana di Santa Maria Aprutiensis, realizzata attorno al VI secolo e costruita al di sopra di una ancora più antica domus romana. Raramente, tuttavia, se ne può ammirare da vicino la bellezza. Infatti, la costruzione di vetro che la circonda, realizzata al fine di proteggere gli scavi, costituisce, purtroppo una barriera che troppe poche volte viene aperta. Non di rado, camminando per questa piazzetta, si scorgono delle piccole comitive di turisti che, con qualche vena di disappunto, cercano di scorgere alcuni dettagli degli scavi attraverso il vetro trasparente. Una consolazione la offre la visita alla adiacente chiesetta di Sant’Anna de’ Pompetti, ricavata da una sezione rimasta in piedi dell’antica cattedrale stessa ma rimane sempre quel senso di incompiutezza, di potenzialità non sfruttata, che si esprime negli sguardi, un po’ disarmati, un po’ compassionevoli, dei lavoratori negli esercizi commerciali della piazzetta o dei passanti che si trovano ad incrociare questi gruppi di visitatori.

Antica cattedrale Santa Maria Aprutiensis sito

Viaggiando verso la fine del centro storico, dopo aver oltrepassato quelle che un tempo erano le mura cittadine, si arriva ad un nuovo sito di scavo, anch’esso chiuso, in Largo Madonna delle Grazie, dal nome del vicino santuario. Si tratta dei resti di una costruzione sul cui ruolo gli storici e gli archeologi hanno a lungo dibattuto. Il primo nucleo di questo complesso risale all’età cesariana o augustea e doveva avere una funzione abitativa. In seguito, a partire dal III secolo dopo Cristo e fino al V, assunse una funzione di tipo industriale o artigianale. Seminascosto tra gli alberi e le auto parcheggiate, appare difficile da identificare come “sito archeologico”, se non fosse per un cartello collocato a metà di una recinzione di ferro, a cui si è di recente aggiunta una rete di plastica da cantiere, uno dei motivi per cui non siamo riusciti a fotografare questo luogo. Ma, forse, non tutti i mali vengono per nuocere, visto che essa serve ad indicare una nuova opera di scavo all’interno del sito, approvata dalla giunta comunale lo scorso aprile. Chissà se anche qui, un giorno, potranno passeggiare dei turisti, magari condotti da una guida. La speranza è l’ultima a morire.

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