Perché oggi si parla del Quarticciolo? Quarticciolo è al centro di una questione politica molto più ampia. La borgata romana, fondata ai tempi del Fascismo, vede contrapporsi modelli di sviluppo e di gestione molto diversi tra loro, nati, tra le altre cose, dall’estensione del cosiddetto “modello Caivano”, ma anche dalla volontà di parte dei cittadini di autorganizzarsi, a fronte dell’assenza delle istituzioni. Attorno a Quarticciolo, insomma, orbitano questioni ormai radicate, ma anche pratiche pienamente legate all’attualità politica. Proviamo a offrire una panoramica.

Le origini del Quarticciolo

Quarticciolo è una delle borgate romane. Si tratta di aree povere della città, nate dalla pianificazione urbanistica di Roma come direttrici di sviluppo della città[1]. Il loro scopo dichiarato sarebbe stato quello di dare alloggio a sbaraccati e immigrati, dando vita – almeno all’inizio – a veri e propri sconci urbanistici[2]. Quarticciolo sorgerà più tardi di altre aree, nel contesto delle borgate “popolarissime”, meglio pensate rispetto ai primi insediamenti, ma anche più riconoscibili e maggiormente legate, nel tempo, alla memoria storica cittadina:

Primavalle, Trullo, Val Melaina, Quarticciolo, Tufello, Donna Olimpia, San Basilio sono tutti quartieri che per la maggior parte dei romani hanno un significato preciso, che si confonde intrecciandosi con la storia di Roma contemporanea nei suoi momenti cruciali: il fascismo, la guerra, la Resistenza, il lungo dopoguerra, le Olimpiadi, gli anni Sessanta e Settanta contrassegnati dalla forte conflittualità politica e sociale.[3]

Al netto di una stratificazione sociale e politica più complessa, ricostruita da Villani, le borgate funzionarono anche da laboratori di educazione fascista[4]. Lo sforzo di costruire abitazioni per i nuclei familiari in un contesto urbanistico ad hoc corrispondeva a una visione più ampia sulla città, orientata, pur in maniera vaga, dalla volontà di contrastare l’urbanesimo e “ruralizzare” la capitale[5]. Ruralizzando la città, si educavano gli uomini.

Più prosaicamente, però, l’attività urbanistica si legava a doppio filo a una politica di edilizia popolare svalutata come architettura “minore”[6], il cui orientamento risultava dall’oscillazione del razionalismo italiano tra due istanze, quella tradizionalista e quella innovatrice, oltre che schiacciata sotto le esigenze propagandistiche del fascismo. Nasceva così la casa popolarissima, versione “povera e storpia” della casa minimum del razionalismo europeo[7].

In questo contesto, con una svolta avvenuta a partire dagli anni Trenta, dopo i primi tentativi più o meno riusciti, la casa popolarissima porta con sé due processi opposti: un perfezionamento nella progettazione urbanistica, ma anche un abbattimento degli standard. Da una parte, si sceglie di dare alloggio solo ai poverissimi; dall’altra, si privilegia un’ottica di perseguimento della massima economicità e velocità nel completamento dei progetti[8]. Quella che doveva essere la casa felice del contadino, non solo non crea dal nulla dei contadini[9], ma limita la propria “ruralità” all’allontanamento degli insediamenti dalla città.

Quarticciolo nasce da questa smania, ma rimane al contempo uno degli esperimenti più riusciti del periodo[10]. Un’area dotata di una propria estetica e di una propria vitalità[11], quanto, però, priva negli anni dei servizi più elementari[12].

Oltre alle storie di sfurtune personali e collettive, però, è proprio in borgate come il Quarticciolo che, come già detto, si accumulano alcune delle esperienze più importanti della Resistenza romana, con la presenza della nota banda del Gobbo, oltre delle fasi successive, inclusa una successiva fase di normalizzazione che racconta meglio di altri eventi la torbidità che si annida alla fine di un autoritarismo:

Una volta ucciso il Gobbo […] la presenza dei suoi uomini armati nella periferia est di Roma costituì il pretesto per una sensazionale operazione di polizia, conclusa all’alba del 20 gennaio 1945 con la perquisizione di tutte le abitazioni del Quarticciolo e l’arresto di 350 giovani della borgata. L’intervento, di fatto un’azione normalizzatrice svolta nella temperie politica del periodo post-resistenziale nei confronti di un quartiere abitato da elementi “turbolenti” e perciò pericolosi, provocò incidenti e la morte di due persone, tra cui un vecchio militante del Pci, Arduino Fiorenza, percosso dai carabinieri e finito a colpi di mitra. Al Quarticciolo forte si fece lo scontro sociale e politico soprattutto nei primi anni del dopoguerra, quando la borgata fu teatro di vari episodi di aggressione e di risse tra militanti dei partiti politici, ma soprattutto di memorabili azioni popolari, tra cui quelle che avvennero durante lo sciopero generale cittadino iniziato il 4 dicembre 1947, così come in tutta la fase che precedette lo sciopero e in occasione degli scioperi al rovescio del biennio successivo.[13]

È nel dopoguerra che Quarticciolo diventerà parte della “cintura rossa” che garantirà al PCI un forte consenso nelle periferie romane.

La questione delle borgate

Nei decenni seguenti, la condizione delle borgate, pur nella sua dinamicità e nonostante gli interventi risanatori, rimane essenzialmente la stessa. La questione politica e amministrativa su come gestire la transizione dei cittadini delle borgate verso una condizione di vita più salubre e dignitosa si pone già dagli anni Sessanta, con la costruzione imponente di case popolari, atte a far fronte, pare, almeno ai baraccati, se non a tutti gli abitanti di queste zone. I nomi sono sempre gli stessi degli anni Trenta, come di oggi: San Basilio, Primavalle, Pietralata, Trullo, Tor Marancio, Tor de Schiavi, Massimo Lancilotti, Tufello, Quarticciolo, Ponte Mammolo, Ostiense, ma anche Ostia e Fiumicino. Sono 7000 gli alloggi da costruire, allo scopo di migliorare le condizioni di chi vi abita.

Sarà poi negli anni Settanta che la questione politica esploderà, obbligando il Comune a riconoscere la situazione di fatto, frutto di decenni di esperimenti, politiche o semplice abbandono. Il Comune avrebbe perimetrato le abitazioni sorte più o meno spontaneamente[14], avviando un processo, che ancora oggi non appare concluso, di riconoscimento della dignità dei borgatari, allora composti anche da cittadini immigrati a Roma, oltre che dai precedenti abitanti, a volte riusciti a trovare condizioni abitative più agevoli.

Quarticciolo oggi

Oggi, Quarticciolo appare un’area segnata dal suo passato. La sua estetica mescola, infatti, ancora adesso, sia il razionalismo dell’epoca, sia la tentazione vernacolare fascista[15]. Alcuni dei problemi del tempo, tuttavia, appaiono mitigati o scomparsi[16]. Vi si intravede, inoltre, nonostante le contraddizioni tra modernismo e ricerca della tradizione, un’estetica tutto sommato unitaria, una certa armonia, pur per certi versi apparente:

Parlando di contraddizioni, una cosa che colpisce arrivando a Quarticciolo è l’immediata sensazione di ordine e armonia che si prova svoltando per entrare nel quartiere, da via Togliatti o dalla Prenestina. Le palazzine gialle, di massimo 5 piani, sfilano in blocchi regolari, tutte disposte lungo un cardo e un decumano (via Manfredonia e via Ostuni) e si susseguono con un ritmo tanto regolare da finire per essere seducente. Tra i lotti, le corti interne e gli spazi aperti restituiscono le atmosfere di un’Italia rurale, lenta, paesana, distante nel tempo e nello spazio dal caos di traffico e umanità che le circonda. Come in un paese, arrivando da fuori si ha anche la netta sensazione di essere molto visibili, evidenti agli avventori delle piazze e dei bar.

Sulle basi di quanto elaborato dalla sperimentazione fascista, nel tempo, si sono andate sedimentando una quantità di esperienze individuali e collettive, private e politiche, spesso elaborate attraverso la memoria che, seguendo l’insegnamento di Flores[17], oggi dovremmo guardare criticamente, in quanto non necessariamente corrispondente con i fatti reali, ma anche osservare con attenzione, in quanto anch’essa parte integrante di cosa sia il Quarticciolo oggi.

Quali sono i problemi del Quarticciolo, oggi? Due di essi appaiono più evidenti, connotando tra l’altro Quarticciolo agli occhi dei romani: lo spaccio e la dispersione scolastica. Lo spaccio è un problema noto, aggravato da una più recente centralità del consumo di crack, con effetti deleteri anche sulla sicurezza degli abitanti: “La sera i consumatori, spesso giovanissimi, vagano da un pusher all’altro, sono inebetiti e aggressivi, e vanno compulsivamente a caccia di una dose di cui hanno bisogno quasi ogni venti minuti. Gli spacciatori vengono da altri quartieri, cambiano continuamente, sono sfrontati, e se qualcuno denuncia, bruciano auto e motorini”. Meno noto, invece, è il problema della dispersione scolastica. Solo il 43% degli abitanti ha il diploma di scuola secondaria.

Assieme a questi connotati, però, appaiono anche elementi di vitalità. Quarticciolo appare come un’area viva, caratterizzata da una serie di attività che le donano dignità e socialità. Al centro di tutto, o almeno delle iniziative che porteranno la “questione Quarticciolo” alla ribalta, c’è la palestra popolare dove, sul modello di quanto avvenuto nelle favelas brasiliane, il senso di esclusione dalla città si affronta con quello di comunità ritrovato attraverso lo sport. Si tratta di una vitalità che si contrappone al modello securitario imposto oggi dalle autorità, a sua volta in linea con la percezione dei cittadini che, come i colonizzati di Fanon[18], vedono l’autorità solo raramente attraverso la scuola, più spesso attraverso la polizia, le lettere di sfratto o gli sgomberi.

È in questo contesto, dove l’informalità si afferma in mille rivoli, da quelli della solidarietà tra vicini a quello della microcriminalità, che si scontrano oggi due modelli: il modello Caivano e quello di “Abbiamo un piano”.

 Il modello Caivano

Come anticipato, oggi Quarticciolo è al centro delle cronache soprattutto a causa della volontà del Governo Meloni di esportare lì, come in altri luoghi, il modello Caivano. Ritroviamo qui, innanzitutto, il ritorno della sperimentazione sulle periferie e, di fatto, sulle classe più povere della città. Che questa fosse la volontà del governo, tra le altre cose, Meloni l’ha annunciato a chiare lettere: “Faremo di Caivano un modello per la nazione intera. Dimostreremo che si poteva fare. Esporteremo quel modello”.

Il Modello, accanto a investimenti infrastrutturali, prevede anche una massiccia repressione proprio di quell’informalità che caratterizza Quarticciolo, come forse altre borgate. L’intento è infatti agire non solo sullo spaccio, ma anche, tra le altre cose, sull’occupazione abusiva di immobili da parte di famiglie e associazioni.

Dal punto di vista delle infrastrutture, vediamo affacciarsi il rischio che Quarticciolo, come avvenuto a Caivano con il nuovo centro sportivo, sia soggetto a una speculazione funzionale solo a creare cattedrali nel deserto. Cioè si intervenga costruendo ex novo delle infrastrutture che poi nessuno abiterà: a Caivano, infatti, come mostrato da Report, il centro sportivo è più costoso delle realtà già presenti, prontamente estromesse dall’uso dello stesso centro. Ci si chiede, dunque, legittimamente, come si interverrà sulle infrastrutture.

Dal punto di vista del contrasto alla criminalità, quello che sembra avviarsi è un progetto volto a trattare i fenomeni criminali come quello dello spaccio esclusivamente in ottica repressiva. Particolarmente pericoloso e segno di populismo penale è il trattamento che si vorrebbe riservare ai minori che commettano un reato, cui sono riservati un inasprimento delle pene e restrizioni imposte sulla cosiddetta messa in prova. Preoccupante è inoltre la gestione delle occupazioni abusive che, ancor più, paradossalmente, che nel periodo fascista e della Prima repubblica, sembra improntato a lasciare per strada persone che un’altra abitazione non ce l’hanno e che occupano, in alcuni casi, immobili non ad uso residenziale. Nel caso di Caivano, poi, non si può parlare esattamente di modello nella gestione dell’abusivismo: pur a fronte di un processo di selezione accurato, mirato a sgombrare solo le case di persone fortemente legate alla criminalità organizzata, queste sono rimaste a vivere all’interno del territorio, con la possibilità, dunque, di continuare a esercitare la propria influenza sui residenti.

Quel che resta del modello, dunque, da esportare a Quarticciolo, è dunque la scelta di bypassare accuratamente il lavoro svolto da persone e associazioni del territorio per creare economie informali capaci di sopperire all’assenza dello Stato. La scelta è dunque quella di assimilare quella zona grigia del diritto a forme ben più gravi di criminalità, anche quando la violazione del diritto è funzionale a garantire servizi essenziali per la tutela di diritti che sarebbero altrimenti stati ignorati. È una politica monca dello Stato forte: uno Stato la cui forza è espressa esclusivamente come potenza militare e di polizia, e mai nel garantire istruzione, sanità, welfare.

“Abbiamo un piano” e “Caivano non è un modello”

Nel 2022, le iniziative presenti nel Quarticciolo, a partire dalla palestra popolare, decidono di proporre il proprio piano per la borgata. Il piano, esposto in un dossier tutto sommato piuttosto dettagliato, sembra frutto di un’impostazione decisamente pragmatica, fondata sulla necessità e sulla volontà di partire dagli interventi pubblici già in atto. Significativamente, però, le associazioni attive sul territorio vengono integrate in questo processo di sviluppo, costituendo, potremmo dire, un secondo pilastro, assieme alla pubblica amministrazione. Era il 2022, ben prima che l’azione del Governo Meloni spingesse le associazioni a lanciare la campagna “Caivano non è un modello”.

Ad essere rilevante, qui, è la volontà di riconoscere il valore sociale dell’autogestione nata proprio dall’arretramento dello Stato, nella sua funzione sociale e democratizzante, separando da una parte l’attività della criminalità organizzata e dall’altra le pratiche informali, non sempre legali (come l’occupazione), ma funzionali a tutelare diritti fondamentali. Alla contrapposizione tra economie formali e informali, si affianca quella tra politica istituzionale ed extra-istituzionale.

Non solo. Alla scelta di sperimentare sulle periferie, attraverso la tentazione malsana di applicare modelli sui poveri, si tenta qui, tra molte contraddizioni, di sperimentare nelle periferie. Esemplificativo è il caso dell’ex-Questura, una volta faro d’osservazione del fascismo nel controllo della borgata, che in un singolare caso di urbex politico, diviene centro dell’autorganizzazione degli abitanti:

L’unica eccezione è rappresentata dal palazzo dell’ex-Questura, situato nella piazza centrale del quartiere, che coi suoi 6 piani di altezza fungeva da torre d’avvistamento durante gli anni del regime. Abbandonato per anni, dal 1997 l’edificio è occupato dai movimenti di lotta per la casa e oggi ospita 40 famiglie, oltre a una serie di spazi sociali. Tra questi, gli ultimi nati sono il doposcuola, la micro-stamperia e il birrificio popolare, tutti gestiti dal comitato di quartiere Quarticciolo Ribelle che da circa dieci anni ha avviato un cammino di rivendicazione e confronto con le istituzioni locali, trasformando la borgata in un laboratorio di idee e azioni capaci di cambiare profondamente la vita di chi la abita.

Muto disagio

Siamo abituati alla narrazione secondo la quale il nostro paese non offra molto, così come siamo abituati all’idea che anche nel nostro paese esistano forme di marginalità individuale. Non è facile, però, immaginare come nella capitale di un paese avanzato esistano forme di disagio collettivo così radicate. Sembra impossibile che nella nostra città, intere borgate debbano mobilitarsi per garantirsi beni e servizi essenziali: una casa per chi ha bisogno, un doposcuola per evitare la dispersione. È facile dimenticarlo, così come è facile dimenticare quanto le radici storiche di Roma influenzino la sua attuale struttura socioeconomica. Quanto c’è ancora da fare?

Immagine di copertina: “Murales sulle pareti dell’ex Questura del Quarticciolo” (Nicholas Gemini/Wikimedia, licenza CC BY-SA 3.0)

Note

[1] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, p. 12.

[2] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, p. 14.

[3] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, pp. 13-14.

[4] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, pp. 15-16.

[5] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, pp. 153-154.

[6] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni,  pp. 143-144.

[7] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni,  pp. 149-150.

[8] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni,  pp. 151-152.

[9] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, pp. 160-162.

[10] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, pp. 249-251.

[11] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, p. 251.

[12] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, pp. 254-255.

[13] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, pp. 258-259.

[14] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, p. 11.

[15] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, p. 251.

[16] L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Ledizioni, p. 251.

[17] M. Flores, Cattiva memoria. Perché è difficile fare i conti con la storia, Il Mulino, 2020.

[18] F. Fanon, Les damnés de la terre, La Découverte, Parigi 2002.

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