Una raccolta fondi gofundme gli ha permesso di arrivare a Roma, così i braccianti agricoli hanno portato il loro sciopero fin sotto palazzo Chigi. Con loro tanta rabbia, ma anche proposte chiare e concrete

Sono le due di pomeriggio del 18 maggio quando arrivano i primi pullman. Largo di Torre Argentina è il punto di ritrovo dei braccianti in sciopero: lavoratori e lavoratrici che giungono da alcune delle più affollate e critiche zone agricole italiane. “Volevate braccia, avete avuto uomini”. A Roma lo sciopero della Lega Braccianti per chiedere diritti e tutele. Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Ad accoglierli una folta folla di solidali che testimonia l’ampio respiro dell’evento: decine di studenti, rider e precari rispondono all’appello degli scioperanti e decidono di schierarsi. La manifestazione indetta dalla Lega Braccianti, infatti, non è rivolta ad un solo settore lavorativo, ma a disposizione di un sentimento collettivo condiviso. Basi ecologiche e giustizia sociale sono le due istanze su cui riformare non solo la filiera agricola ma il mondo del lavoro tutto.

La Lega Braccianti si costituisce nell’agosto 2020 eppure, nonostante il breve periodo di attività, è riuscita dove molti altri hanno fallito. Nata con l’obiettivo di raccogliere e rappresentare le istanze dei lavoratori agricoli, si è ben presto inserita nel contesto della comunità politica “Invisibili in Movimento”, della quale rappresenta l’azione specifica nella filiera del cibo. Essere unefficace interprete della situazione delle campagne è un compito a cui la politica italiana più recente ha sempre disatteso*. L’incessante lavoro di documentazione e presa di contatto con il diversificato panorama agricolo della Penisola ha portato la Lega Braccianti a costituire un network nazionale capace di mettere in connessione e produrre un dialogo proficuo tra le diverse realtà dei lavoratori e delle lavoratrici impiegati nell’agricoltura e costretti all’invisibilità.

Agorà popolari e sportelli itineranti sono solo alcuni momenti del lungo cammino prospettato dalla Lega Braccianti e dagli Invisibili in Movimento “verso l’uguaglianza, la giustizia sociale e ambientale, la libertà e la felicità”. La manifestazione di questo 18 maggio è un passo ulteriore teso a costruire una società diversa “che possa essere più forte, più equa, più unita, più felice” – come recita il loro manifesto – “che curi e protegga il prossimo aldilà della sua capacità produttiva e del suo valore nel mercato delle competenze”. Una società in cui sia nuovamente possibile progettare “un futuro condiviso a partire da una revisione profonda non solo del modello di sviluppo ma anche del rapporto stesso dell’uomo verso l’ambiente, la natura e tutte gli esseri viventi che la abitano”.

Da Borgo Mezzanone a Torretta Antonacci, dalle campagne di Lucera a quelle della Pianura Padana, i braccianti e le loro famiglie giungono a Roma per chiedere diritti e tutele. Molti di loro scelgono di parlarci della difficile condizione di essere un lavoratore agricolo in Italia: confinati in insediamenti fatti di baracche e container, senza acqua potabile e corrente elettrica, devono far fronte a lavori mal pagati e senza contratto. Due euro e cinquanta l’ora o una paga in natura per dodici ore di lavoro o più è ciò che li attende ogni giorno. La realtà dei campi è critica, chi li abita vive in condizioni di estrema povertà, vittima dell’invisibilità politica e dell’isolamento sociale, preda del caporalato e della malavita.

Una lettera indirizzata al Presidente del consiglio Mario Draghi lo aveva anticipato: i lavoratori e le lavoratrici delle campagne non sono più disposti a sacrificare i loro diritti e le loro vite in nome dell’equilibrismo politico. “È giunto il momento di schierarsi, o si sta dalla parte degli uomini e delle donne che lavorano oppure dalla parte opposta” spiegano i manifestanti, rilanciando la necessità di un’immediata e radicale riforma della filiera agricola che miri a salvare le persone prim’ancora che la raccolta stagionale di frutta e verdura. Le loro proposte sono chiare e concrete: una patente del cibo che garantisca sulle tavole delle famiglie di tutta Italia un cibo eticamente sano, frutto di lavoro e non di sfruttamento; l’emissione di permessi di soggiorno per emergenza sanitaria convertibili in permessi per attività lavorativa; la tutela dei diritti di cittadinanza.

Ai bordi della società dove i diritti sfumano in privilegi, dove il lavoro scolorisce in sfruttamento   e lo Stato degrada in malavita, ci sono persone ancora capaci di sperare un mondo migliore.  I braccianti vogliono uscire dall’inferno dell’invisibilità in cui sono premuti. Reclamano il diritto ad un medico di base, ad un contratto in regola che gli garantisca i contributi pensionistici, all’accesso alle vaccinazioni. Chiedono una vita normale fatta di tutte le possibilità e i diritti garantiti a chiunque altro. Chiedono di essere visti, di essere riconosciuti come persone. Chiedono umanità“Portiamo la nostra miseria sotto il palazzo del Governo” spiega timidamente qualcuno “le nostre armi sono asparagi e carciofi, gli stessi che raccogliamo ogni giorno”. Chiedono diritti e tutele, ma i loro interventi superano la sfera politica e puntano ad un riconoscimento sociale “non migranti, non braccianti, ma uomini e donne sotto la cui pelle nera scorre lo stesso sangue di un europeo o di un asiatico”È necessario superare la dialettica razzista e discriminatoria portata avanti da più parti e a più livelli nel dibattito pubblico e privato: oltre i discorsi d’odio che affollano la politica italiana vi è un’umanità che si cerca di dimenticare e con cui è sempre più difficile fare i conti. Vi sono persone che vivono l’impossibile condizione di essere spinti fuori dalla condizione di umanità. Proprio in quei campi dove crescono frutta e verdura, sembrano non poter crescere i diritti. Le vittime dell’ostinata cecità della politica sono donne e uomini ridotte a braccia per lavorare, costretti ad essere de-umanizzati, resi oggetti costanti delle discussioni dei talk show ma mai soggetti attivi. Oltre i diritti è strappata loro la dignità, la loro identità di persone è sostituita dalla loro funzione sociale o lavorativa.

Per i braccianti è ancora possibile recuperare una dimensione collettiva dove poter maturare una direzione comune e progettare un cammino condiviso, dove ritrovarsi umani, finalmente non più soli. Eppure superare la precarietà esistenziale cui si è consegnati e che ci rende estranei gli uni agli altri, è un percorso nel segno della perdita.

Soumaila Sacko è stato ucciso a fucilate il 2 giugno 2018, Mohammed Ben Ali è morto carbonizzato tra le fiamme dell’insediamento di Borgo Mezzanone il 12 giugno 2020, del numero delle aggressioni ai braccianti e dei colpi esplosi contro le loro abitazioni se ne perde quasi il conto. A tutto questo si aggiunge il suicidio di Fallaye Dabo a Lucera e i braccianti Ebere, Bafode  e Romanus morti della strage del 6 agosto 2018 nel foggiano, quando dopo dodici ore di lavoro nei campi l’autista del loro furgone si è addormentato schiantandosi contro un tir.

Questo non li ha fermati. Le agorà popolari nelle grandi città (Torino, Milano, Napoli e a breve Roma) hanno costituito preziosi momenti d’incontro in cui maturare idee e progettualità comuni, gli sportelli itineranti hanno documentato le realtà degli invisibili, hanno prestato ascolto e assistenza ai braccianti agricoli e metropolitani.  Il progetto è chiaro: federare gli invisibili. Rider, disoccupati, partite iva, studenti e braccianti, il mondo della cultura e quello dell’informazione, chiunque voglia  aspirare  ad “una politica alta, altra, diversa da quella che ci ha ridotto a merce elettorale”, superando le manipolazioni populiste e le polarizzazioni ideologiche con l’obiettivo non di “abbattere il Palazzo, ma di renderlo di nuovo abitabile”. Con quest’ultime parole l’attivista e sindacalista Aboubakar Soumahoro, volto noto della leadership collettiva degli Invisibili in Movimento e della Lega Braccianti, annuncia la loro partecipazione alle elezioni politiche, non prima di un grande appuntamento popolare a settembre.

L’incontro auspicato con il presidente del consiglio Mario Draghi non c’è stato. Al suo posto una lunga assemblea davanti a Palazzo Chigi in cui si sono alternate voci e storie da tutta Italia. “Iniziate a capire il senso della nostra rabbia” dice Aboubakar Soumhaoro al microfono “Volevate braccia, sono arrivati uomini”.

 

*Ndr: con il fallimento della sanatoria voluta nel 2020 dall’allora ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, per la Lega Braccianti non è più possibile rimandare un intervento risoluto da parte del Governo. Delle 207mila richieste di regolarizzazione, solo il 15 percento è stato avanzato da lavoratori impiegati nelle campagne, rendendo vano il tentativo di intervenire sulla condizione di invisibilità sociale e politica in cui versano molti uomini e donne. Un’indagine parlamentare di inizi Novecento testimonia come la situazione agricola italiana non sia affatto migliorata da allora: paghe misere, caporalato e monopolio dei grandi produttori di inizio secolo scorso rappresentano una situazione perfettamente coincidente con quella attuale.

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