Pareti bianche, luci non molto forti, pavimento di marmo color cipria. Una professoressa cerca di tranquillizzare giovani studenti di un liceo linguistico, un bambino già stanco sbuffa seduto su una panca posta al centro della sala. Gli occhi però, sono attirati da tutte quelle cornici scure appese al muro che contengono foto rigorosamente in bianco e nero. Sul muro leggiamo: “Attraverso oltre 400 tra fotografie, disegni, dipinti, film e documenti […]”; sono le parole di Clément Chéroux, curatore della mostra su Henri Cartier-Bresson. Le opere esposte all’Ara Pacis, Roma, dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015, a dieci anni dalla scomparsa del fotografo.
La grande bravura di Henri Cartier-Bresson sta nel cogliere l’attimo e riuscire a realizzare la sua intenzione senza chiedere, a quelli che poi divengono gli ignari protagonisti delle sue foto, di assumere pose plastiche. Il più grande esempio di questo carpe diem è la famosa foto “Dietro la stazione Saint-Lazare” scattata a Parigi nel 1932. La foto ritrae il momento esatto in cui un passante sta per mettere il piede sulla strada allagata. Cartier-Bresson riesce a scattare la foto prima della “catastrofe” e il passante viene così immortalato in una posa che richiama quella del poster alle sue spalle raffigurante una ballerina mentre esegue un passo di danza. Rivediamo in questo scatto la passione per il movimento condivisa da tutti i surrealisti come nella famosa foto di Man Ray della ballerina di flamenco del 1934 che compare anche sulla rivista Miniature. Questa rivista è presente alla mostra in una teca e sulla pagina accanto alla foto di Man Ray è possibile anche leggere l’articolo di Andrè Breton “La beauté sera convulsive”. Ed è sempre ad Andrè Breton e Man Ray che Cartier-Bresson si ispira nelle sue foto che ritraggono volti coperti o corpi avvolti da lenzuola che vogliono suscitare curiosità ed erotismo in chi li osserva, come nello scatto spagnolo del 1933 dal titolo “Caro Breton questo panno è affar suo […]”.
Un’opera che lo collega ai surrealisti è il “magico circostanziale”. Come spiega la dicitura sul muro si intende il caso, un incontro casuale. A testimonianza di ciò la foto scattata a Livorno nel 1933 “Testa a nodo”, che ritrae un uomo intento a leggere mentre una folata di vento gli fa volare il nodo della tenda in faccia che prende così il posto della testa del lettore.
Altro elemento surrealista sono i tanti scatti alle persone che sembrano “sognatori diurni” come la foto del 1933 a Barrio Chino, Barcellona. Un venditore assopito ha al muro alle sue spalle un disegno che potrebbe rappresentare il sogno che sta facendo o la sua caricatura.
Ma in Cartier-Bresson non c’era solo un’attenzione al surreale. Nel catalogo della mostra edito da Contrasto, commissionato dal Centro Pompidou, leggiamo: “Le sue posizioni politiche sono molto vicine a quelle dei comunisti: anticolonialismo, sostegno dei repubblicani spagnoli e lotta contro l’ascesa del fascismo”.
Un’intera parete alla mostra è dedicata alle sue foto ritraenti la povertà, un uomo sul marciapiede di spalle e una donna in piedi che lo osserva; un uomo per strada che tiene in braccio un bambino, Madrid 1933. Sulla parete opposta, quasi per ironia, le foto dell’incoronazione di Giorgio VI a Londra, dove nel 1937 Bresson si reca in veste di inviato per Ce soir, quotidiano comunista. Eppure in questi scatti il fotografo piuttosto che immortalare il regale evento, punta il suo obiettivo sulla folla intenta ad guardare ciò che accade.
La sua firma all’anticolonialismo è rappresentata dalla foto scattata a Martigues nel 1932, dove vediamo la statua in bronzo raffigurante un bambino appoggiato al monumento dedicato al Primo Governatore francese dell’Indocina. Cartier-Bresson riesce a comporre una sorta di collage tra la figura del bambino in primo piano e la testa del cavallo legato al carretto alle spalle della statua, così da far sembrare che il bambino stia urinando sul monumento.
Tra le tante foto interessanti alla mostra, ci sono anche quelle che Cartier-Bresson fece dal 1936 sul settimanale francese Regards. Il settimanale istituì un concorso. Compariva sulla prima pagina una foto di un bambino, ogni volta diverso, della periferia francese. La didascalia delle foto, che recavano sempre lo stesso titolo “Il mistero del bambino scomparso”, invitava i genitori qualora avessero riconosciuto loro figlio, di presentarsi presso la redazione per ritirare un premio in denaro. Scopo del giornale era, oltre quello pubblicitario, anche di dimostrare l’interesse verso le famiglie bisognose e gli abitanti della periferia parigina.
L’illustre fotografo fu anche assistente del regista Jean Renoir. In uno dei filmati presenti all’Ara Pacis sullo sfondo, prima dell’inizio della ripresa leggiamo “Una partie de champagne” 1936, in cui Cartier-Bresson fa la comparsa. Veste i panni di un giovane prete che si distrae guardando delle ragazze che vanno sull’altalena e viene così redarguito da uno dei preti più anziani con cui sta passeggiando.
Per restare in tema di pellicole, all’Ara Pacis è presente anche un estratto del suo film del 1936 sulla Guerra di Spagna “Victorie de la vie”.
Ma tornando ai negativi, tra le foto più toccanti ce ne sono nove. Tutte in sequenza, dalla didascalia leggiamo “In un campo di profughi una collaborazionista viene riconosciuta dalla donna che aveva denunciato” 1945 Dessau, Germania. Le foto rappresentano un solo attimo, quello della donna denunciata che schiaffeggia la collaborazionista. Nonostante le foto siano ben nove, nella mente restano unite come se fossero un unico scatto che ci racconta l’intera vicenda.
Nel 1947 fonda l’agenzia Magnum Photos e questo sancisce anche l’inizio del vero e proprio impegno di fotografo soprattutto verso il genere del reportage. Dal 1946 fino agli anni 70, per volere delle riviste per cui lavorava, Cartier-Bresson comincia a fare scatti a colore, sebbene lui amasse e preferisse il bianco e nero. Una teca mette in mostra le sue foto a colori sulle riviste Illustrated e Life. Ed è proprio per Life che nel 1948 Bresson va in India ed assiste e fa scatti durante il funerale di Gandhi.
Nel 1954 si reca in URSS, dopo la morte di Stalin, e fotografa la vita quotidiana dei russi. Nel 1957 fotografa la “Sei giorni”, celebre gara ciclistica.
Sempre per la rivista Life, nel 1963 è a Cuba, quando Castro è al potere durante la Crisi dei Missili.
Nel 1968 fa un vero e proprio reportage della Francia, alla mostra è esposta questa stupenda foto, scattata a Brie nel medesimo anno, con fitti alberi che fanno ombra sulla strada quasi a formare un passage.
Arriviamo così agli anni Settanta, quando il fotografo depone la sua “arma” per riprenderne un’altra, la matita. Ricomincia infatti a disegnare e tanti sono i suoi autoritratti, ma non solo, che lo testimoniano. Una foto, questa volta non scattata da lui ma a lui dalla sua seconda moglie e membro anch’ella della Magnum Photos, Martine Franck, che immortala Cartier-Bresson intento a mirarsi allo specchio per poi disegnarsi.
Henri Cartier-Bresson, artista poliedrico, pittore, fotografo e in età avanzata disegnatore, quasi un ritorno alle origini. Nonostante ciò, è conosciuto ai più come uno dei più grandi fotografi del XX secolo. Proprio lui che non desiderava altro che dipingere, infatti frequentò l’Accademia di André Lhote. Eppure nel 1929 inizia la sua carriera fotografica, spinto dall’ammirazione per il fotografo surrealista Eugène Atget, morto nel 1927, le sue prime foto ritraggono vetrine con manichini e insegne di vecchi negozi. In molti scatti di questo periodo è visibile, volutamente, il riflesso sulle vetrine del cavalletto della sua macchina fotografica, proprio come faceva Atget. Ma è più precisamente di ritorno dall’Africa nel 1930 che Cartier-Bresson prende atto pienamente della sua volontà di divenire fotografo. In Africa, infatti, a differenza di altri occidentali, preferisce fotografare bambini intenti a giocare o uomini che lavorano.
Un attimo di distrazione. I ragazzi del liceo seguono adesso silenziosi ed ordinatamente la guida, un signore fingendosi indifferente li segue in disparte per ascoltare anche lui la spiegazione.
Dopo l’Africa e la presa di coscienza, Cartier-Bresson viaggiò moltissimo, Francia, Italia, Ungheria. Tipiche di questo periodo le foto che si ispirano alla “Nuova Visione” che una scritta posta su una delle pareti spiega essere una corrente nata dal Costruttivismo russo. Le foto di questo periodo sono scattate dall’alto o dal basso, si perdono i punti di riferimento. L’attenzione alle figure geometriche ereditata dal periodo all’Accademia di Lhote. Nessuna figura umana è in posa, Cartier-Bresson coglie l’attimo in cui figura geometrica e figura umana si fondono in quel momento che lui stesso chiama “coalizione istantanea”. Tutto questo è visibile nella foto che porta la didascalia “Madrid – Spagna 1933”. Un passante con cappello viene immortalato proprio mentre cammina davanti a un cerchio disegnato su dei pannelli alle sue spalle.
Impossibile riuscire a parlare in modo esaustivo di tutti i percorsi di vita o di tutte le opere di questo grandissimo Artista, senza dubbio l’unico modo per saperne di più è andare alla mostra e trascorrere qualche ora in compagnia di Henri Cartier-Bresson.