Se c’è un luogo a Milano in cui possiamo incontrare Alda Merini, quello sono i suoi Navigli. Questi canali artificiali risalgono al XII secolo e oggi si sono trasformati nel centro della movida milanese. Mantengono sprazzi di quell’atmosfera bohèmien fatta di botteghe artigiane e di osterie che scorreva quotidianamente sotto lo sguardo della nostra “poetessa dei Navigli”.

In Ripa di Porta Ticinese, Alda aveva vissuto l’ultimo periodo della sua vita, dal 1986 quando, lasciata Taranto dove si era sposata in seconde nozze col suo amato Michele Pierri, aveva fatto ritorno nella Milano di cui aveva registrato il progressivo cambiamento.

La poetessa non amava più Milano, e affermava infatti che la città si stava trasformando in una belva. Come in alcune foto storiche, possiamo immaginarci Alda mentre cammina lungo il canale con l’immancabile sigaretta. 

E proprio come nell’immagine di una fotografia che lentamente sbiadisce, sono tanti i luoghi che stanno svanendo da quelle strade. Offuscati dai fumi di weekend interminabili, sotto l’assedio dello scorrere del tempo, ci sono locali, librerie e case dove la poetessa amava fermarsi e battere qualche verso con la sua macchina da scrivere. 

Possiamo affacciarci nelle vetrine del Bar Chimera, o tra gli scaffali della libreria Il Libraccio, ora con un’immagine rimodernata che tradisce la sua lunga storia. Arrivando nel Vicolo dei Lavandai, ci si ritrova nel luogo dove Alda, il 9 agosto del 1954, si sposò con Ettore Carniti, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie al Naviglio. Sulla sponda opposta, dall’altra parte dello specchio opaco dell’acqua, c’è una targa: indica il luogo in cui viveva la poetessa. Al suo interno cela un disordinato accumulo di oggetti di ogni tipo in uno spazio molto ristretto. Un disordine necessario. Perché la casa, per un poeta, è il suo covo e il suo spazio immaginifico. 

Alla sua morte, l’appartamento in cui la poetessa viveva in affitto venne smantellato. 

Solo grazie alla presenza delle figlie, delle istituzioni e di alcuni estimatori, è stato possibile salvare l’arredo e ricostruirlo così com’era in un edificio consacrato alla sua memoria: lo spazio Alda Merini, oggi gestito dall’associazione culturale La Casa delle Artiste. È tra queste vie, nelle deserte estati milanesi, dove il sole somiglia a un orologio, che possiamo immaginarci la poetessa a passeggio, con la sua collana di perle e gli occhi rivolti al naviglio, in cerca dell’ispirazione. 

Da qui Alda cantava la sua Milano, fatta di barboni e ultimi, osterie, lavandaie, sentimenti universali, vita e dolore. Ma da qui, tra gli anni Sessanta e Settanta, fu costretta ad allontanarsi tra un ricovero e l’altro, in dodici anni trascorsi in manicomio.

L’ospedale psichiatrico in cui visse Alda Merini era il Paolo Pini, ad Affori, Milano Nord, ed è un luogo che oggi vale davvero la pena visitare. Tra gli anni Sessanta e Settanta Alda Merini passa dodici anni qui, in manicomio, in quello che è era l’ospedale psichiatrico Paolo Pini, tra condizioni insostenibili ed elettroshock, che il dottore che l’ha in cura cercherà di risparmiarle, quanto meno di ridurle, consegnandole una macchina da scrivere e spronandola a creare i suoi versi. E lei scriverà, testimoniando questi anni terribili (come in La Terra Santa), guardando al di là degli alti muri il cielo di Affori, come nella poesia Il peso di una carezza. Aperto negli anni Trenta, chiuso nei Novanta, oggi l’ex Paolo Pini è invece un incredibile luogo della cultura a Milano, che ha fatto della sua eredità una storia di recupero e riabilitazione attraverso le arti. Qui si mescolano orti, spazi verdi, un ostello, un bar ristorante, teatro e murales, tutti legati dal valore sociale di associazioni ed enti. E qui è nato il MAPP – Museo d’Arte Paolo Pini, che promuove l’arteterapia e conta oggi le opere di oltre 140 artisti. Alda Merini morì l’1 novembre 1999, i suoi funerali pubblici si tennero nel Duomo di Milano, con una grandissima partecipazione, di persone comuni e artisti e intellettuali amici della poetessa. La città osservava il feretro, mentre il ronzio furibondo dell’ape tornava nell’intimità dei misteri del mondo. 

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