Venezuela: la nullificazione di un paese

Il Venezuela è una repubblica federale situata nell’America Meridionale. Fin dal 1999 è nota come  la “Repubblica Bolivariana di Venezuela”. È uno stato sociale e fonda la sua costituzione sui “ valori di libertà, uguaglianza, giustizia e pace internazionale nella dottrina di Simón Bolivar, il Liberatore”.Nota per essere stata eletta a titolo di “nuova Cuba” nell’America del Sud, il Venezuela è teatro da ormai troppi anni di eventi tristi: crisi economiche e crisi politiche.

Eppure, se si vuole tornare indietro, quasi a 50 anni fa, è possibile ricordare un paese ricco, la cui “pecca” era un sistema estremamente sottosviluppato. Le ricchezze infatti originate dai proventi dell’industria petrolifera, non venivano condivise con il resto della popolazione e facevano mantenere un sistema basato sulla diseguaglianza sociale. Fu proprio in un simile contesto di malcontenti, per lo più nelle fasce più povere che Ugo Chavez, in seguito al fallito golpe, divenne simbolo dell’indipendenza e dell’emancipazione dei popoli latino-americani. Fama che gli regalò la nomina di Presidente della Repubblica nel 1999. Nazionalizzò le industrie e ridistribuì i proventi della rendita petrolifera, incorniciando la sua azione politica da riforme sociali. Volto della sinistra latino-americana, nemico degli USA e anti-imperialista, Chavez muore nel 2013, lasciando il paese nelle mani di Maduro e in una condizione economica di totale dipendenza dal petrolio.

Sconfitto alle elezioni, Maduro assume le redini del paese per mezzo di una sentenza del Tribunale di Giustizia, indicendo nuove elezioni e senza la partecipazione dell’opposizione, precedentemente vincente. Dal 2015 agisce nella repressione di qualunque forma di opposizione, raggiungendo le 8000 vittime e ottenendo l’accusa di persecuzione da Luisa Ortego Dìaz. L’azione di repressione è forte, sia contro “El Espectador” che contro i canali televisivi. E alla situazione politica, già difficile si accosta una crisi quasi implacabile. Frutto della corruzione e di uno sfruttamento ineguale delle risorse da parte della classe dirigente rispetto al resto della popolazione bolivariana. Strettamente legata al mancato avanzo dell’industria venezuelana, totalmente dipendente dall’unica ricchezza del paese: il petrolio. Ma nel 2014 il prezzo del petrolio cade e il valore di ogni singolo barile si dimezza. È l’inizio di una crisi umanitari senza precedenti, che costringerà milioni di venezuelani a scappare. L’irrompente inflazione, che nel 2017 tocca l’80 mila percento, il peggioramento dei servizi sanitari e la forte azione di stato contro i movimenti di opposizione, diventano così insostenibile. La stessa organizzazione per le migrazioni dell’Onu afferma che sono circa 1,6 milioni i venezuelani costretti a fuggire nelle zone limitrofe.

In un contesto socio-economico non ottimale, hanno avuto luogo le decisive elezioni per il rinnovo della carica presidenziale. È il maggio del 2018 quando Maduro è rieletto come Presidente del Venezuela, con il 70% dei voti a favore. Ma è una votazione senza opposizioni, dove la stessa Assemblea Nazionale di Caracas a quasi 6 mesi di distanza dichiara invalido il risultato, nominando Juan Guaidò presidente ad interim del Venezuela. Guaidò, esponente del partito Voluntad Populare e presidente del parlamento di Caracas dal gennaio del 2019, indaga sulle azioni di corruzione della classe dirigente e richiama le masse alla possibilità di una nuova costituzione e fuga da una crisi dilaniante. È così il 23 gennaio, nel giorno dell’anniversario del colpo di stato del 1958 che rovesciò la dittatura militare, ora ricordato come “il giorno del ritorno alla democrazia”, Juan Guaidò, appellandosi alle parole dell’articolo 233 della Costituzione, sale al potere. Ad appoggiare l’autoproclamazione vi è il gruppo Lima, costituito da ben 13 paese dell’America Latina, il presidente americano Donald Trump e l’Unione Europea, o quasi. Lontani da questa linea sono infatti il Messico che come lo Stato del Vaticano ha optato per una posizione neutrale, la Cina e la Russia.  Questi ultimi sono i paesi che nutrono tra i più alti interessi verso il paese. È proprio la terra di Mao che tesse le lodi del Presidente Maduro da tempo, così come per l’alleanza che li lega; fondata sullo scambio di prestiti in cambio di grandi quantità di petrolio. La Russia non cede al dibattito, vedendo invece nel paese la possibilità di bilanciare l’espansione delle basi della Nato a Est, in particolare con la costruzione di una base aerea nell’isola di La Orchila. Russia e Venezuela, inoltre, basano la loro alleanza sul reciproco scambio di forniture militari (da parte della Russia) e di petrolio (da parte del Venezuela).Mente il repentino interesse dimostrato dal presidente americano non è però spinto da interessi di natura umanitaria. USA gode da anni del petrolio venezuelano, e lo stesso John Bolton ha affermato quanto possa essere utile la presidenza dell’oppositore di Maduro all’aumento dei guadagni per le compagnie petroliere statunitensi; eppure non è neanche il solo forte interesse economico a stringere i due paesi. Il Venezuela ha un valore simbolico: la sua insubordinazione agli stati uniti con la rivoluzione di Chavez, il legame con Cuba (21% del Pil cubano dipende da Caracas), sono i fattori decisivi.

E mentre Russia, Cina, USA si litigano il valore geopolitico del paese, l’Italia è oggetto di interesse da parte di numerosi talk. Il paese si è definito “prudente” di fronte alla questione. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha infatti dichiarato «Auspichiamo la necessità di una riconciliazione nazionale e di un processo politico che si svolga in modo ordinato e che consenta al popolo venezuelano di arrivare quanto prima a esercitare libere scelte democratiche», mantenendosi contrario verso qualunque forma di imposizione sul territorio. Mentre il Presidente della Repubblica Mattarella si è ritenuto favorevole, con le suddette parole «non vi può essere né incertezza né esitazione: la scelta tra volontà popolare e richiesta di autentica democrazia da un lato, e dall’altro la violenza della forza e le sofferenze della popolazione civile».

I due vice-premier invece si scontrano per visioni differenti: Salvini non attende e dichiara «Maduro è un fuorilegge, si vada a elezioni»; mentre Luigi Di Maio scrive «Non dobbiamo schierarci né con Maduro né con Guaidò. Non vogliamo un’altra Libia». È una formazione non unitaria che negli ultimi giorni sta prendendo sempre più una forma equilibrata. Proprio negli ultimi giorni, l’Italia è tornata in linea con il pensiero europeo e richiede nuove elezioni.

E mentre alle frontiere i paesi discutono sul principio di autodeterminazione dei popoli, e sui propri interessi, l’inflazione tocca il 1.300.000 per cento (2019) e la mortalità aumenta. La popolazione resta divisa, tra chi appoggia il vecchio despota e tra chi abbraccia una possibilità di cambiamento. Maduro invece non cede e rivendica di indire nuove elezione solo allo scadere del mandato presidenziale. Minacciando, oltretutto, di poter trasformare una Repubblica, una volta florida, nel nuovo Vietnam.

 

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