L’Europa alla prova: come affrontare le sfide del XXI secolo
L’escalation dei conflitti a livello globale, con la guerra in Ucraina e il conflitto israelo-palestinese in primo piano, rappresenta una sfida cruciale per l’Unione Europea, che è chiamata a dimostrare la sua capacità di agire come mediatore affidabile sulla scena internazionale. Per decenni, l’UE è stata un modello di integrazione economica e politica, promuovendo la pace e la cooperazione tra i suoi Stati membri. Tuttavia, le crisi diplomatiche recenti hanno evidenziato i limiti di questo modello e la capacità dell’Unione di agire in modo coeso e deciso sulla scena internazionale è stata messa a dura prova. La guerra ha reso evidente che l’Europa non è immune dalle tensioni geopolitiche e che la sua sicurezza è strettamente legata a quella dei suoi vicini. In aggiunta, gli eventi recenti legati ai risultati delle elezioni europee, tenutesi all’inizio di giugno, e le successive polemiche, particolarmente in Francia, hanno sollevato importanti interrogativi sul futuro dell’Europa: di fronte allo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e alla convocazione di nuove elezioni legislative, la popolazione francese ha mostrato il proprio crescente sostegno verso partiti politici i quali promuovono la rivendicazione dell’identità nazionale. Questo fenomeno, che si sta manifestando contestualmente in molte altre nazioni europee, concerne l’ascesa al potere di partiti politici, a destra e a sinistra, i quali si fanno portavoce di una tendenza “euroscettica”, incitando all’uscita dall’Unione. L’Europa, pur essendo una potenza globale, sul piano demografico, economico, culturale e tecnologico, si trova a dover ridefinire la propria identità. Nonostante il proprio peso sulla scena politica internazionale, e l’attrattiva che esercita su nuovi membri, l’Unione Europea deve affrontare una profonda riflessione per restare un attore protagonista sulla scena internazionale.
Europa in crisi
L’Unione Europea, un progetto ambizioso nato dalle ceneri di due guerre mondiali, sembra oggi attraversare una profonda crisi di identità. Sempre più cittadini europei, da Atene a Copenaghen, esprimono un crescente scetticismo nei confronti delle istituzioni europee e delle politiche adottate. Ma cosa si cela dietro questo malessere diffuso?
L’Europa, un progetto con confini mutevoli
Per i primi decenni della sua esistenza, l’Unione Europea si è sviluppata con un orizzonte geografico ben definito. Ogni democrazia europea poteva candidarsi all’adesione, ma la presenza del Muro di Berlino fissava un confine orientale chiaro e il Mediterraneo era considerato un limite naturale a sud. Con la caduta del comunismo, la situazione iniziò a cambiare rapidamente e il desiderio di entrare a far parte dell’Unione si fece sentire con forza soprattutto nei Paesi dell’Est, spingendo l’Europa a fissare delle direttive e a imporre ai nuovi stati membri il rispetto di alcuni valori fondamentali quali l’ordinamento democratico, lo stato di diritto, un’economia di mercato funzionante. Tra il 1995 e il 2013, l’Unione europea si allargò notevolmente, passando da 15 a 28 membri. L’ingresso di numerosi Paesi dell’Est, di Cipro, di Malta e della Croazia segnò un momento storico per l’integrazione europea, il cui numero di stati aderenti si assesta attualmente a 27, a seguito delle vicende del Brexit.
Un mosaico di insoddisfazioni
L’allargamento dell’Unione Europea, pur rappresentando un successo storico, ha messo in luce la complessità e la diversità degli interessi, delle tradizioni culturali e delle identità nazionali degli Stati membri. Questa eterogeneità, se da un lato è una ricchezza, dall’altro rende più difficile trovare soluzioni comuni e allineare le politiche su temi cruciali come l’economia, la sicurezza e l’immigrazione portando all’insorgere di correnti di pensiero di dura critica del progetto europeo quale l’euroscetticismo.
Quest’ultimo, lungi dall’essere un fenomeno monolitico, si caratterizza piuttosto come un mosaico di opinioni e posizioni che si sovrappongono e talvolta contraddicono: se da un lato, alcuni stati criticano l’UE a causa del suo eccessivo apparato burocratico e della sua lontananza dai bisogni dei cittadini, dall’altro, si rimprovera spesso all’Europa di essere uno strumento al servizio delle grandi corporation, sacrificando sull’altare del mercato libero gli interessi dei lavoratori e delle piccole imprese.
Dalla Thatcher al Brexit
Le radici dell’euroscetticismo affondano nel passato. La celebre “lady di ferro”, Margaret Thatcher, pur sostenendo il mercato comune, era scettica nei confronti di una sempre maggiore integrazione europea. La sua eredità politica ha influenzato generazioni di politici europei, alimentando dubbi e perplessità sulla costruzione europea. Negli ultimi anni, l’ascesa di partiti euroscettici come il Brexit Party in Inghilterra, il Rassemblement National in Francia e l’AfD in Germania ha ulteriormente rafforzato questo sentimento. Questi movimenti politici, pur con le loro specificità, condividono una critica più o meno marcata al progetto europeo e promuovono politiche nazionali più autonome facendo della difesa della sovranità nazionale il loro baluardo. L’autodeterminazione degli Stati, la tutela delle identità culturali e la critica alle politiche europee, percepite come troppo centralizzate e favorevoli alle grandi imprese, figurano tra i pilastri ideologici di questa corrente. La sicurezza dei confini e il controllo dell’immigrazione completano il quadro, presentandosi come priorità assolute per garantire l’ordine pubblico.
Perché gli europei non si fidano più dell’Europa?
L’euroscetticismo è un fenomeno complesso, alimentato da una moltitudine di fattori politici, economici e sociali le cui cause vanno ben oltre la crisi dell’Eurozona e l’aumento delle migrazioni. Nei paragrafi che seguono tenterò di prendere in considerazione e di illustrare alcune delle ragioni più tangibili della diffusione sempre più ampia di questo fenomeno.
L’UE sotto la lente: una governance complessa
L’euroscetticismo nasce innanzitutto da una critica alla natura stessa dell’Unione Europea e delle sue istituzioni. L’UE è un organismo unico nel suo genere, a metà strada tra una confederazione di Stati e uno Stato federale, all’interno del quale la questione della governance e della leadership interna è un nodo dolente fin dalla sua fondazione. Il potere è infatti diviso tra diverse istituzioni, ognuna recante una missione differente: Il Parlamento europeo, l’unico organo direttamente eletto dai cittadini europei, detiene poteri legislativi. Il Consiglio europeo, composto dai capi di governo degli Stati membri, definisce le direttive e le priorità strategiche dell’UE. La Commissione europea, l’organo esecutivo dell’UE, propone nuove leggi, gestisce i fondi dell’UE e garantisce l’applicazione dei trattati. La BCE è incaricata della politica monetaria dell’eurozona, con l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi.
L’erosione della sovranità nazionale nell’Unione Europea
L’Unione Europea si è posta fin dalle sue origini l’obiettivo di promuovere un’unione sempre più stretta tra i suoi Stati membri, fondata su valori comuni e su una forte coesione economica, sociale e territoriale. Questo progetto, sostenuto dai padri fondatori dell’Europa e dai fautori di un federalismo europeo, è affidato alla tutela della Commissione europea. Per raggiungere questo obiettivo, gli Stati membri hanno progressivamente delegato parte della loro sovranità nazionale a un’entità sovranazionale, senza tuttavia rinunciarvi completamente. Questa cessione di sovranità ha permesso un’integrazione sempre più profonda tra i Paesi membri. Tuttavia, una parte considerevole dell’opinione pubblica, rappresentata dai movimenti euroscettici, ritiene che questo processo di integrazione abbia portato a un indebolimento eccessivo della sovranità nazionale: secondo quest’ultimi, sarebbe opportuno un ritorno, almeno parziale, al primato della sovranità nazionale, o ad una maggiore autonomia delle regioni, a seconda dei casi. Gli euroscettici sostengono infatti che lo Stato nazionale sia l’entità più adatta a definire e attuare le politiche economiche, migratorie, agricole, fiscali e di gestione delle frontiere, ed è proprio sulla scia di questi temi relativi alla sovranità nazionale si sono sviluppati i movimenti euroscettici in diverse nazioni europee quali la Norvegia e la Danimarca.
Europa, tra centro e periferie: il nodo dei fondi e le rivendicazioni regionali
I fondi europei hanno a lungo sostenuto lo sviluppo delle regioni più antiche dell’Unione, ma l’ampliamento e l’adesione al progetto europeo di nuove nazioni ha condotto alla riduzione dei fondi disponibili generando delle tensioni. Paradossalmente, mentre alcuni movimenti regionalisti criticano l’UE e ne reclamano le competenze, altri la vedono come un alleato strategico: ad esempio, la Catalogna, pur puntando all’indipendenza, riconosce i vantaggi economici dell’Unione, mentre altre regioni, come l’Irlanda del Nord, vedono nell’UE un’opportunità per accrescere la propria autonomia, sfruttando un mercato più ampio e competitivo
Il ritorno delle identità nazionali e l’evanescente “identità europea”
Il crescente euroscetticismo in Europa segna un ritorno in auge del dibattito sulle identità nazionali. Nel 2005, il 32% dei francesi che votarono contro la Costituzione europea lo fece proprio perché la considerava una minaccia per l’identità nazionale. Il Brexit è l’esempio più lampante di questo fenomeno: numerosi studi dimostrano che i cittadini britannici non si sentono parte di un’identità europea. L’esistenza stessa di un’identità europea è da decenni oggetto di dibattito. Può essere definita da un territorio comune, da valori condivisi o semplicemente dall’acquisizione della cittadinanza europea? La verità è che il concetto di “identità europea” è più una costruzione politica che una realtà tangibile, forgiata nel tempo da chi ha sostenuto l’integrazione europea. Mentre gli europei comprendono bene i vantaggi economici dell’Unione, l’idea di un’identità europea condivisa resta più astratta e fatica a radicarsi nell’opinione pubblica.
Crisi economica e euroscetticismo: un legame indissolubile?
L’euroscetticismo è spesso alimentato da preoccupazioni economiche e sociali. Le politiche europee hanno puntato fortemente sul liberalismo economico, eliminando le barriere al commercio e rafforzando l’interdipendenza tra gli Stati. Sebbene, da un lato, questo approccio abbia favorito la crescita economica, dall’altro, ha suscitato delle preoccupazioni, dando a buona parte dei cittadini l’impressione che le politiche messe in atto dall’Europa abbiano privilegiato gli interessi delle imprese a scapito dei singoli lavoratori, minacciati dal dumping sociale, ovvero la pratica di produrre beni o fornire servizi a costi più bassi sfruttando la manodopera meno cara e dunque la conseguente delocalizzazione dei posti di lavoro. Questa sentimento si è ulteriormente acuito a seguito della crisi economica del 2008, la quale ha prodotto un’accentuazione delle misure di austerità (imposte dall’ue) al fine di “scavallare” la fase più dura della crisi, tuttavia percepite come inefficaci e ingiuste (in particolare dal punto di vista degli stati economicamente più precari e dunque in posizione svantaggiata). Il generalizzato sentimento di insofferenza di fronte a quello che viene percepito come un fallimento delle scelte in campo economico prese dall’unione europea ha deluso le aspettative di una fetta della popolazione che riponeva la speranza di un miglioramento delle condizioni di vita grazie dell’imposizione del mercato unico.
A seguito delle Primavere Arabe e dei conseguenti conflitti in Siria e Libia, l’Europa si è trovata a fronteggiare un’ondata senza precedenti di arrivi di richiedenti asilo. Questa emergenza ha messo in luce le lacune del sistema europeo di gestione delle migrazioni. L’assenza di una strategia comune tra gli Stati membri ha reso difficile trovare soluzioni efficaci, conseguentemente paesi come la Grecia e l’Italia, in prima linea nell’accoglienza dei migranti, si sono trovati in una situazione particolarmente critica. Per far fronte a questa situazione, l’UE ha rafforzato i controlli alle frontiere esterne, limitando la libertà di movimento all’interno dell’Unione e contravvenendo dunque alcuni dei valori fondamentali dell’unione, tra cui la solidarietà tra le nazioni e il rispetto dei diritti umani. Le difficoltà riscontrate dall’UE nella gestione della crisi migratoria ha alimentato il sentimento euroscettico e offerto un pretesto per la diffusione di una propaganda negativa nei confronti dell’unione, presentata come debole sul tema dell’immigrazione e incapace di proteggere gli interessi nazionali degli stati membri.