CHI ERA SIMONETTA E COSA C’ERA A VIA CARLO POMA 2
Il 7 agosto 1990, nell’aria afosa della capitale, si commette uno degli omicidi più cruenti e misteriosi della storia recente. Vittima innocente sarà la giovane Simonetta Cesaroni, ragazza romana di vent’anni che si era recata, come d’accordo con il suo datore di lavoro, presso la A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù). Via Poma: il “giallo estivo” del 1990
La ventenne era allora impiegata presso gli uffici Reli Sas come segretaria contabile. Lo studio contabile era di proprietà di Ermanno Bizzocchi e di Salvatore Volponi. Fu proprio quest’ultimo a proporre a Simonetta di prestare lavoro, dal giugno dello stesso anno, presso la A.I.A.G. come contabile, essendo l’associazione un cliente del Volponi e del Bizzocchi.
Da quel giugno Simonetta era quindi divisa tra i due impegni e passava i pomeriggi del martedì e del giovedì presso l’ufficio A.I.A.G. a Via Carlo Poma 2. L’ubicazione di questi uffici provocò nel corso delle indagini alcune perplessità: sembrava infatti che nessuno, a partire dai genitori della ragazza fino ad arrivare allo stesso Volponi, fosse a conoscenza della loro ubicazione.
C’è da sottolineare che la stessa Cesaroni aveva un carattere piuttosto introverso e tendeva a non parlare molto in famiglia delle sue preoccupazioni o dei suoi impegni, nonostante l’ottimo rapporto. In questo contesto vanno inserite le telefonate anonime di carattere provocatorio che Simonetta continuava a ricevere sul posto di lavoro. Via Poma: il “giallo estivo” del 1990
A Via Carlo Poma 2 troviamo un cast di personaggi che avranno un ruolo centrale nella vicenda: i due coniugi Pietro (detto Pietrino) Vanacore e sua moglie Giuseppa (detta Pina) De Luca che si occupano della portineria e Cesare Valle, l’anziano architetto dell’edificio di cui si occupava periodicamente Pietrino. Tutti e tre abitavano nella scala B dell’edificio, la stessa dove si trovavano anche gli uffici dell’A.I.A.G..
Dopo una mattinata presso gli uffici Reli Sas dove si sono discusse anche le ferie spettanti a Simonetta, questa alle 15 del pomeriggio si reca dalla sua abitazione a Via Poma per l’ultima giornata prima delle vacanze. Quel martedì gli uffici sono chiusi al pubblico quindi per entrare Simonetta usa il mazzo di chiavi datole da Volponi. L’ultimo contatto esterno che Simonetta ha è alle 17:15 con Luigina Berrettini per avere alcune informazioni, dopo il silenzio.
Alle 18:20 Simonetta avrebbe dovuto chiamare Volponi per informarlo sull’andamento dei lavori, ma la telefonata non c’è. Ad ora di cena Simonetta non torna a casa e alle 21:30 sua sorella Paola, preoccupata, decide di chiamare Volponi per chiedere il numero telefonico dell’A.I.A.G. e cercare di contattare sua sorella. Da questo punto iniziano le prime incongruenze: Volponi non conosce tale numero. Com’è possibile che Volponi abbia “prestato” Simonetta a dei clienti rilevanti per il Reli Sas, ma non sia a conoscenza del numero telefonico dei loro uffici?
A questo punto Paola, accompagnata dal fidanzato Antonello, e in preda alla paura preleva Volponi e si reca presso gli uffici A.I.A.G.. Continuano le perplessità quando lo stesso, nell’entrare nell’edificio per accedere agi uffici dove Simonetta lavorava, Volponi si riferisce in modo colloquiale a Pina De Luca. I due negheranno in seguito di essersi mai conosciuti prima di quella sera, probabilmente temendo un coinvolgimento maggiore nei fatti se avessero agito diversamente.
Alle 23:30 circa gli studi vengono aperti e Simonetta viene ritrovata morta, uccisa crudelmente.
LA SCENA DEL CRIMINE
Aperte le porte, il corpo di Simonetta si trova a terra supino. La causa della morte appare ovvia: l’assassino avrebbe accoltellato Simonetta per ben 29 volte, con ferite di circa 11 centimetri di profondità inferte probabilmente da un tagliacarte. I colpi sono sparsi lungo tutto il corpo ed il viso, a partire dai due occhi per poi proseguire con colpi sul seno e ventre, fino ad arrivare alle 14 pugnalate sul pube. L’attenzione che l’assassino riserva per gli organi sessuali potrebbe far pensare ad un delitto passionale con movente sessuale, come un rifiuto a delle avance.
La dinamica, come ricostruita dagli inquirenti, è la seguente: negli studi dell’A.I.A.G. entra un uomo in una finestra temporale non ben specificata ma sicuramente antecedente delle 16, quando i coniugi Vanacore-De Luca si siedono in cortile per mangiare del cocomero.
Quando è all’interno degli uffici, l’uomo ha un incontro burrascoso con Simonetta e quest’ultima tenta di scappare. L’uomo però la colpisce facendola tramortire: una volta a terra l’uomo le si siede sopra, causandole ematomi ai fianchi per la forte della stretta delle ginocchia, e le causa un trauma cranico, o con un oggetto o prendendole la testa e sbattendola violentemente al suolo. Inoltre viene avvistato sul seno quello che inizialmente è individuato come un morso. Successivamente tale ipotesi sarà smentita per la mancanza dell’impronta dentaria opposta e della saliva.
Il corpo di Simonetta è stato inoltre svestito: il reggiseno è calato verso il basso a mostrare il seno; la maglietta copre il ventre dove si sono consumate le ferite più gravi, come per tentare un undoing (pratica comune a molti assassini che consiste nel coprire le ferite inferte per distanziarsi dal delitto); gli slip, i fuseau e la giacca non sono nella stanza e non verranno più ritrovati, forse portati via dall’assassino. I calzini sono stati lasciati indosso e le scarpe sono state riposte ordinatamente. Altri oggetti appartenenti a Simonetta non verranno più ritrovati, tra cui alcuni gioielli d’oro, mentre l’orologio viene lasciato al polso.
Sulla scena del delitto, in particolare sulla maniglia della porta, viene inoltre recuperato un campione di sangue di gruppo sanguigno A, appartenente ad un uomo. Nonostante il corpo, la stanza appare ordinata e con poche macchie di sangue rispetto ai colpi inferti a Simonetta.
Altro possibile indizio sembrerebbe essere un foglio con il disegno di una margherita e la scritta “DEAD OK”. Quest’ultimo però si rivelerà essere solo uno scarabocchio lasciato sulla scena del delitto da un poliziotto annoiato, il primo di una serie di errori e mancanze.
I SOSPETTATI E LE INDAGINI
Il primo sospettato dagli inquirenti è Pietro Vanacore: spiegherebbe come l’assassino avrebbe potuto arrivare sulla scena del delitto senza essere visto entrare nell’edificio. Inoltre sussisterebbero altri indizi circostanziali a suo carico: Pietrino infatti si assenta dalle 17:30 alle 18:30, orario dell’omicidio, dopo essere stato in ferramenta. In aggiunta vengono rinvenute sui suoi pantaloni tracce di sangue.
Ad un esame più approfondito le tracce di sangue risultano essere dello stesso Vanacore, causate da un problema di salute, e questo stesso sangue non combacerebbe con la traccia rinvenuta sulla maniglia. Pietro Vanacore si è ucciso nel 2010, probabilmente per evitare di essere nuovamente chiamato a testimoniare davanti la Corte d’Assise sul delitto Cesaroni.
Dopo due anni di vuoto, nel 1992 si apre una nuova pista. Arriva in procura una telefonata di Roland Voller, austriaco, che a causa di un malfunzionamento delle cabine telefoniche aveva conosciuto Giuliana Valle ed aveva stretto con la donna un’amicizia. Giuliana Valle era la moglie di Raniero Valle, figlio di Cesare Valle. In una telefonata con Roland, Giuliana aveva raccontato che suo figlio, Federico, era andato a trovare il nonno in Via Poma e non era ancora tornato. Erano le 16:30. Più tardi i due parlano di nuovo e Giuliana racconta che il figlio era tornato a casa sporco di sangue e con un taglio sulla mano.
Gli inquirenti immaginano una nuova situazione, in cui Federico Valle avrebbe ucciso Simonetta Cesaroni a causa della relazione che questa avrebbe avuto con suo padre. La testimonianza di Voller viene però smentita dalla madre, che afferma di non avergli mai confidato niente di simile, dall’analisi del DNA di Federico, che non lo identifica come il proprietario del sangue sulla maniglia, nonché dall’alibi fornitogli da ben 3 persone. Nonostante tali prove contro la sua colpevolezza, si continua a cercare un modo per provare la colpevolezza di Federico. Alla fine la pista sarà abbandonata per insufficienza di prove. Si scoprirà solo in seguito che Voller era in realtà un truffatore e che tutte le prove fornite erano false.

Altro sospettato è il fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, di 4 anni più grande della ragazza. Analizzando infatti alcuni reperti ottenuti dal reggiseno e dal corpetto che Simonetta indossava quel giorno e confrontandoli con il DNA prelevato da 30 persone vicine a Simonetta che sarebbero potuti essere l’assassino, solo quello di Raniero risulta compatibile per ben 8 alleli.
Il confronto tra i due DNA viene replicato una seconda volta, dando la stessa risposta. Busco quindi nel 2007 viene iscritto ufficialmente al registro degli indagati per il delitto di Via Poma. Tuttavia la traccia che era stata attribuita all’omicida non è formata solo dal suo materiale genetico, ma è mescolato a quello di Simonetta, che è il maggioritario. Ciò nonostante Busco viene condannato nel 2011 durante il processo di primo grado, per poi essere assolto nel 2014 dalla Corte di Cassazione.
La pista più recente è dello scorso anno e vedrebbe come assassino il figlio di Vanacore, Mario. Secondo la ricostruzione, Mario era entrato negli uffici A.I.A.G. per fare delle telefonate interurbane. Entrata anche Simonetta nell’ufficio, Vanacore avrebbe tentato un approccio e, rifiutato da Simonetta, l’avrebbe uccisa. Avrebbe poi chiamato Pietro e Giuseppa per pulire la scena del crimine. Davanti a queste accuse Mario Vanacore negò tutto, anche la conoscenza stessa della Cesaroni. La vicenda venne poi archiviata per mancanza di riscontri.
Si tenta anche di seguire altre piste ovviamente, dall’ipotesi dell’esistenza di un serial killer, collegando all’omicidio di Simonetta le uccisioni di altre 10 o 12 ragazze avvenute a Roma, fino ad un presunto coinvolgimento della Magliana e dei servizi segreti nella questione, in quanto, secondo questa, Simonetta avrebbe trovato tra gli affari dell’A.I.A.G. dei favori fatti da questa proprio alla Banda della Magliana, con il benestare del Vaticano.
Altra pista veniva da una lettera recapitata anonimamente in Procura che suggeriva di investigare sulla Videotel, sistema di messaggistica simile all’attuale Internet. Secondo questa ipotesi sarebbe stato proprio Videotel a far conoscere a Simonetta il suo futuro assassino, mentre usava il servizio dall’ufficio.
C’è chi afferma di aver conosciuto Simonetta su Videotel sotto il falso nome di Veronica, ma anche di aver avuto notizie di un utente che usava il nickname Dead e che affermava apertamente di aver ucciso Simonetta Cesaroni.
Secondo un’altra pista ancora, l’A.I.A.G. sarebbe stata solo una copertura per alcune attività dei servizi segreti italiani, certificata dalla vicinanza di Roland Voller ai servizi segreti, visto il possesso da parte di questo di alcuni documenti riguardanti il delitto dell’Olgiata. In particolare il delitto si legherebbe ad affari dei servizi segreti in Somalia: secondo questa teoria, Simonetta avrebbe dovuto stipulare dei contratti fuori dalla sua area di competenza usuale, portandola a scoprire cose che sarebbero dovute restare nascoste.
Nel 2022 le indagini si sono riaperte e hanno interessato l’avvocato romano Francesco Caracciolo di Sarno. Il perché di queste indagini va ricercato nella collocazione temporale della chiamata che l’ha avvisato della morte di Simonetta e dell’alibi fornito al tempo delle prime indagini. Infatti Caracciolo, non avendo un recapito telefonico proprio, lasciava spesso quello del suo fattore, Mario Macinati. come contatto d’emergenza. Secondo il figlio di Macinati, la chiamata per avvisare della morte di Simonetta venne effettuata molto prima del ritrovamento del corpo, in una finestra temporale tra le 17:30 e le 20:30.
Rispetto l’alibi invece, quello fornito da Caracciolo era il trovarsi nella sua tenuta di campagna, da dove avrebbe accompagnato sua figlia ed alcune amiche in aeroporto. A sconfessare tale deposizione la dirimpettaia di uno degli appartamenti che Caracciolo possedeva a Roma: secondo questa l’avvocato era tornato molto trafelato e proprio nelle ore che i media indicavano come quelle dell’omicidio. Inoltre anche alcuni amici e conoscenze di Caracciolo avrebbero racontato del suo atteggiamento sospetto durante quei giorni.
(per approfondire suggerisco il podcast “Indagini” di Stefano Nazzi: https://open.spotify.com/episode/2rXjGsoHgWBTRWlJam8AlE?si=963bcfbba0e34c22 )