INpressMAGAZINE Claudio Palazzi

Intervista di Alessia Mocci a Davide Lisi, autore de Lo stomaco delle farfalle

Un salto. Nessun tonfo. Sul tavolino della camera ci sono ancora gli avanzi dei suoi amori distruttivi. Il letto disfatto e ancora caldo, fuma una sigaretta e agli sguardi inorriditi dei vicini risponde con tono pacato “Io non ho visto niente, posso dirvi quanto si sono mossi e spinti, ma nulla più”.” – “Un salto” estratto da “Lo stomaco delle farfalle”

Davide Lisi pubblica a novembre 2014 una raccolta di racconti per la casa editrice Rupe Mutevole Edizioni nella collana “Trasfigurazioni” in collaborazione con Oubliette Magazine.

Il titolo, “Lo stomaco delle farfalle”, è di grande impatto, la copertina crea una forte empatia appena la si scorge, ci si deve soffermare per curiosare nei particolari dello stomaco della farfalla rappresentato.

Ho incontrato Davide Lisi per una breve conversazione nella quale si invitano i lettori a conoscere meglio l’autore. Buona lettura!

 

A.M.: Ciao Davide, grazie per aver concesso questa breve intervista. Vorrei iniziare da una domanda di rito: quand’è nata la tua passione per la scrittura?

Davide Lisi: È nata come nasce ogni cosa. L’incontro tra due o più persone ed eventi. Ricordo il momento in cui in camera scrissi il mio primo verso. Forse è solo il primo verso che ricordo, magari ne ho scritti altri prima. La memoria ha una vita propria, anche lei cresce, quindi diventa difficile rispondere. In ogni caso, saranno almeno dieci anni.

 

A.M.: Il poeta francese Stéphane Mallarmé sosteneva: “È Poesia il sublime mezzo per il quale la parola conquista lo spazio a lei necessario: comporre versi è un’attività che si potrebbe definire testografica.” Qual è la tua definizione di Poesia?

Davide Lisi: Un tale prima di me disse che definire è limitare. Ci aggiungo che limitare è uccidere. Non sono mica un assassino, no? La poesia ha un solo compito: restare libera. Hanno provato per secoli interi a selezionarla, a relegarla in una camera oscura e senza musica. Si è arrivati a vestirla e portarla sottobraccio a spettacoli in cui veniva solo coperta di moniti e paura. Un abominio. A questo riguardo, il romanzo che sto finendo di scrivere inizia con “l’atto di scrivere una poesia è già poesia”.

 

A.M.: Il titolo della tua nuova pubblicazione “Lo stomaco delle farfalle” è molto accattivante e supportato dalla bellissima copertina creata da Annalisa Zaccaria. Come nasce l’idea del titolo?

Davide Lisi: Il titolo è nato alla fine. Volevo un immagine che desse l’idea delle parole. Immagina di essere un bruco in una crisalide. Quando diventi farfalla non devi strappare la crisalide. Dovresti farci un buco appena per passarci. Guardarla, annusarla e amarla. Portarla sempre con te. Renderla tua, digerirla insomma. Quindi, quale posto migliore dello stomaco? Annalisa è stata bravissima. La copertina è nata davanti a due pinte di birra e tante sigarette. Le sono molto grato e ve la consiglio spassionatamente.

A.M.: Quali sono i momenti della giornata in cui senti il “bisogno” di dedicarti alla scrittura?

Davide Lisi: È come chiedere “quando ti scappa la pipì ?” Quando bevi, ovviamente. E ogni occasione è buona per modularla in parole. Si scrive per infiniti motivi. Perché ci piace, perché lo specchio non ci è mai bastato. Insomma, la storia inizia con la scrittura! È l’unica vera invenzione dell’uomo. Le altre sono progressioni della natura. L’uomo con la scrittura ha creato dio. Inconsapevole, di esserlo già diventato, semplicemente scrivendo. Ovvero, facendo con la propria realtà soggettiva quello che gli alberi fanno con l’anidride carbonica. Ossigeno. Vita!

 

A.M.: Il filosofo greco Platone sosteneva: “La scoperta della scrittura avrà l’effetto di produrre la dimenticanza nelle anime che l’impareranno, perché, fidandosi della scrittura, queste si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesime.” Pensi che questa affermazione descriva la società odierna?

Davide Lisi: Posso affermare che ora Platone, a quelli della caverna, dovrebbe mandare un messaggio su Wathsapp! E l’orrore potrebbe essere la mancata doppia spunta blu. Quando si parla di “società odierna” mi irrigidisco. Quando si parla di “ora” non puoi non citare il prima e il probabile dopo. Siamo miopi. Scrivere e leggere sono occhiali fidati per chi vuole guardarsi e guardare.

 

A.M.: Coltivi altre passioni oltre alla letteratura?

Davide Lisi: Le coltivo e cresco con loro. Amo ogni attività che implichi il mettersi in gioco. Spostarsi da sé, andare altrove. Ho fatto teatro, suono la chitarra, gioco a calcio. Ah, Ascoltare è un’altra grande passione.

 

A.M.: Hai in cantiere qualche presentazione de “Lo stomaco delle farfalle”?

Davide Lisi: Ci saranno tante presentazioni, luoghi fisici in cui incontrarsi e scambiarsi idee e quindi energia. È un piccolo tour. E ho sempre sognato di girare il mondo in tour!

 

A.M.: Come ti trovi con la casa editrice Rupe Mutevole Edizioni? La consiglieresti?

Davide Lisi: Non fa per me dare consigli.

 

A.M.: Salutaci con una citazione…

Davide Lisi: Concludo con una canzone: “like a rolling stone” di Bob Dylan.

 

Per pubblicare con Rupe Mutevole Edizioni invia un’e-mail alla redazione (info@rupemutevole.it), se vuoi pubblicare nella collana “Trasfigurazioni” con la collaborazione di Oubliette Magazine invia ad: alessia.mocci@hotmail.it

 

Written by Alessia Mocci

Addetta Stampa (alessia.mocci@hotmail.it)

 

Info

http://www.rupemutevoleedizioni.com/

https://www.facebook.com/RupeMutevole

http://www.rupemutevoleedizioni.com/letteratura/novita/lo-stomaco-delle-farfalle-di-davide-lisi.html

 

Fonte

http://oubliettemagazine.com/2015/03/06/intervista-di-alessia-mocci-a-davide-lisi-autore-de-lo-stomaco-delle-farfalle/

Un nuovo concetto di tutela

tutèla s. f. [dal lat. tutela, der. di tutus, part. pass. di tueri «difendere, proteggere»] (fonte Vocabolario Treccani)

Il Jobs Act è legge.  Il contratto di lavoro a tempo indeterminato a “tutele crescenti” è realtà. L’articolo 18 è di fatto ormai un’anticaglia, pronta per essere dimenticata una volta che le generazioni assunte a tempo indeterminato prima dell’entrata in vigore del decreto saranno scomparse dai radar delle statistiche. Interessante notare come dietro la dicitura “tutele crescenti” non ci sia una difesa o una protezione per il lavoratore sul posto di impiego, ma sia anzi presente soltanto un aiuto, un indennizzo nel caso, niente affatto remoto, in cui il datore decida di interrompere il rapporto di lavoro. Non un paracadute quindi, nemmeno un materasso su cui atterrare: al massimo una cassetta di garze e bende per curarsi come possibile dopo la caduta.

La manovra varata dal Governo Renzi dopo un anno di mandato prevede infatti il reintegro (da sempre la migliore e più elementare forma di tutela nel mondo del lavoro) del lavoratore licenziato soltanto nei casi in cui alla base di tale provvedimento ci siano motivazioni di tipo discriminatorio, cioè ideologiche, razziali, sessuali o politiche. Il reintegro nei casi di licenziamento per motivi disciplinari saranno invece limitati a casi molto rari, di fatto assimilabili alle discriminazioni descritte poco prima. Ma il vero capolavoro di questa legge-delega è la “liberalizzazione” del licenziamento per motivi economici: in un periodo di forte crisi finanziaria per la maggior parte delle aziende del Paese si dà la possibilità al datore di lavoro di interrompere il proprio rapporto con l’impiegato “causa crisi”, secondo modalità imprecisate e paletti ancora non stabiliti, data la natura ampliabile del Jobs Act tramite decreti accessori. Nel caso in cui un giudice del lavoro dovesse però riconoscere che le motivazioni economiche date dall’azienda non erano tali o sufficienti da causare un licenziamento, anche collettivo, non ci sarà comunque alcun diritto a un reintegro ma solo a un indennizzo proporzionato al periodo lavorato dall’impiegato. Poniamo quindi caso, per assurdo, che un datore di lavoro allo scadere dei tre anni di rapporto “a tempo indeterminato” in cui lo Stato ha versato i contributi previdenziali al posto dell’azienda (decreto Poletti del 2014, di fatto un prologo al Jobs Act) decidesse di liberarsi di un lavoratore adducendo delle false motivazioni economiche dovrebbe pagare soltanto una “penale” di 6 mensilità come indennizzo, soltanto se riconosciuto come colpevole da un giudice, avendo però le mani libere in seguito di riassumere un nuovo lavoratore sfruttando le stesse agevolazioni per i primi tre anni di rapporto: un ciclo che definisce il paradosso del tempo indeterminato a termine.

Ma il Jobs Act non è solo questo. Saranno presenti due nuove sistemi di sussidi di disoccupazione: la Naspi (la nuova-Aspi, sistema antecedente del quale segue di fatto le linee fondamentali) e la Dis-Coll, prima forma di sostegno al reddito di lavoratori a progetto varata in Italia, destinata però a tipologie di lavoratori che presto potrebbero non esistere più. Infatti, a quanto dicono i rappresentanti del governo, in questo pacchetto di provvedimenti è prevista anche una scrematura importante del lavoro precario, grazie all’abolizione delle tipologie di contratto di collaborazione coordinate e continuative e quelle a progetto (co.co.co e co.co.pro). È interessante ancora una volta però vedere come, nella legge sbandierata come quella che proporrà il tempo indeterminato come base per tutti i contratti, si prosegua comunque sulla strada battuta dalla riforma Fornero prima (2012) e dal decreto Poletti poi perfezionando tutte le altre tipologie di lavoro a tempo determinato, quindi precario, come il contratto di somministrazione, a chiamata, lavoro accessorio (voucher) e apprendistato.

Le altisonanti “tutele crescenti del contratto di lavoro” di fatto non sono altro quindi che un maggiore corrispettivo in denaro nel caso di perdita del lavoro stesso: non riguardano la certezza di conservare il proprio impiego, anzi agevolano i datori di lavoro desiderosi di liberarsi di elementi indesiderati, le vere tutele crescenti sono quindi per le aziende, non per i lavoratori. Il probabile aumento di assunzioni a tempo indeterminato che potrebbe avverarsi prossimamente  sarà stimolato dalla decisione dello stato di pagare i primi anni di contributi dei neo-assunti unita alla consapevolezza di una solvibilità unilaterale del rapporto di lavoro, piuttosto che da un miglioramento generale del mondo dell’occupazione considerato ufficialmente come vero obiettivo del Jobs Act. Gli scenari successivi, quando dovessero venir meno gli aiuti del governo, non sono pronosticabili.

A quel punto sarà però certa l’obsolescenza dell’articolo 18, reduce vittorioso di anni di battaglie ma ormai valido solo per i vecchi contratti indeterminati e per i nostalgici del vecchio diritto al lavoro, fondamento della Costituzione Italiana e della tutela (stavolta sì nel significato etimologico del termine) dell’impiego privato.

Intervista di Alessia Mocci a Federico Li Calzi, autore del romanzo Nove periodico

Diceva Oscar Wilde nel suo capolavoro, ‘Il Ritratto di Dorian Gray’, che: “nella vita il vero peccato è fermarsi di crescere”. Uno scrittore, nella sua carriera, scrive più libri proprio perché matura insieme alle sue opere e perché cambiano le esigenze, le condizioni, le emozioni, l’occhio sul mondo in generale; e queste variabili dettano l’esigenza di una nuova pubblicazione e di una nuova esperienza.”

Una considerazione difficile da contraddire: lo scrittore deve crescere, continuare a scoprirsi, ingannare il tempo con nuovi studi perché il mondo e la società continuano la loro corsa in modo naturale, e così naturalmente anche lo scrittore deve aver esigenza di novità.

Federico Li Calzi, conosciuto come il Poeta di Canicattì, ha pubblicato il suo terzo libro, non una silloge poetica come ci si aspettava, bensì un romanzo ambientato nella sua Sicilia.

“Nove Periodico”, edito per Tra@art, è la storia di Mauro, un uomo che dopo anni di lontananza sente la necessità di tornare in patria. Un’esigenza che ricorda la poetica del fanciullino e l’amore verso il luogo natio tanto caro ai maggiori poeti italiani.

L’autore Federico Li Calzi è stato molto disponibile nel rispondere ad alcune domande sulla sua novità editoriale. Buona lettura!

 

A.M.: Ciao Federico, è un piacere incontrarci per una nuova intervista e per parlare un po’ della tua nuova pubblicazione. Se non ricordo male, ci siamo conosciuti con la tua prima silloge “Poetica Coazione”. A distanza di anni cambieresti qualcosa di quelle intense poesie che hanno segnato una possibile via letteraria?

Federico Li Calzi: Ciao Alessia, il piacere è mio e sono gratificato che la mia attività letteraria, dopo anni, continui a suscitare interesse. Un’opera, per chi l’ha compiuta, rappresenta lo spaccato di quel tempo e racchiude l’anima, tutta l’esperienza e ciò che in quel momento è lo stile dell’artista. Con gli anni la materia verbale dell’autore, inevitabilmente, cambia, perché in tutto c’è, e deve esserci, una evoluzione e trasformazione (ma non stravolgimento) che distrugge lo stile di scrittura precedente e ne riforma un altro, sulle basi e le tecniche del passato: nuovo, rigenerato, ma cosciente e padrone del vecchio stile, la così detta “mano fatta”. Un’artista ha l’obbligo spirituale di continuare la sua corsa evolutiva per crescere nel tempo. Diceva Oscar Wilde nel suo capolavoro, ‘Il Ritratto di Dorian Gray’, che: “nella vita il vero peccato è fermarsi di crescere”. Uno scrittore, nella sua carriera, scrive più libri proprio perché matura insieme alle sue opere e perché cambiano le esigenze, le condizioni, le emozioni, l’occhio sul mondo in generale; e queste variabili dettano l’esigenza di una nuova pubblicazione e di una nuova esperienza. In definitiva, per rispondere alla tua domanda, “Poetica Coazione” rappresenta la stratigrafia del mio passato, come artista/scrittore, che scandaglia le emozioni e le idee di quel momento e che ho voluto congelare e consegnare, con una pubblicazione, all’umanità. Quindi non soltanto non cambierei nulla di quel volume ma, per come in intendo l’arte, non sarebbe nemmeno giusto.

 

A.M.: “Dittologie congelate”, la tua seconda silloge, continua il discorso di “Poetica Coazione”, ma presenta una struttura del verso più articolata. Un’evoluzione della prima raccolta?

Federico Li Calzi: Come ho già detto, ogni libro racchiude una nuova esperienza che si risolve in un nuovo stile di scrittura ed in una nuova evoluzione dello stile.

 

A.M.: Ed ora la tua nuova pubblicazione non è una silloge poetica bensì un romanzo “Nove periodico”. Quando e come è nata l’idea di scrivere in prosa?

Federico Li Calzi: Ogni autore, che non sia un poveretto, prima di scrivere un romanzo si pone dei quesiti, sullo stile da usare, sul ritmo, sul genere (se scrivere, quindi, un romanzo storico, di denuncia sociale, poliziesco, malavitoso, d’amore, d’amicizia), anche sulla nuova realtà che questa storia deve portare alla luce e sulle regole che lo scrittore possiede e che s’impone di rispettare nello svolgimento testuale, così da crearsi mentalmente, ed a livello concettuale, uno schema: un progetto, per avere chiaro il quadro come iniziare la costruzione della scrittura e dove porre la parola fine. Personalmente, all’inizio, sapevo soltanto che avevo dei blocchi di realtà e vita vissuta, per me preziosi, da raccontare, da esporre, ma non capivo bene come incastonarli e connetterli fra loro, nella vicenda da narrare, per farli funzionare. Alla fine ho fatto chiarezza, ho preso coscienza del mio passato e sono riuscito a possedere la mia storia. Ho capito che la realtà nuova da raccontare, e che sicuramente nessuno poteva conoscere meglio di me, era la mia vita; partendo proprio dai primissimi ricordi della mia infanzia; quindi i cambiamenti e le metamorfosi socio/economiche e culturali che si avvicendavano e avvenivano in Sicilia nei primi anni Ottanta, con il benessere e le tecnologie (che ho vissuto in prima persona) e come queste mutazioni venivano recepite da quella società e mentalità contadina e, perché no, raccontare, anche attraverso la fantasia, elemento fondamentale della creatività, le aspirazioni dell’autore. L’idea è stata quella, allora, di creare un personaggio che nel romanzo renda possibile quello che nella realtà non è stato e che sono rimasti solamente dei sogni, cioè diventare un musicista di successo. Questo personaggio è di fatto lo sdoppiamento dell’autore: Mauro per metà e, per l’altra metà, l’amico Ntonio (queste due figure sono le due facce della stessa medaglia), ma in parte, e non in maniera marginale, anche del ragazzino Luca, figlio di Ntonio. I due personaggi si completano a vicenda, Ntonio è colui che da ragazzo insegna molte cose a Mauro. Mauro è colui che va alla ricerca profonda della verità e delle cose, che ha imparato dall’amico, senza mai fermarsi (neanche quando fa male), lezione, questa, che gli darà, come si vedrà alla fine del romanzo, quando Ntonio non trova più il coraggio di agire e di affrontare i problemi e Mauro, invece, è determinato ad andare fino in fondo, alla ricerca della verità. In definitiva, Mauro metterà in atto tutto ciò che l’amico Ntonio gli ha insegnato. Così ho fatto partire il romanzo dal momento in cui Mauro ritorna al suo paese Canicattì. Ciò nello svolgimento della narrazione, oltre ad essere un momento suggestivo, mi ha dato dei vantaggi, come avere la possibilità di muovermi a livello temporale sul piano del presente ma anche sul piano del passato. Credo inoltre che nell’excurrere testuale è facile notare come il “romanzo sia costruito su diversi livelli che interessano sia la forma che il contenuto” (L. Carrubba), o meglio contemporaneamente vengono raccontate più storie che si stratificano in una minuzia di particolari ma che vanno a confluire tutti sul personaggio Mauro. Luca, peraltro come esempio già citato, è un altro momento iniziale della narrazione, o meglio la storia di questo bambino, che si svolge nella campagna che, non a caso, coincide perfettamente con la storia di Mauro, va a colmare proprio quella parte di vissuto mancante del protagonista  attraverso le sensazioni, le idee, le speranze, le aspirazioni di questo bambino.

 

A.M.: Nuccio Mula ed Enrico Testa sono due nomi confermati in “Nove periodico”. Come nasce questa profonda collaborazione ed amicizia letteraria che vi lega?

Federico Li Calzi: La collaborazione nasce nel 2009 quando Nuccio Mula, dopo aver letto le prime poesie sparse, che sarebbero poi divenute il corpo di “Poetica Coazione”, mi diede la spinta finale verso la pubblicazione. Devo molto al Prof. Mula, è stato lui a darmi fiducia e determinazione. Il libro che nacque da questo connubio (Poetica Coazione) fu accolto e recensito da Enrico Testa che si pronunciò positivamente sull’opera, da qui iniziò un rapporto di stima che ci lega ancora oggi. Voglio ricordare, inoltre, che sia Nuccio Mula che Enrico Testa sono stati presenti, a settembre del 2014, per la prima presentazione ufficiale a Canicattì di Nove Periodico, ciò a testimonianza del supporto culturale e affettivo che mi riservano.

 

A.M.: La copertina firmata da Gianfranco Gallo rappresenta un bambino che cerca di scavalcare una rete su un campo dai colori estivi. Un invito ad oltrepassare i limiti?

Federico Li Calzi: Questa è forse la domanda che meglio riassume il senso di Nove Periodico. La copertina è la summa e racchiude l’archetipo profondo e generale di questo libro: rappresenta, contemporaneamente, il bambino Luca, che è una delle chiavi di lettura, e il protagonista Mauro che, come Luca, ha vissuto l’infanzia in quella stessa terrà e in quella campagna, con la speranza di andare via, di fuggire per trovare il successo. Ma, inevitabilmente, spinto da più motivazioni, ritornerà per ritrovare il suo mondo, le sue cose i suoi affetti, ormai perduti, e capire che in fondo in questo mondo non bisogna poi girare tanto per essere felici e a volte basta accontentarsi e prendere la vita così come viene. L’immagine del bambino che vuole scavalcare rappresenta, allora, la voglia di scoprire ma anche quello di andare via, simboleggiato, proprio, da quella traversa di ferrovia che si vede nella copertina che fa da recinto. Questo bambino che è attento alle piccole cose della natura, che conosce le coltivazioni, gli innesti, le piante.

 

A.M.: Un uomo, Mauro, che decide di tornare in Sicilia, i ricordi dell’adolescenza si sovrappongo alla nuova realtà, agli anni che sono trascorsi. Com’è nato Mario nella tua mente? Qual è la percentuale di realtà presente nel romanzo?

Federico Li Calzi: Mauro e Ntonio come ho già detto, sono in realtà la stessa persona. A Mauro ho fatto realizzare, nella fantasia del romanzo, quelli che erano i miei sogni. C’è da chiedersi, allora, se egli che è andato via, ed ha ottenuto il successo, di fatto e rispetto all’amico, si sente realizzato, se è felice e se la felicità nella vita esiste e se ha trovato la sua serenità. I due personaggi confluiscono sulla stessa figura. Non è un caso che Mauro non viene mai descritto fisicamente, egli è quasi un’anima: la controparte che c’è in ognuno di noi, non ha corpo materialmente. È  una voce narrante, a differenza di Ntonio che viene costantemente descritto nella sua fisicità. Sono entrambi il retto e il verso della stessa medaglia. Mauro è una persona scevra da condizionamenti. Ma, come si vedrà nello svolgimento del romanzo, pagherà a caro prezzo questa sua libertà, restando in una dimensione sociale, umana, culturale e geografica ai margini e che non lo colloca in nessun livello.

 

 

A.M.: Scrivere un romanzo ambientandolo nella propria città, Canicattì. Il luogo natio diventa così principale nella tua produzione letteraria, quasi come un ricordo di poetica ottocentesca. Quanto è grande il tuo amore per la Sicilia?

Federico Li Calzi: È stato quasi scontato, per come io intento l’arte, ambientare la mia opera in Sicilia; non credo si possa scindere l’anima dell’artista dalla sua terra, dal posto dov’è nato e cresciuto e si è formato. Egli è parte integrante di quel contesto, di quel territorio, della terra, di quei luoghi, di quella società, di tutto ciò che si porterà dietro nella vita e di tutto quanto ha vissuto e imparato nella sua adolescenza. Si porterà dentro sempre quel mondo e quel modo di vedere le cose.  Quindi, scrivere un’opera e parlare della propria terra significa, anche, possedere la propria esperienza, fare i conti con il proprio passato, la propria vita, i propri limiti, le proprie ambizioni, cosa non sempre facile nel mondo d’oggi inquinato dai più prepotenti e arroganti mezzi di comunicazione e social network che annientano ogni possibilità di solitudine e quindi di riflessione.

 

A.M.: Com’è il tuo rapporto con la poesia oggi, dopo l’esperienza della prosa?

Federico Li Calzi: Credo di essere arrivato al Romanzo (e lo dico senza vezzo d’ambizione) quando ero già sicuro di una mia forma, di un mio stile. Certamente l’esercizio narrativo porterà nuova linfa anche alla poesia. Quindi come diceva Pavese “dopo un certo silenzio, ci si propone di scrivere non una poesia ma delle poesie”.

 

A.M.: Salutaci con una citazione…

Federico Li Calzi: In arte non si deve partire dalla complicazione. Alla complicazione bisogna arrivarci. Non partire dalla favola simbolica di Ulisse, per stupire; ma partire dall’umile uomo comune e a poco a poco dargli il senso di un Ulisse.” (dal Mestiere di Vivere di Cesare Pavese)

Un caro saluto a tutti i lettori.

 

A.M.: Un saluto a te caro Federico ed un augurio per questa nuova pubblicazione, che possa portarti le gioie della poesia.

 

Written by Alessia Mocci

Addetta Stampa (alessia.mocci@hotmail.it)

 

Info

http://www.federicolicalzi.it/

https://www.facebook.com/pages/Federico-Li-Calzi/188911001130172

 

Fonte

http://oubliettemagazine.com/2015/02/23/intervista-di-alessia-mocci-a-federico-li-calzi-autore-del-romanzo-nove-periodico/

Prestiti personali: 5 regole per valutarli

Al giorno d’oggi ci sono tantissime banche e istituti di credito che offrono prestiti personali, anche senza garanzie né busta paga, ma per scegliere quello migliore occorre seguire 5 regole fondamentali. Con la crisi sempre crescente e il tasso di disoccupazione, è facile chiedere del denaro ad una banca o ad un altro istituto senza valutare bene il prestito migliore e soprattutto che quest’ultimo sia in linea con le proprie esigenze. Anche se non ne capiamo molto in materia, è sempre bene -quantomeno- mettere a confronto finanziamenti personali consultando qualche pagina sul web.

La prima cosa sulla quale focalizzarsi è sicuramente il TAN ovvero il Tasso Annuo Nominale e cioè l’interesse che si aggiunge ogni mese alla cifra che si deve restituire all’istituto di credito. Ovviamente più la percentuale del TAN è bassa e meno sarà l’interesse su ogni rata mensile. Fare preventivamente un confronto finanziamenti personali aiuterà anche a valutare le spese accessorie e verificare bene se sono incluse nel TAN oppure si devono aggiungere sotto forma di TAEG.

Le spese accessorie a volte sono ignorate ma in alcuni casi possono essere anche molto alte. Per spese accessorie si intendono quei costi necessari per gestire il prestito e vengono incluse in questo calcolo l’imposta di bollo, le spese di istruttoria della pratica, quelle di gestione della rata e se è presente o meno un’assicurazione. Alcune banche e istituti di credito posso chiedere il pagamento delle spese necessarie per chiudere la pratica e anche quelle per le comunicazioni a cadenza prestabilita.

Quando si sta firmando un contratto per un prestito è necessario verificare se è presente un’assicurazione e se la sua stipula è obbligatoria oppure a scelta del cliente. Anche se grava sul prezzo finale del prestito, stipulare una polizza assicurativa può dare maggiore tranquillità a chi firma un contratto nel caso non possa pagare le rate per una grave malattia, un incidente o in caso di morte. In questi casi specifici, la compagnia assicurativa, restituirà l’intera somma restante alla banca secondo i termini del contratto della polizza stipulata dal cliente al fine di saldare il suo debito.

Per ottenere il prestito più agevolmente è utile segnalare un garante che firmerà il contratto come fideiussore. Il garante ha il compito di garantire che le rate vengano tutte pagate anche se l’intestatario del prestito ne è impossibilitato o decide di non pagarle più. La persona che garantisce il versamento delle rate e la loro puntualità ovviamente è una possibilità in più per ottenere il prestito. Il ruolo di garante può farlo un genitore, un altro parente o un amico di fiducia.

Per ultimo, bisogna tenere sempre presente che le banche accettano molto più volentieri di prestare denaro a chi da la certezza che lo restituirà nei termini pattuiti. Se si chiederanno rate di minore importo da restituire in più anni è molto più probabile che la banca, dopo attenti controlli, conceda il prestito. Gli istituti di credito e le finanziarie controllano sempre che l’importo della rata mensile, non superi del 30% quello del reddito e/o dello stipendio dell’intestatario; in questo modo si assicura che la persona potrà tenere fede ai suoi impegni. Chiedere, dunque, rate di minore importo da alla banca maggiori certezze e concederà il prestito molto più facilmente.