Dopo la 2 guerra mondiale, l’America con il suo modo di vivere, ha sicuramente influenzato gli stati e le persone di tutto il mondo. Scambi commerciali, investimenti e tecnologie sono importanti ma a lungo termine è la cultura a dare vantaggio ad un paese. L’importanza di dare un impronta alla società verso un certo tipo di valori, costumi, usanze e tradizioni.  Il “Way of life” americano esploso con gli anni della ripresa economica, portando all’interno delle case e nella vita quotidiana oggetti e costumi della cultura d’oltreoceano. Pensiamo ai Blue Jeans, chewing-gum o al fast-food sembravano entità lontane dalla nostra cultura e invece ora sono parte integrante di essa. Negli ultimi anni anche la Cina cerca di influenzare il resto del mondo attraverso investimenti, contratti e presenza all’estero  rischiando di spodestare l’egemonia americana. Vita quotidiana a rischio made in China? Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Osserviamo come la Repubblica popolare cinese, stia tentando di aumentare la sua influenza culturale sugli altri paesi.

Quando parliamo di Cina, bisogna precisare che i cinesi chiamano il loro paese “Zhongguo” che significa terra di mezzo, terra al centro, infatti la parola Cina è un invenzione dell’occidente.

Dalla nascita della repubblica popolare cinese con Mao Zedong a quella di Xi Jinping, i leader hanno preferito la via dello sviluppo alle conquiste. Ma la Cina di oggi non è certo quella del 1960, nel 2013 Xi Jinping espresse la sua visione della cina e del suo popolo, uno stato in grado di influenzare culturalmente e socialmente creando un ideologia basata sul mix di comunismo-capitalismo-nazionalismo con l’intento di dare nuova forma all’uomo cinese e renderlo credibile al resto del mondo.

L’espansione del sistema culturale avviene attraverso gli istituti Confucio; un’istituzione per la diffusione all’estero della cultura e della lingua cinese, creata dall’Ufficio “Hanban” del Ministero dell’Istruzione della repubblica popolare cinese. In Italia l’istituto confucio è presente in varie università come Firenze, Torino, Roma, Bologna, Milano, Venezia, Napoli, Macerata, Pisa, Padova ed Enna. La presenza capillare di questi istituti è un chiaro segnale di esportazione della propria cultura.

Nel 1949 a Roma, precisamente in via Borgognona, è stato aperto lo “Shanghai”, il primo ristorante cinese in Italia ad uso, soprattutto dei cinesi della comunità, in seguito a partire dagli anni ’60, i primi ristoranti anche di Milano e di Firenze. Il proliferare di negozi e ristoranti cinesi, creò sempre maggiore richiesta di cibi e oggetti tipici della cucina cinese portando allo sviluppo di bazar etnici. In Italia, negli ultimi anni si è visto un crescente aumento di negozi, di oggettistica varia e soprattutto del fenomeno “All you can eat”, che ha coinvolto un largo pubblico, al consumo di cibo cinese con molta più frequenza rispetto al passato, infatti è entrato a far parte delle nostre serate o delle pause pranzo tra colleghi. Sicuramente, questa presenza sul territorio di varie attività economiche, avvicina gli estranei al mondo cinese un pò alla volta, magari attraverso un primo assaggio di cibo, l’acquisto di un utensile per la casa o una semplice “cover” del telefono.

Altra proposta che cerca di connettere la Cina, al mondo occidentale è sicuramente la “Belt and Road Initiative“, un programma infrastrutturale che ha lo scopo di collegare la Cina con più di 100 paesi, attraverso progetti ferroviari, marittimi ed energetici. La BRI ricostruirà la via della seta, una vecchia rete di rotte commerciali tra l’Est e l’Ovest, investendo ingenti somme di denaro in altri paesi per costruire tali progetti infrastrutturali.

La Cina ha già effettuato massicci investimenti in altri paesi come parte dell’iniziativa. I sostenitori affermano che il progetto rafforzerà i legami tra Pechino e i mercati emergenti, sollevando le nazioni in via di sviluppo dalla povertà. Tuttavia, i critici affermano che il progetto fa parte del desiderio della Cina di ottenere il dominio e il controllo del commercio al fine di competere con gli Stati Uniti. Altri hanno persino accusato la Cina di impegnarsi nella cosiddetta diplomazia della trappola del debito, in base alla quale i paesi che non sono in grado di pagare i propri debiti devono accettare le richieste della Cina e partecipare all’iniziativa.

Affermare che la Cina voglia colonizzare il mondo, come ripetono molti in occidente è assurdo, come chi la rimprovera di esportare il proprio modello culturale, quando per anni altre nazioni lo hanno fatto e continuano a farlo.

Nella “soft war” economica e tecnologica, la repubblica popolare cinese compete con il mondo occidentale, ma nella guerra culturale, la Cina è ancora lontana dagli Stati Uniti d’America che sono ormai ben saldi nell’immaginario collettivo. La Cina non è ancora riuscita a radicare all’estero i propri modelli.  Va però, tenuto conto il ruolo che gioca nella supremazia tecnologica e nell’elettronica di consumo mondiale, infatti la diffusione di tecnologia anche a basso costo proveniente da Pechino come smartphone, tablet, droni, pc, social network, applicazioni digitali, assistenti vocali, aumenta esponenzialmente ogni giorno in tutti gli stati, una crescita costante che provoca l’accettazione della presenza cinese nella nostra vita quotidiana. È un processo lungo, che la Cina ha già iniziato, senza alcuna fretta di concluderlo.

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