Il Canada esce di scena da Kyoto, suscitando scalpore nel forum in Sud Africa. Tra i paesi che parlano di riconversioni verde si è notata molta insoddisfazione per la decisione presa dal governo di Ottawa che ha addirittura provocato l’indignazione della Cina, lo stato più inquinante al mondo, che a due giorni dalla sua virata ecologica, bolla la decisione canadese come “deplorevole”. Di ritorno dalla conferenza sui cambiamenti climatici in Sudafrica, il ministro dell’ambiente Peter Kent ha giustificato la decisione con il fatto che il Canada avrebbe rischiato di pagare sanzioni per 14 miliardi di dollari se fosse rimasta tra i firmatari del protocollo. Infatti il Canada sconta la decisione del governo conservatore di Steven Harper che aveva apertamente respinto i suoi obblighi e denunciato “l’errore” della ratifica del protocollo ad opera del governo liberale che lo aveva preceduto. Tuttavia, le motivazioni del passo indietro canadese, sembrano derivare anche dalla debolezza dell’accordo di Kyoto che, firmato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, è l’unico quadro giuridicamente vincolante mai siglato per frenare l’effetto serra. «Il protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici non funziona» ha commentato Kent, aggiungendo che «Come abbiamo già detto, il Protocollo per noi è il passato». Secondo il ministro canadese, il fatto che Kyoto non vincoli gli Stati Uniti e la Cina significa che non può funzionare. A prescindere dalle considerazioni di bilancio di ogni singolo Stato, il dato certo è che il Protocollo è ad adesione volontaria ed incide solo sui coefficienti di riduzione delle emissioni di gas serra. Questo tipo di modalità non sembra risolvere il problema dell’inquinamento, poiché anche per i paesi firmatari è facile aggirare l’ostacolo dei tetti massimi di inquinamento tramite il pagamento di sanzioni. Insomma, la cosiddetta riconversione verde non può passare ancora attraverso imposte pigouviane ne tantomento può considerare il problema della riduzione dell’inquinamento come volontaristico. Servirebbero controlli a monte, nella “filiera produttiva dell’inquinamento” e non solo nella coda delle emissioni. Cosa che la 17ª conferenza sul clima di Duban non ha ancora recepito.