“L’economia cinese è il pericolo!” – gridano gli analisti europei e di Washington D.C. – “Gli Stati Uniti d’America sono il male del mondo!” – rispondono la Cina e i paesi dei BRICS (gruppo formato dalle economie emergenti di Brasile, Cina, Russia, India e Cina).
Ma insomma, uno se lo dovrà pur chiedere da dove nasce tutto questo odio reciproco, no? Eppure mettiamo che una persona qualunque faccia una ricerca in merito, cosa trova su Internet? Slogan di una parte e dall’altra, dati economici poco comprensibili, voli pindarici… insomma, se negli anni ’60 tutti capivano perché gli USA e l’Unione Sovietica fossero in contrapposizione fra loro (c’era l’ideologia in mezzo) ad oggi non si capisce quale sarebbe il terreno di scontro fra Cina e Stati Uniti.
Ci siamo presi il compito di riassumere in 10 punti le tappe fondamentali di un rapporto storico, che non inizia sicuramente quando nel 2018 scoppia la Guerra commerciale fra il Governo di Xi Jinping e il Presidente Donald Trump, ma che ha radici molto più antiche, con motivazioni e storie molto particolari.


1. Il XIX Secolo: l’espansione marittima degli USA e il crollo della dinastia Qing in Cina. (1839-1901)

Ve lo avevamo detto che le radici del conflitto sono molto più antiche di quanto ci si potesse aspettare. Ebbene, tutto ha inizio proprio nell’Ottocento, un secolo d’oro per gli Stati Uniti e un secolo buio per la Cina. E qui avviene il primo contatto fra queste due civiltà, ma andiamo a vedere nello specifico.

Partiamo dagli Stati Uniti: per tutto l’800, gli USA ebbero una crescita economica e demografica smisurata. Questo era dovuto a tre fattori: la grande industrializzazione, la colonizzazione del famoso “far West” e la scoperta del petrolio. Ci fu così una grande espansione e produzione di nuove materie prime e tecnologie, cosa che portò alla creazione di nuovi monopoli e all’investimento di grandi capitali. Ad un certo punto, per favorire la circolazione di capitale ed ingrandire il commercio su scala internazionale, gli USA iniziarono una politica marittima in cui espandere la propria posizione economica e militare attraverso le rotte marine.
Fu proprio tra il 1884 ed il 1885 che gli USA cominciarono a potenziare la propria marina militare, su consiglio dell’ammiraglio Alfred Thayer Mahan, che vedeva nel dominio dei mari l’obbiettivo strategico principale degli Stati Uniti. Le due aree che gli USA dovevano cercare di mettere sotto la propria egemonia erano il Golfo del Messico ed il Mar dei Caraibi, due posizioni molto importanti per il commercio internazionale.
C’era però un problema, in particolar modo nei Caraibi: i due paesi più importanti, Cuba e Porto Rico, erano ancora sotto l’egidia della Spagna, in quanto ex colonie dell’impero spagnolo. Cuba in special modo era attraversata da una grande ribellione indipendentista che aveva indebolito il potere degli spagnoli, creando una situazione di cui gli USA seppero approfittare: cominciò così la Guerra ispano-americana del 1898, che vide gli statunitensi sconfiggere gli spagnoli e costruire un protettorato statunitense a Cuba, riuscendo ad occupare anche il Porto Rico e le Filippine. Quest’ultime si trovavano nell’Oceano Pacifico, un’area in cui le potenze europee stavano iniziando ad espandersi, costruendo nuovi domini soprattutto in Cina. Presto gli USA, come vedremo, sarebbero entrati anche loro nel territorio cinese a fianco degli imperi europei.

Abbiamo visto la nascita della potenza statunitense, e adesso vedremo la disfatta di un impero durato secoli.
Il XIX secolo viene chiamato in Cina “secolo dell’umiliazione”, in quanto il paese fu vittima della colonizzazione e del dominio di potenze straniere, nello specifico da paesi europei come il Regno Unito, la Francia e la Germania, e successivamente anche da altre potenze come gli Stati Uniti d’America e l’Impero Russo. Ma come ha fatto la Cina a non reagire davanti questo “assedio”? Bisogna sapere che l’impero cinese era governato durante l’800 dalla dinastia Qing, in un periodo molto complicato per la Cina: vi erano forti dispute territoriali dovute a grandi disuguaglianze sociali e ad una crisi economica a cui il governo non seppe rispondere. Insomma, la Cina era frammentata dall’interno e questo la rese “debole” davanti alle mire imperialiste delle potenze occidentali.
Anche qui dobbiamo andare con ordine: la prima tappa del decadimento cinese è la Prima Guerra dell’oppio del 1839. La Cina infatti stava cercando di bloccare i traffici commerciali della Compagnia delle Indie orientali, guidata dall’Inghilterra, che stava cercando di espandere il commercio dell’oppio nel territorio cinese. La Cina cercò di ribellarsi ma perse miseramente, e fu costretta a firmare il primo di una serie di trattati chiamati “trattati ineguali”, in cui fu costretta ad aprire i propri porti alle potenze commerciali senza che queste pagassero delle tasse e a cedere, nel 1842, Honk Hong all’Impero Britannico. Successivamente a questo disastro internazionale che segnava l’inizio dell’invasione straniera, la Cina fu percorsa da una guerra civile iniziata nel 1851 con la rivolta dei Taiping, un movimento rivoluzionario contadino che cercò di rovesciare il governo dell’impero. Questo ribellione popolare portò a nuovi conflitti con il Regno Unito, che aveva ripreso il commercio di oppio. Da qui nel 1856 scoppiò una Seconda guerra dell’oppio, a cui parteciparono anche la Francia e gli USA a sostegno degli inglesi. Conclusasi nuovamente con la sconfitta della Cina, quest’ultima firmò due trattati nel 1860: il primo è il trattato di Tientsin in cui viene riconosciuto il diritto a UK, Francia, Russia e Stati Uniti di avere una rappresentanza diplomatica a Pechino e di avere nuovi privilegi commerciali, il secondo è la Convenzione di Pechino che diede nuove colonie all’Inghilterra e una parte di Manciuria alla Russia. La Cina stava cedendo sempre più territori e sempre più sovranità alle potenze occidentali, a cui stavolta si aggiungeva anche gli USA, facendo tesoro della loro posizione nell’Oceano Pacifico di cui abbiamo parlato prima.
Purtroppo le guerre non si conclusero, ma peggiorarono: ne scoppiò una contro la Francia fra il 1884 ed il 1885 per la conquista del Vietnam, e una fra il 1894 ed il 1895 contro il Giappone (entrato anch’esso nel novero delle potenze “occidentali” con la Restaurazione Meji, periodo in cui l’impero giapponese rivoluzionò il proprio sistema adattandolo all’economia e agli usi occidentali) per controllare la Corea. Entrambe le guerre videro la Cina sconfitta, non solo sul piano politico e territoriale, ma anche sul piano morale. Da questi eventi iniziò nel 1899 fino al 1901 la ribellione dei Boxer, un movimento popolare che combatteva il colonialismo occidentale, si opponeva ai trattati ineguali e chiedeva un nuovo sistema politico. Ma la reazione occidentale non si fece aspettare. Si creò l’Alleanza delle otto potenze, che vide il coinvolgimento anche del Regno d’Italia e dell’Impero Austro-Ungarico. La Cina fu completamente distrutta dall’avanzata militare dell’Occidente, diventando a tutti gli effetti una “terra di nessuno”, in cui ogni potenza straniera possedeva un pezzo della sovranità cinese.

La domanda nasce spontanea: ma che c’entrano cose avvenute 200 anni fa con ciò che sta succedendo adesso? Se vogliamo capire perché la Cina ha sviluppato un certo tipo di alleanze nel tempo e perché spesso ha sottolineato un senso di rivalsa nei confronti dell’Occidente, e se vogliamo capire perché gli USA hanno sempre assunto il ruolo di potenza mondiale influente nel mondo, le risposte vanno trovate nel passato.
Le cose non nascono mai nel momento in cui queste accadono: ciò che noi vediamo accadere non è altro che il risultato finale di qualcosa che è nato in realtà tanto tempo fa, in un modo molto complesso. Ma adesso facciamo un salto temporale, e arriviamo nel periodo delle due guerre mondiali.

2. Le due guerre mondiali: la Cina di Mao Tse-Tung e la Dottrina Truman. (1911-1949)

In Cina soffia vento di cambiamento. La Rivoluzione del 1911 con cui venne creata Repubblica Cinese, che mise fine all’esperienza imperiale. Ma la Cina continuò ad essere pervasa da problemi interni, specificatamente da una serie di conflitti con i cosiddetti “Signori della guerra”, capi militari che possedevano alcune aree del paese. Fu con la guida del Kuomintang (il Partito Nazionalista) di Chiang Kai-Shek che nel 1928 la Cina riuscì ad essere riunificata totalmente sotto la guida di un partito unico, eliminando i signori della guerra e riuscendo a trattare con le potenze internazionali.

Negli USA, invece, la presidenza di Woodrow Wilson aveva segnato un cambio di rotta nella politica estera: l’obbiettivo non era più il controllo marittimo dell’Asia, ma le mire imperialiste si spostarono sempre di più verso i paesi del centro e del sud America. D’altra parte, fino al 1917, Wilson mantenne neutrale gli USA rispetto alla guerra che si stava combattendo in Europa. Tuttavia l’uscita dal conflitto della Russia, che stava attraversando il periodo della Rivoluzione bolscevica, e l’espansione navale della Germania, diedero a Wilson una motivazione per entrare nel conflitto. Subito dopo la guerra, fu lui stesso a promuovere la Società delle Nazioni (una proto-ONU) ed il ricorso alla diplomazia e alla cooperazione come strumenti per evitare le guerre. In questo caso, gli USA avrebbero avuto un ruolo molto importante per garantire la pace a livello internazionale.

E così dopo questa breve parentesi arriviamo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dove gli equilibri mondiali che si sarebbero creati avrebbero cambiato per sempre la storia dell’umanità.
Sia la Cina che gli USA uscivano vincitori dal conflitto mondiale, nonostante entrarono in guerra per motivi differenti ma simili: gli USA, come sappiamo, per l’attacco a Pearl Harbour da parte dei giapponesi, e la Cina per l’invasione della Manciuria sempre da parte dell’impero giapponese. Dal 1941 al 1945 la Cina (al tempo governata dai nazionalisti) fu appoggiata dagli statunitensi e dall’URSS, uscendone vittoriosa. Dopo la guerra, con la creazione dell’ONU, sia Cina che gli USA ebbero un posto all’interno del Consiglio Permanente.
Ma a questo punto, quali erano gli obbiettivi esteri degli USA? Si aprì un dibattito politico-accademico all’interno degli Stati Uniti: da una parte, vi era una scuola liberale che vedeva il futuro delle relazioni internazionali basate sull’economia e sulla cooperazione, in modo da poter “esportare” i valori democratici e liberali senza l’uso di armi, dall’altra una scuola realista, in cui gli USA avevano bisogno di prendere nuovi punti strategici per fermare l’avanzata socialista, in particolare bisognava rafforzare la posizione in Europa e riprendere controllo delle coste dell’Asia. Quest’ultima scuola venne presa in considerazione data la situazione politica del “vecchio continente” e la nuova situazione che si prospettava in Asia.

Buona parte dell’Europa, in cui gli USA avevano cominciato ad espandere la propria influenza grazie alla creazione della NATO e agli aiuti del piano Marshall, era governata da stati socialisti. L’Unione Sovietica era talmente grande che riusciva a toccare i paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia) ed alcuni paesi dell’Europa dell’est (Ucraina, Moldavia); l’Europa centrale era attraversata dalla Repubblica Democratica Tedesca, dalla Repubblica Popolare di Polonia e dalla Cecoslovacchia; l’Europa dell’est era formata dalla Jugoslavia di Tito (che non si alleò mai con l’Unione Sovietica), l’Ungheria, l’Albania e la Romania. Insomma, i paesi del Patto di Varsavia erano in maggioranza schiacciante rispetto agli USA e ai restanti stati liberali, che erano soltanto Italia, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Repubblica Federale Tedesca e Regno Unito (la Spagna ed il Portogallo erano ancora sotto la dittatura fascista). Da un punto di vista geopolitico, gli USA e la NATO sarebbero potuti essere schiacciati dall’alleanza dei paesi socialisti e vi era bisogno di difendersi: nacque così la Dottrina Truman, nata dal Presidente Harry Truman, in cui gli USA si impegnavano a lottare contro le rivoluzioni comuniste che sarebbero potute scoppiare nel mondo. E qui l’Asia giocava un ruolo fondamentale: l’influenza dell’URSS arrivò anche nei paesi dell’Oriente, che divenne il teatro della Guerra Fredda.

E a proposito di Asia, dove gli USA volevano tornare ad avere un’influenza, fu proprio la Cina il primo atto (o meglio il prologo) della Guerra Fredda.
Dopo la guerra con il Giappone, la Cina era divisa in due schieramenti netti: da una parte il Partito Nazionalista, che era appoggiato dagli USA, e dall’altra il Partito Comunista Cinese guidato da Mao Tse-Tung, appoggiato dall’URSS. Nel 1946 si cercò, attraverso la diplomazia statunitense, di creare un governo unitario in cui sia i nazionalisti che i comunisti potessero avere una rappresentanza. Ma entrambi gli schieramenti si stavano già organizzando militarmente, e la tregua finì nel 1947 con lo scoppio della guerra civile. USA ed URSS continuarono le loro alleanze rispettivamente con i nazionalisti e i comunisti di Mao, e la guerra si concluse il 1 ottobre del 1949 con la vittoria dell’Esercito di Liberazione Popolare e la creazione della Repubblica Popolare Cinese. I nazionalisti si ripararono sull’isola di Taiwan, creando l’attuale stato che tutt’ora non è riconosciuto né dalla Cina né da una grande parte della Comunità internazionale.
Gli USA non vollero continuare l’alleanza con i nazionalisti taiwanesi, ma sapevano che la Cina sarebbe diventato un nuovo ostacolo all’egemonia occidentale in Oriente. Non a caso l’esperienza cinese influenzò i partiti comunisti di Corea e Vietnam, dando inizio alle famose guerre che videro gli USA intervenire direttamente con risultati sconfortanti, riuscendo ad ottenere un “pezzo” di influenza solo in Corea del Sud.

3. La distensione: la politica estera di Henry Kissinger e la crisi sino-sovietica. (1953-1972)

Negli anni ’60 inizia a crearsi una triade di rapporti fra USA, Unione Sovietica e Cina che, come vedremo fra poco, si influenzeranno a vicenda.

Dopo la Guerra di Corea, conclusasi nel 1953 “senza vincitori né vinti” ma con la divisione del paese in Corea del Nord, governata dai socialisti, e in Corea del Sud, con un governo liberale appoggiato dagli USA, l’amministrazione americana guidata da Dwight D. Eisenhower decise di adottare degli approcci di politica estera che continuavano la Dottrina Truman, ma in una chiave più diplomatica: furono fondate due organizzazioni internazionali in grado di fronteggiare l’espansione comunista sia in Asia che in Medio Oriente. Quest’ultimo, dall’inizio degli anni ’50, aveva visto lo sviluppo di una nuova ideologia, il pan-arabismo, che cercava di riunire religiosamente e politicamente gli stati arabi sotto l’influenza del socialismo e dell’Islam in chiave anti-occidentale. Il primo esempio di socialismo arabo fu proprio il governo di Gamal Abd el-Nasser in Egitto, che fu d’ispirazione per i futuri governi socialisti che si crearono negli anni ’60 in Libia, Iraq e Siria.
Per fronteggiare l’avanzata di un possibile coinvolgimento sovietico, in Medio Oriente fu fondata nel 1955 la CENTO (Central Treaty Organization) detto anche Patto di Baghdad, composta da USA, Regno Unito, Turchia, Iraq, Iran e Pakistan. In Asia invece venne creata nel 1956 la SEATO (South East Asia Treaty Organization) composta da USA, Australia, Filippine, Francia, Nuova Zelanda, Thailandia, Pakistan e Regno Unito.

Mentre gli USA “stabilizzavano” la loro posizione in Asia ed in Medio Oriente, l’URSS nel 1953 fu sconvolta dalla morte di Stalin. Il cambiamento si trovò dietro l’angolo, quando durante il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Nikita Krusciov (nuovo segretario) denunciò i crimini del regime stalinista iniziando un processo di destalinizzazione dell’URSS. A questo seguì anche una nuova politica estera con gli USA incentrata sul tema della “coesistenza pacifica”: secondo Krusciov vi era la necessità di evitare il conflitto armato diretto e che la battaglia per l’egemonia mondiale doveva basarsi sulle relazioni economiche. Tale politica ebbe inizio con Eisenhower, ma con l’elezione di Kennedy tale rapporto venne “bloccato”.
Kennedy era un duro sostenitore del “rollback”, ovvero dell’intervento diretto contro l’espansione del comunismo. Iniziò tale politica con l’invasione della Baia dei Porci a Cuba nel 1961, per deporre Fidel Castro. Tale tentativo fallì, ed in risposta al mancato colpo di Stato, in un’ottica di deterrenza, Krusciov fece costruire delle basi missilistiche a Cuba per evitare la conquista degli USA. Nel 1962 esplose la crisi, considerato come il periodo più buio della Guerra Fredda, che si concluse con un patto segreto in cui Krusciov rinunciava alla costruzione di basi missilistiche e gli USA si impegnavano a non influenzare la politica cubana.

Ma come reagiva a tutto questo la Cina? Fra il 1958 ed il 1961, Mao cominciò una serie di riforme che andavano a creare la politica del “Grande balzo in avanti”, ovvero la modernizzazione dell’agricoltura e dell’industria cinese. Se da una parte questo portò grandi vantaggi tecnologici e un primo impatto economico positivo, in un secondo momento le conseguenze furono disastrose a causa della carestia che dovette affrontare il Paese. L’apparato ideologico di Mao continuava però imperterrito a mostrare la Cina come un paradiso del socialismo.
Allo stesso tempo Krusciov, che era già stato criticato da Mao per le sue critiche a Stalin, denunciò le sue politiche non considerandole marxiste. A questo punto, nel 1961, visto anche i rapporti che l’URSS stava avendo con gli Stati Uniti, Mao decise di rompere le relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica e si allontanò dalla nuova ideologia di Krusciov, definita revisionista. A questo punto si darà inizio alla Crisi sino-sovietica, creando una spaccatura nel movimento comunista internazionale: da una parte ci saranno gli stati europei fedeli alla linea sovietica, dall’altra si comincerà a creare una certa autonomia ideologica dei paesi arabi e dall’altra la Cina avrà una grande influenza nei partiti comunisti orientali, tant’è che successivamente avrebbe appoggiato Ho Chi Minh nella Guerra in Vietnam contro gli USA.

Nel 1969 le cose cambiano. Arriva alla presidenza Richard Nixon che nomina come Segretario di Stato Henry Kissinger, teorico della “distensione”. Kissinger era convinto che per garantire un sistema internazionale stabile vi era bisogno di un’equilibrio di forze, raggiungibile con l’uso della diplomazia. Quest’ultima sarebbe servita, nel lungo periodo, a far adattare le forze “rivoluzionarie” alle leggi vigenti del sistema internazionale, inglobandole di fatto e neutralizzandole. Un altro elemento strategico era anche scegliere con chi avere un rapporto diplomatico: tessere relazioni con Stati vicini all’URSS ma in crisi avrebbe aiutato la caduta del sistema socialista. Fu proprio in questo spirito che Kissinger e Nixon riuscirono ad instaurare delle relazioni diplomatiche fra Cina e USA, cercando di portare la Cina nella sfera di influenza occidentale. I rapporti diplomatici portarono ad una posizione migliore la Cina di Mao: infatti fu dato alla Repubblica Popolare Cinese il seggio nel Consiglio permanente dell’ONU che prima era della Repubblica Cinese (Taiwan), riconoscendo così la Cina socialista come unica entità cinese. La Cina, resasi conto che non poteva inimicarsi anche gli USA visto il rapporto di crisi con l’Unione Sovietica, riconobbe la presenza statunitense nel Pacifico e iniziò un rapporto di coesistenza con la SEATO.

4. Il contenimento: la Dottrina Carter e la riforma di Deng Xiaoping. (1977-1980)

Con l’elezione nel 1977 del democratico Jimmy Carter alla Presidenza degli Stati Uniti, e la nomina a consigliere per la sicurezza nazionale a Zbigniew Brzezinski, la politica estera statunitense cambiò radicalmente a causa di due eventi: la Rivoluzione islamica in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979.

Tali eventi, che coinvolgevano entrambi l’area del golfo persico, avevano minato l’influenza statunitense in Medio Oriente che era già stata messa in discussione negli anni ’60 con l’espansione del socialismo arabo. L’Afghanistan e l’Iran erano gli unici due Stati allineati alla politica statunitense: il primo nel 1973 era diventato uno stato repubblicano con un colpo di Stato organizzato da Mohammed Daud Khan, che cercò di modernizzare il paese con l’aiuto degli statunitensi, il secondo invece aveva sviluppato fin dagli anni ’50 un forte senso anti-statunitense. Questo perché nel 1953 USA e Regno Unito organizzarono un colpo di Stato con cui fu deposto il primo ministro Mohammad Mossadeq, che aveva da poco nazionalizzato la produzione del petrolio togliendo il controllo agli statunitensi e agli inglesi. Con l’operazione Ajax, Mossadeq fu deposto e venne reintegrata la monarchia autocratica di Pahlavi, garantendo appoggio all’Occidente ed entrando nella CENTO. Da quell’episodio il popolo iraniano, che aveva subito da tempo la dittatura di Pahlavi, cominciò sempre di più a radicalizzarsi e trovò nell’Islam una via di liberazione politica, in particolare nel pensiero dell’Ayatollah Ruhollah Khomeyni, esiliato dall’Iran nel 1963 per aver criticato il governo monarchico.
Fra il 1978 ed il 1979, il popolo iniziò a manifestare contro il governo, e Khomeyni ne approfittò per tornare in Iran e guidare la ribellione. Così facendo riuscì a rovesciare il governo di Pahlavi ed instaurare una repubblica islamica. Esattamente nello stesso periodo l’Afghanistan era diventato una repubblica socialista legata all’Unione Sovietica, guidata dal leader del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan Taraki, che un anno dopo sarebbe stato ucciso per una lotta intestina per il potere all’interno del governo afgano. A questo punto entra in gioco l’Unione Sovietica.
L’URSS era guidata da Leonid Breznev, che aveva inaugurato una politica estera aggressiva chiamata Dottrina Breznev, in cui l’Unione Sovietica aveva il diritto di intervenire in tutti i paesi socialisti sotto la propria influenza che avrebbero sviluppato movimenti reazionari nei confronti del socialismo. La prima applicazione della dottrina avvenne nel 1968 con la Primavera di Praga, in cui l’esercito sovietico invase la Cecoslovacchia per destituire il Presidente Alexander Dubcek. La seconda applicazione avvenne proprio nel 1979 alla morte di Taraki e alla richiesta stessa del popolo afgano di intervenire per ristabilire la situazione.

La risposta degli USA non si fece attendere. Brzezinski aveva ideato la teoria del contenimento, ovvero delle azioni indirettamente aggressive per isolare l’Unione Sovietica e creare “terra bruciata”. Tali azioni erano per lo più sostegno militare e politico a tutti quei movimenti e stati ribelli all’URSS e al sistema socialista, e l’intervento statunitense avrebbe accellerato il processo di regime change. La teoria del contenimento fu resa ufficiale con la Dottrina Carter nel 1980, secondo la quale gli USA sarebbero intervenuti militarmente nel golfo persico nel momento in cui qualsiasi stato avrebbe cercato di controllare quella zona. Così facendo i rapporti con l’URSS si “congelarono” di nuovo, e portò a due eventi: il primo, l’intervento statunitense in Afghanistan con il sostegno dei mujahedin, un gruppo armato di fondamentalisti islamici anti-comunisti (dal quale gruppo sarebbe nato poi al-Qaeda), ed il secondo, di portata mondiale, con il boicottaggio delle Olimpiadi del 1980 a Mosca.

E qual era nel frattempo la posizione della Cina davanti al congelamento dei rapporti fra USA e Unione Sovietica?
Partiamo dalla politica interna: dopo la morte di Mao nel 1976, coincidente con la fine della Rivoluzione culturale, un periodo iniziato nel 1966 in cui Mao cercò di riformare il Partito Comunista Cinese epurando tutti i dissidenti e iniziando una campagna violenta nei confronti dei critici del partito, Mao venne succeduto da Hua Guofeng, continuando la politica maoista. Nel 1977 un ex membro del Partito espulso da Mao per le sue posizioni di “destra”, Deng Xiaoping, venne reintegrato e nel 1978, grazie all’appoggio di alcuni membri del partito, divenne leader supremo della Cina.
Il periodo Deng cambiò radicalmente il sistema cinese, sia politicamente che economicamente: Deng iniziò una politica conosciuta come “Boluan Fanzheng”, letteralmente “riordine del caos”, in cui eliminò tutte le politiche della Rivoluzione culturale, ed iniziò il programma di “Riforma e apertura”. Ispirato dai successi economici di Singapore, che con la Presidenza di Lee Kuan Yew era riuscita a diventare una piccola potenza economica, Deng iniziò un processo di liberalizzazione e di apertura graduale verso il capitalismo, mantenendo fede comunque all’ideologia comunista. Nacque così il “socialismo con caratteristiche cinesi”, che di fatto avrebbe creato un sistema misto fra socialismo e politiche liberiste. Nei primi anni 80′ Deng creò delle zone economiche speciali in cui poter fare investire aziende estere, aprì il commercio marino ed investì sulla tecnologia ed informatica, facendo diventare la Cina un leader nel settore.
Il periodo di riforma cinese portò la Cina ad una crescita economica smisurata, più del 6% del PIL all’anno, riuscendo a diventare con gli anni una potenza economica mondiale e il più grande esportatore ed importatore di merci.
I rapporti diplomatici con gli USA si stabilizzarono una volta per tutte: Deng fu il primo presidente cinese a visitare Washington D.C., e sostenne gli USA anche nella loro politica estera. Sostenne infatti il loro intervento in Afghanistan e fu fra le nazioni che boicottarono le Olimpiadi di Mosca. Per tutti gli anni ’90 e 2000 i rapporti fra USA e Cina saranno pacifici, per non dire collaborativi. La Cina era considerata ormai al pari di uno Stato occidentale, vista anche la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il crollo del blocco socialista in Europa.

5. Il nuovo millennio: la Dottrina Bush ed il “sogno cinese” di Xi Jinping. (1991-2016)

Fra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, gli Stati Uniti d’America si pongono l’obbiettivo di essere garanti della democrazia e della libertà nel mondo. Ciò è dovuto ad una serie di fattori.

Il primo, la fine della Guerra Fredda che si concluse de facto con la sconfitta del socialismo in Europa ed Unione Sovietica e l’espansione della democrazia liberale.
Il secondo era dovuto all’influenza del pensiero neoconservatore nelle istituzioni statunitensi, rappresentato in particolar modo dal politologo Francis Fukuyama, che creò la teoria della “Fine della storia”. Secondo Fukuyama, con la fine del socialismo e la vittoria della democrazia, lo sviluppo della civiltà era finito e la democrazia si sarebbe sviluppata progressivamente in tutto il mondo con il sistema capitalista. Garante, secondo lui, di questo ordine internazionale dovevano essere gli USA, rappresentanti dei valori democratici.
Il terzo fattore era la vittoria statunitense durante la Prima Guerra del Golfo, che aveva modo di rappresentare gli USA come una forza di pace e portatrice di democrazia. La guerra scoppiò con l’invasione illegale del Kuwait da parte di Saddam Hussein, Presidente dell’Iraq, con l’accusa rivolta al Kuwait di aver rubato alcune riserve petrolifere alla nazione irachena. Gli USA, guidati da George H.W. Bush e riesumando la Dottrina Carter che gli conferiva l’intervento nel golfo persico, con l’autorizzazione dell’ONU ricevette l’incarico di attaccare l’Iraq e difendere il Kuwait dall’invasione. L’operazione Desert Storm fu un successo a livello internazionale, con l’inizio di quello che il Presidente Bush avrebbe chiamato “Nuovo ordine mondiale”: gli USA dovevano essere i difensori della democrazia e aiutare tutti quei paesi, specialmente in Medio Oriente, che volevano abbattere le dittature.

Il ruolo estero degli USA divenne sempre più radicale con l’11 settembre 2001. Con la presidenza del figlio di Bush Sr., George W. Bush, si creò la Dottrina Bush consistente nell’intervento militare preventivo degli USA ogni qualvolta che nel mondo ci fosse stato un regime change o un rischio di dittatura. Così facendo venne coniata la famose frase “esportazione di democrazia”. Nel mondo si creò un nuovo bipolarismo: da una parte gli USA, portatori di democrazia, e dall’altra i terroristi islamici, che furono accusati di essere alleati anche a tutti quegli stati arabi (chiamati Stati canaglia) che non avevano un regime democratico. Gli USA cercavano di riprendere il Medio Oriente sotto la loro influenza, e nel 2002 iniziò la Seconda Guerra del Golfo, che venne criticata duramente da tutto il mondo occidentale. L’obbiettivo, che doveva essere quello di combattere al-Qaeda, responsabile dell’11 settembre, diventò successivamente una guerra illegale contro Saddam Hussein. Non fu data alcuna autorizzazione né nell’attaccare l’Afghanistan (obbiettivo principale in cui stava al-Qaeda) né l’Iraq. Ma le giustificazioni della Dottrina Bush e l’accusa a Saddam Hussein di essere complice con i terroristi e di avere armi di distruzione di massa (entrambe si rivelarono false) furono abbastanza potenti da coinvolgere anche il resto degli stati occidentali con la creazione della Coalizione multinazionale in Iraq.
Dopo l’intervento militare occidentale, Afghanistan ed Iraq rimasero in una posizione politica sempre destabilizzante. Con l’arrivo successivamente delle primavere arabe nel 2011, e l’elezione del Presidente Barack Obama, il legame della Dottrina Bush fra guerra al terrorismo e deposizione delle dittature si fece sempre più presente.

Anche in Oriente le situazioni stavano cominciando a cambiare: la Russia, guidata da Vladimir Putin, riuscì a superare la crisi economica provocata nel 1991 dalla fine dell’URSS iniziando un grande periodo di crescita, l’India dopo le aperture del mercato straniero degli anni ’90 riesce (sulla linea della Cina) ad aumentare il proprio PIL. Questa situazione avrebbe portato nel 2009 alla creazione dei BRICS, un gruppo di Stati con grande sviluppo economico che condividevano politiche comuni composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.
La Cina in particolare, nel 2012, attraversa un grande cambiamento politico. Diventa presidente Xi Jinping (attuale presidente), che inaugura una nuova politica per la Cina. Dagli anni ’90 fino ad allora, il paese era sempre rimasto nell’ “ombra” a livello internazionale: aveva ottimi rapporti con l’Occidente e faceva parte delle grandi organizzazioni economiche internazionali, ma non aveva mai provato ad espandere i suoi interessi. Tutto questo cambiò con Xi Jinping, influenzato dal pensiero del suo futuro consigliere, Wang Huning. Huning è un esperto di relazioni internazionali che col tempo ha saputo sviluppare una forte critica dei passati governi cinesi, in particolar modo in relazione al loro rapporto con gli USA: secondo Huning, fin dagli anni ’70 la Cina è stata influenzata dalla politica statunitense, ponendola in un ruolo di asservimento. Tale influenza è stata in parte positiva perché ha portato all’economia di Deng, ma in parte negativa perché avrebbe “egemonizzato” la cultura politica e sociale della Cina. Ciò di cui aveva bisogno il paese era di rafforzare internamente la dottrina marxista e renderlo sempre più forte economicamente ed ideologicamente, ma aveva anche bisogno di espandersi verso l’esterno attraverso pratiche di soft power (relazioni diplomatiche influenti) che avrebbero potuto creare un nuovo blocco internazionale. Insomma, Huning criticava lo strapotere statunitense e la sua forte influenza che bloccava l’espansione della Cina. Era arrivato il momento, secondo Huning, che la Cina mostrasse la sua forza dopo secoli in cui era stata messa da parte.
Con questa forte impostazione ideologica, Xi Jinping diede vita al suo pensiero, ovvero il “Sogno cinese”. Tale ideologia venne rappresentata da una nuova politica internazionale, chiamata “Nuova via della seta”, che avrebbe permesso nuovi traffici commerciali con l’Asia e la creazione di una nuova banca mondiale, la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, nata con lo scopo di fare concorrenza al dollaro e di sottrarsi dall’egemonia statunitense. Nonostante le relazioni economiche con gli USA continuarono pacificamente, tutto cambiò con l’elezione nel 2016 di Donald Trump.

6. La Guerra commerciale del 2018 e le proteste di Honk Hong del 2019.

Con l’elezione di Trump, il paradigma delle relazioni internazionali statunitensi cambia radicalmente. Come abbiamo visto, storicamente gli USA hanno avuto fin dall’800 un ruolo di influenza globale (diretto ed indiretto) che con l’arrivo di Trump comincia ad avere un piccolo freno. Sicuramente è diventato protagonista di due eventi storici: il primo, è l’incontro nel 2018 fra lui e il Presidente della Corea del Nord Kim Jong-Un per normalizzare le relazioni fra USA e nord Corea, evento che non era mai accaduto nella storia dai tempi della Guerra in Corea, il secondo invece è il ritiro militare dalla Siria, Iraq, Somalia ed Afghanistan, ponendo fine all’intervento militare statunitense in Medio Oriente, pur mantenendo una forte ostilità con l’Iran. L’approccio di Trump è stato definito “isolazionista”, in quanto più incentrato sullo sviluppo della politica interna, e “protezionista” verso l’economia internazionale, con l’applicazione di tasse per preservare l’economia nazionale. Ma nel 2018 tutto cambia, e si crea il primo scontro diretto con la Cina, che adesso è diventata il nuovo Altro con cui confrontarsi.

Fra il 2017 ed il 2018, Trump aveva già fatto svolgere delle indagini rispetto l’influenza commerciale della Cina negli USA. Dall’analisi, vi era una grande quota di merci cinesi vendute nel mercato americano, comportando un deficit di 500 miliardi di dollari, aumentando la disoccupazione e il debito statunitense. Un altro elemento importante era il furto di proprietà intellettuale delle aziende cinesi nei confronti delle aziende statunitensi, provocando una perdita di 300 miliardi di dollari. Da marzo del 2018 Trump iniziò una forte politica di dazi nei confronti della Cina: prima sulle lavatrici e i pannelli solari con tasse fra il 20% ed il 30%, poi nell’industria metallurgica con dazi fino al 25%. A questo la Cina rispose con l’imposizione di dazi su più di 128 merci statunitensi. La guerra commerciale durò fino al 2020, quando Cina e USA riuscirono a trovare un accordo sulle esportazioni e sui diritti di proprietà intellettuale.
Gli effetti internazionali della Guerra commerciale misero in luce che una nuova frattura era all’orizzonte. I piani di espansione finanziaria della Cina cominciarono a preoccupare l’Occidente, non solo da un punto di vista economico ma anche politico. La Cina ha tutt’ora un grande apparato autoritario ed è stata spesso denunciata per violazioni dei diritti umani e repressione delle libertà. Lo spettro dell’anti-comunismo di memoria antica era tornato?

Se da una parte lo spettro di un nuovo bipolarismo politico ormai incentrato sull’economia si faceva pian piano vedere all’orizzonte, dall’altra parte del mondo si intravedeva invece il ritorno del colonialismo occidentale di ottocentesca memoria sotto altre forme.
Nel 2019, proprio durante la guerra commerciale, la Cina dovette gestire una serie di proteste e manifestazioni nella città di Honk Hong. Quest’ultima ha sempre avuto un trattamento speciale a livello amministrativo: fin dal 1841, dopo la Prima guerra dell’oppio, la città era sotto il controllo dell’Impero Britannico. Anche dopo la riunificazione del 1949, la città di Honk Hong è sempre stata indipendente dal governo socialista, sviluppando un’economia e delle istituzioni tipicamente occidentali. Nel 1979, con Deng Xiaoping al governo, si iniziò a trattare dell’annessione di Honk Hong seguendo la massima “Due sistemi, uno Stato”. Honk Hong avrebbe fatto parte della Cina ma avrebbe mantenuto allo stesso tempo una propria indipendenza. Questo si attuò nel 1997, quando sia Honk Hong che Macao (ex colonia del Portogallo) furono annesse alla Cina.
Honk Hong non era estranea alle manifestazioni. Ce ne erano state due nel 1956 e nel 1967, ma erano per lo più dei conflitti locali che vedeva i comunisti scontrarsi con i nazionalisti. L’ultima protesta ci fu nel 2014, in cui la popolazione scese in piazza per una riforma elettorale più equa e libera. Ma fu nel 2019 che per poco si rischiò una crisi nazionale. Tutto a causa di un disegno di legge che prevedeva la libertà della Cina di poter arrestare i criminali latitanti a Honk Hong, applicando le proprie leggi e costruendo un nuova legge sull’estradizione. Questa legge venne percepita dal governo di Honk Hong e da alcuni movimenti democratici come un modo della Cina di influenzare le istituzioni e leggi indipendenti. Per oltre un anno, da marzo 2019 fino al 2020, quando scoppiò la pandemia di COVID-19, la città di Honk Hong fu sommersa ogni giorno da centinaia di migliaia di persone in piazza. La crisi finì successivamente con il ritiro del disegno di legge.
Fu a questo punto che a livello internazionale si creò una rottura definitiva fra Occidente e Cina: gli USA, il Regno Unito e l’Unione Europe appoggiarono infatti le rivolte di Honk Hong. In particolar modo gli Stati Uniti esprimevano un forte sostegno per lo sviluppo della democrazia ad Honk Hong. Tali influenze vennero percepite dall’opinione pubblica della Cina e dal governo come l’ennesima mossa imperialista occidentale, tanto che si arrivò a dire che le proteste di Honk Hong erano state organizzate proprio dagli statunitensi.

Ed ecco che ragioni economiche e ragioni politiche, esattamente come fu fra USA ed Unione Sovietica, vengono rese allo scoperto. Il nuovo bipolarismo era all’orizzonte e le armi ideologiche di ambo le parti erano state messe a portata di tutti: da una parte, gli Stati Uniti e l’occidente che si ergono a difensori dei valori democratici e dell’economia internazionale, e dall’altra la Cina, che spinge la propria influenza diplomatica ed economica sulle nazioni in via di sviluppo e che accusa l’Occidente di imperialismo. La storia si sta di nuovo ripetendo?

7. La Presidenza Biden e l’espansione dei BRICS. (2021-2024)

Nel 2021 il Presidente Joe Biden venne eletto alla guida degli USA, ma le relazioni con la Cina non cambiarono per nulla. Anzi, le tensioni sono più aumentate. Seguendo una strategia a metà fra il contenimento e il rollback (che abbiamo visto in Kennedy e Carter), e rimarcando il ruolo degli USA come difensore dei principi democratici (come in Bush), Biden ha usato dichiarazioni molto forti contro la Cina, definendola il nemico principale per l’economia e la politica statunitense, a causa del governo dittatoriale e della sua espansione economica.

Le misure prese da Biden sono state la vendita di sottomarini nucleari all’Australia per tenere sotto contro l’area dell’Oceano Pacifico e proprio quest’anno ha ricominciato la guerra commerciale con la Cina, aumentando le tasse sui pannelli solari e sulle batterie a litio, e nell’importazione dell’industria metallurgica, seguendo ciò che fece Trump. Inoltre, fin dall’inizio del suo mandato, Biden ha sottolineato come la NATO dovrà avere un ruolo principale contro la Cina.

D’altra parte, Xi Jinping sembra continuare per la sua strada. E’ riuscito a trovare un forte alleato nella Russia, prendendo decisioni uguali all’ONU, e ha fatto anche entrare nuovi paesi nei BRICS. Questi sono Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia ed Iran.

8. A che punto siamo?

E’ notizia proprio di questi giorni che il vertice NATO ha intenzione di rafforzare la propria alleanza contro Cina e Russia (quest’ultima a causa della Guerra russo-ucraina del 2022). Se arrivati a questo punto dell’articolo abbiamo saputo collegare tutte le dinamiche storiche e lo sviluppo geopolitico di Occidente ed Oriente, capiamo che questa manovra rientra perfettamente nel solco della politica statunitense tipica della Guerra Fredda. Geopoliticamente la situazione non è più ovviamente quella di 60 anni fa ma i metodi rimangono sempre quelli.

In un clima in cui gli USA di Biden stanno cercando sempre più interdipendenza economica e politica con gli stati dell’Unione Europea, il rafforzamento della NATO funge da strategia contenitiva rispetto anche al conflitto russo-ucraino. Ciò che l’Occidente teme in questo momento è da una parte l’avanzata territoriale della Russia, e dall’altra l’avanzata economica della Cina, visto che già alcuni paesi europei hanno aderito alla Nuova via della seta e alla Banca di Investimenti (fra cui l’Italia), per non parlare dell’avanzata dei rapporti diplomatici anche con l’Africa ed il Medio Oriente.

La famosa “Pax Americana” che si era cercato di costruire dopo la Guerra Fredda sembra aver perso terreno, e il ritorno a determinate dottrine sembra lo schema più naturale per rispondere all’avanzata di un nuovo soggetto internazionale.

9. Imperialismo VS Anti-imperialismo?

La risposta alla domanda “Perché USA e Cina si odiano?” la abbiamo vista fra le righe, o almeno abbiamo visto i motivi ufficiali: predominanza a livello commerciale dei prodotti e dell’economia della Cina, e alleanze con stati che condividono un regime autoritario. Dall’altra parte si pongono gli USA e l’Occidente, che vogliono pace e stabilità sotto l’egidia della democrazia liberale.

Una delle analisi più critiche vede USA e Cina come una lotta contrapposta fra imperialismo e anti-imperialismo. Come abbiamo visto, storicamente gli USA hanno cercato di espandere la propria influenza in delle aree strategiche del mondo, scontrandosi prima con l’espansione del socialismo e dopo con il terrorismo islamico.
La percezione nei vari paesi del mondo che si sono scontrati contro gli Stati Uniti è sempre stata quella di lottare contro un paese imperialista. Da questo punto di vista, la Cina viene vista come un baluardo: anche lei ha sofferto il colonialismo occidentale e adesso ha sviluppato una “vendetta”. Non è un caso che i paesi con cui la Cina ha costruito i BRICS e con cui cerca alleanze economiche e diplomatiche siano stati soggetti a scontri con l’Occidente.

Condivisibile o meno la tesi della lotta all’imperialismo, da un punto di vista delle relazioni internazionali l’approccio è chiaro. Da una parte abbiamo gli Stati Uniti che adottano l’hard power, inteso come delle politiche interventiste (non esclusivamente militari) che cercano di mettere all’angolo la Cina, dall’altra parte quest’ultima adotta un approccio soft power, in cui attraverso i rapporti diplomatici prova a costruire delle alleanze economiche e un’influenza indiretta negli Stati. Che quello della Cina sia un tipo diverso di imperialismo?

10. La prospettiva del multipolarismo.

Arrivati alla fine della nostra analisi, possiamo provare ad immaginare delle proposte alternative all’attuale clima. Posto che dovrebbe essere nell’interesse di tutti evitare una terza guerra mondiale o una seconda guerra fredda, ciò che dimostra il rapporto tra USA e Cina è che è arrivato il momento di vedere il mondo come un multipolarismo.

Che un bipolarismo esiste non è messo in discussione, ma se ci pensiamo questo bipolarismo non è fra due ideologie diverse ma su due modi di sviluppare l’economia capitalista diversi. E anche stesso, i modi di sviluppo di ogni stato, che sia nella NATO o nei BRICS risulta diverso. Questo perché la Cina ha sempre puntato ad avere rapporti con tutti gli stati che condividano le sue proposte, al di là delle differenze politiche. Questo approccio che unisce realismo e liberalismo sta risultando vincente, garantendo un pluralismo all’interno delle relazioni internazionali fra Cina e gli altri stati.
D’altra parte gli Stati Uniti e l’Europa rimangono sugli zoccoli duri delle vecchie dottrine, avendo rapporti solo ed esclusivamente con quegli stati che si identifichino nei loro valori o cercando di influenzarli (riprendendo un po’ quello che cercava di fare Kissinger).

C’è chi si allea con chi condivide gli stessi interessi economici, e c’è chi si allea con chi condivide gli stessi interessi politici. Che sia questa la grande dicotomia fra USA e Cina? E sono davvero i motivi reali? Ciò che sappiamo è che il mondo non può affrontare un’altra crisi internazionale, e ora più che mai c’è bisogno della pace.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here