Attraverso la legge 211 del 20 luglio 2000, il Parlamento italiano ha istituito il “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la tragedia dell’Olocausto, ovvero lo sterminio del popolo ebraico, nonché i fatti e le vicende ad esso correlati, a partire dalla promulgazione delle leggi razziali che hanno consentito la persecuzione di milioni di persone.

Per la sua commemorazione è stato simbolicamente designato il giorno 27 gennaio, data in cui vennero abbattuti i cancelli del campo di concentramento tedesco di Auschwitz, in Polonia.

Scelta analoga ha effettuato l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, con la risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005, ha stabilito che il 27 gennaio di ogni anno venga celebrata la Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto, invitando gli Stati membri a promuovere iniziative tese a suscitare il ricordo di tale tragedia nelle generazioni future, in maniera da impedire che essa possa essere negata come evento storico e che l’odio, il razzismo, il fanatismo e il pregiudizio possano nuovamente determinare lo sterminio di un intero popolo.

Se vogliamo comprendere i motivi per i quali si è ritenuto necessario non solo istituire, a livello mondiale, una giornata di commemorazione dedicata a fatti avvenuti circa un secolo fa, ma addirittura di perpetuarne istituzionalmente la memoria, non possiamo prescindere dall’analisi di cosa sia stato, in Europa, il genocidio che oggi chiamiamo “Shoah”.

Alla fine della disastrosa prima guerra mondiale, a partire dagli anni Venti nella Germania sconfitta si diffuse un vasto sentimento antisemita, alimentato dalla nascente propaganda nazista, secondo cui gli ebrei erano gli artefici di una vasta cospirazione tesa a conquistare il dominio del mondo intero; queste teorie si basavano soprattutto su un documento falso, denominato “I protocolli degli Anziani di Sion”, reso pubblico agli inizi del XX secolo nella Russia zarista, che l’editore definiva “verbali di riunioni segrete” che avrebbero dimostrato l’esistenza di un complotto mondiale ebraico.

In questo clima di pregiudizio, non fu difficile addossare al supposto complottismo ebraico la responsabilità della profonda crisi economica che in Germania seguì la fine della Grande Guerra; con l’elezione di Hitler a Cancelliere nel 1933, ebbe inizio il processo di discriminazione ed emarginazione degli ebrei tedeschi e la conseguente segregazione in ghetti; discriminazione che trovò copertura legislativa con le “leggi di Norimberga” del 1935 le quali, affermando l’esistenza di una superiore razza ariana, al fine di proteggere il sangue e l’onore tedesco privarono gli ebrei della cittadinanza e di qualsiasi diritto civile, rendendo loro impossibile, tra l’altro, l’esercizio di ogni impiego o professione.

Da quel momento una serie ininterrotta di leggi e atti amministrativi spogliarono gli ebrei delle loro aziende e dei loro beni: ogni pretesto, inoltre, era utile alla propaganda del regime per aizzare l’opinione pubblica contro la comunità ebraica; tutto questo culminò nelle violenze della cosiddetta “notte dei cristalli” quando, tra il 9 e il 10 novembre 1938, vennero prese d’assalto e devastate sinagoghe, abitazioni ed esercizi commerciali da parte di squadre naziste, che sobillarono la popolazione e provocarono una serie interminabile di barbarie, violenze ed arresti dimostrando, una volta per tutte, che in Germania non vi era più speranza di salvezza per gli ebrei.

Dall’emigrazione forzata si passò alle deportazioni di massa degli ebrei in campi di concentramento e di lavoro, situati soprattutto in località di confine, al sicuro da sguardi indiscreti, dove furono costretti ai lavori forzati in inumane condizioni di schiavitù e, a partire dal 1941, in campi di sterminio dove vennero allestite camere a gas e forni crematori di tipo industriale, per dare esecuzione alla “soluzione finale”: lo sterminio organizzato della razza ebraica.

Tra il 1939 ed il 1945 vennero metodicamente uccisi dal Terzo Reich circa 6 milioni di ebrei.

Sull’onda di quanto avveniva in Germania, nel 1938 il regime fascista guidato da Mussolini emanò anche in Italia leggi antisemite (le cosiddette “leggi razziali”), attraverso le quali gli ebrei italiani vennero spogliati dei loro beni e dei loro diritti civili; l’applicazione delle leggi razziali divenne più dura a seguito della proclamazione della Repubblica Sociale Italiana nel settembre 1943; tale governo fantoccio, infatti, collaborò attivamente con gli occupanti nazisti, incaricando le proprie milizie di rastrellare i circa 7.000 ebrei italiani che furono inviati nei campi di concentramento nazisti, dai quali ne  uscirono vivi soltanto 837.

Caratteristica comune della persecuzione razzista, ovunque perpetrata, fu rappresentata da una continua e sistematica spersonalizzazione degli ebrei, che vennero progressivamente spogliati delle caratteristiche dell’essere umano ed accostati, piuttosto, a fastidiosi e nocivi parassiti: questo consentiva di mitigare le remore morali dovute alle atrocità correlate all’attività di sterminio.

A seguito dell’avanzata delle truppe alleate e dell’Armata Rossa, tra la fine del 1944 e i primi mesi del 1945 tutti i campi di concentramento furono liberati, e il mondo intero ebbe la conferma della barbarie e dell’efferatezza degli atti che in quei luoghi venivano compiuti.

Ma il mondo ha imparato la lezione? Veramente le nazioni stanno tenendo fede alla promessa del “mai più” a tanta barbarie?

Le sempre più ricorrenti crisi finanziarie che, investendo l’economia reale determinano periodi di profonda recessione economica in tutto l’Occidente, stanno contribuendo a ricreare le condizioni sociali ed economiche che costituirono il brodo primordiale da cui trassero origine tutte le forme di xenofobia, intolleranza e razzismo che sfociarono nel dramma dell’Olocausto.

Uno dei primi ordini esecutivi firmati dal neoeletto presidente Trump è stato quello che ha vietato tutte le misure inclusive relative alla diversità, all’equità e all’inclusione, realizzando di fatto una discriminazione fra cittadini: ordine che ha cercato di imporre anche alle aziende partner fuori dai confini americani; inoltre, il suo piano per risolvere la grave crisi in Medio Oriente prevede la deportazione dei circa 2 milioni di abitanti della Striscia di Gaza e la realizzazione di un mega progetto di speculazione immobiliare gestito dagli USA.

La guerra Israele – Hamas, scatenata dal barbaro attacco terroristico del 7 ottobre 2023 nel corso del quale vennero uccisi 1.200 cittadini israeliani ed altri 250 vennero rapiti, secondo il Ministero della Salute palestinese ha causato ad oggi l’uccisione di oltre 50.000 civili palestinesi, tra cui molte donne e bambini, abitanti nella Striscia di Gaza. A causa della sproporzionata reazione israeliana, con attacchi missilistici che continuano a colpire soprattutto la popolazione civile e con il blocco degli aiuti umanitari, che hanno ridotto alla fame la popolazione palestinese, il 21 novembre 2024 la Corte Penale Internazionale ha emesso mandato di arresto nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu per crimini di guerra e crimini contro l’umanità; mandato cui il governo ungherese non ha dato corso, in occasione della sua visita in Ungheria del 3 aprile scorso.

Lo stesso Netanyahu, suscitando l’indignazione della comunità internazionale, nei giorni scorsi ha annunciato che, una volta ultimata la visita del presidente Trump in Medio Oriente, prevista nei giorni dal 13 al 16 maggio, darà inizio ad una massiccia invasione della Striscia di Gaza, denominata “Operazione Carri di Gedeone”, che comporterà “lo spostamento della maggior parte della popolazione della Striscia” e “una presenza permanente” delle truppe israeliane.

Tutto questo ci dimostra che il male non mantiene mai lo stesso aspetto, ma si trasforma: la persecuzione oggi non assumerà la stessa matrice che aveva nel XX secolo ma, oggi come allora, si cercherà di avvolgerla in un manto di legalità per renderla irriconoscibile.

Per questo è importante conservare e perpetuare la memoria della tragedia della Shoah; perché ci fornisce gli strumenti indispensabili a riconoscere, oggi, le premesse sociali che l’hanno determinata, al fine di poter denunciare a gran voce il pericolo che questa possa ripetersi.

È importante sottolineare che la commemorazione dell’Olocausto non riguarda soltanto le vittime della persecuzione, ma comprende pure il ricordo di tutti coloro che, senza alcun interesse personale, non si sono voltati a guardare da un’altra parte, ma hanno aiutato e salvato i perseguitati, mettendo a rischio le loro vite e quelle dei loro familiari.

I nomi di queste persone, la cui azioni rimangono a perenne esempio per le generazioni successive, sono iscritti nel novero degli oltre 28.000 Giusti tra le Nazioni, tra cui figurano oltre 700 italiani.

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