La parola “ olocausto” indica il GENOCIDIO di 6 milioni di ebrei per mano delle autorità della Germania nazista, dei loro alleati e dei collaborazionisti.La parola “Olocausto” deriva dal greco holòkaustos, “bruciato interamente”, a sua volta composta da hòlos, “tutto intero” e kàiō, “brucio” ed era inizialmente utilizzata ad indicare la più retta forma di sacrificio prevista dal giudaismo.A causa del significato religioso del termine, alcuni, ebrei ma non solo, trovano inappropriato l’uso di tale termine, giudicano offensivo paragonare o associare l’uccisione di milioni di ebrei a una “offerta a Dio”. Adottano così il termine Shoah, che significa “desolazione, catastrofe, disastro”. Questo termine venne usato per la prima volta nel 1940 dalla comunità ebraica in Palestina, da allora definisce nella sua interezza il genocidio della popolazione ebraica d’Europa. Paradossale pensare che sulla stessa terra in cui il genocidio venne definito ,dopo 60 anni, la storia si stia ripetendo.

Il sionismo ha utilizzato politicamente e strumentalizzato la Shoah come arma di legittimazione, giustificando e accelerando il proprio progetto coloniale, sviluppatosi, però, ben prima della seconda guerra mondiale. L’obiettivo posto dal sionismo prevedeva di rifondare la comunità ebraica, è chiaro che lo stato di Israele e sionismo non possano rappresentare le vittime della shoah e l’interrogativo che sorge spontaneo è: come può chi pretende di rappresentare il popolo ebraico, essendo testimone della sua tragedia esercitare, a pochi anni di distanza, un genocidio ai danni di un altro popolo? E ancora, si presuppone che la società rispetto al periodo bellico sia cambiata ed evoluta, ma ,considerata l’efferatezza delle azioni dello stato di Israele, com’è possibile che l’Europa non abbia capito nulla del nazismo e del sionismo oggi?

ALL EYES ON RAFAH 

Ad oggi, non esistono giustificazioni, la società non ammette errori. Un’immagine  è riuscita ad attirare l’attenzione più di altre, quella ribattezzata con lo slogan “All Eyes on Rafah”, tutti gli occhi su Rafah. L’immagine ha raccolto più di 47 milioni di condivisioni su Instagram, molte delle quali arrivate nelle 48 ore successive all’attacco israeliano che ha ucciso 45 persone in un accampamento di sfollati palestinesi. Un semplice repost, fatto comodamente da casa, può esser considerato attivismo? Ebbene si, lo definiremo come “attivismo da poltrona”. Innumerevoli sono le critiche contro  “ Meta” , ricevute a causa della limitazione di contenuto politico sulle piattaforme social, in un contesto in cui, queste sono fondamentali per la diffusione e l’aggiornamento in  tempo reale, non solo da parte dei giornalisti palestinesi, ma di chiunque abbia la possibilità di farlo. Gli occhi del mondo scrutano la tragica situazione, e a differenza del secolo scorso, il popolo lotta in nome della Palestina, siamo tutti testimoni delle atrocità consumate sulla Striscia di Gaza. 

Shoah e Nakba, genesi 

Fu Lord Shaftesbury, un politico britannico del XIX secolo a catalogare la Palestina come “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Nonostante si mostrasse turbato dalla sofferenza degli ebrei nell’Europa, non si curò minimamente del  destino delle persone che vivevano in Palestina. Una popolazione  indigena in un territorio destinato ad essere colonizzato. Costituiva quindi, solo un altro popolo non europeo da ignorare. In una realtà in cui  coloro che lottano contro l’antisemitismo e quanti difendono i diritti dei palestinesi dovrebbero essere alleati, e non nemici, nel costruire una realtà di pace. Lord Arthur Balfour condivideva con lui la sofferenza per gli ebrei e la noncuranza per il popolo palestinese, e fu proprio la dichiarazione del 1917 che prese il suo nome, a cambiare il corso della storia in Palestina. Mentre la vittoria degli Alleati e la distruzione del governo nazista posero fine alla Shoah, la persecuzione dei palestinesi continua sotto lo sguardo del mondo.

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