Classe 1988, genovese, un’anima dolce e sensibile che si è affidata alla scrittura per riuscire ad affrontare paure e fragilità. Potremmo riassumere così Anita, nome di fantasia che le ha permesso di liberarsi dalla convinzione di essere sbagliata, riconquistando sé stessa.

“Avrei voluto portarti sulla luna, ma ho trovato posto solo al lago” segna il suo esordio letterario, una storia dalla grande carica emotiva in cui il lettore, come se fosse preso per mano dalla protagonista, compie al suo fianco un viaggio in un amore drammaticamente meraviglioso.

Anita, come definiresti la tua creatura letteraria, la tua figlia di carta?

Sì, una meravigliosa e fantastica figlia di carta che mi sta regalando solo soddisfazioni, che mi ha messo davanti a ostacoli che pensavo insuperabili, dimostrando a me stessa di poterli affrontare, regalandomi autostima e deliziandomi con un po’ di orgoglio nei confronti di me stessa.

Quali sono le fonti di ispirazione di cui ti servi quando scrivi? Parti da esperienze reali, autobiografiche o dalla tua immaginazione?

Tutto inizia quando ho bisogno di elaborare un sentimento o un malessere che crea in me emozioni con una grande carica emotiva, successivamente cerco di unire esperienze personali con eventi di pura immaginazione.

Le tue pagine sono intrise di passione, tenerezza, gioia nonostante con coraggio affronti e attraversi a gamba tesa il dolore e la perdita raccontando la storia di Anita e Agostino, una giovane donna e un giovane uomo uniti da un destino che li dividerà, forse invidioso di un sentimento così travolgente e peccaminoso da scatenare contro di loro una morte prematura. Come hai fatto a narrare sentimenti così intensi e il dolore della malattia e della morte?

Come avrete ben capito, sono una persona molto emotiva, forse anche eccessivamente, al contempo proprio per sopperire a questa fragilità il più delle volte sono incline a un atteggiamento più aggressivo, sulla difensiva, riuscendo così a nascondere questi miei aspetti, che inevitabilmente escono fuori quando vengo a contatto con i problemi, la sofferenza e la gioia di una persona.

Purtroppo ognuno di noi si è relazionato con la sofferenza di qualcun altro, ha letto o ascoltato storie di persone che hanno dovuto affrontare l’enorme dolore della malattia e l’immenso vuoto che lascia nelle nostre vite la morte di una persona.

Ho cercato così di immergermi nella tragedia di Anita e Agostino, il più delle volte mentre scrivevo mi sono ritrovata a piangere come se stessi vivendo in prima persona la loro esistenza.

 Nella veste di lettrice ricerchi, analogamente, una sorta di catarsi?

Non sempre, ci sono periodi dove siamo predisposti ad affrontare i nostri conflitti interiori o i nostri traumi, altri periodi invece vogliamo metterci a riparo e sospendere tutto quello che ci crea dolore, in base a questo scelgo se voglio rifugiarmi in un libro o voglio essere aiutata da un libro.

Infine, quali tematiche sociali pensi di non aver toccato in questo tuo romanzo d’esordio e vorresti trattarle in futuro?

Trattare tematiche sociali è una responsabilità che non può essere presa con leggerezza e con tutta onestà non penso di averne trattate, sono certa di aver messo dentro a questo libro la parte emotiva della mia persona, ho raccontato l’amore, la paura, ho descritto come vedo il dolore e come penso di percepirlo, con la convinzione di poter donare emozioni e sensazioni.

In futuro mi piacerebbe affrontare tematiche sociali, ma con la capacità e la maturità di poter offrire ai lettori un materiale che possa sensibilizzare e, allo stesso tempo, possa essere l’inizio di un vero cambiamento, agendo concretamente.

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