“Una meraviglia osservare la meraviglia”. Amatrice non c’è più ma c’è ancora
Recensione appassionata del libro di mia zia Elena Polidori
Apro il libro e leggo: L’autrice ha deciso di devolvere i proventi che le spettano dalla vendita del libro al Comune di Amatrice per ogni necessità di ricostruzione, a cominciare da Poggio Vitellino.
Primo pianto.
Mia zia vuole sapere come trovo il suo libro, che in blocco è stato comprato da mia madre per tutte le figlie il 23 agosto appena approdato in libreria: 5 copie, una per lei, una per noi tre sorelle, una da tenere in archivio per…non si sa mai.
“Piango ogni due pagine, zia. Ci sto mettendo più del previsto. Ho bisogno di fermarmi ogni tanto”. “No per carità, non devi piangere. Cerca di distaccarti sennò non te lo godi” mi consiglia l’autrice.
La verità è che vorrei non finisse mai, ma purtroppo è finito.
La verità è che catapultarmi in quel libro significa rivivere tutta l’infanzia, tutta la vita trascorsa a Poggio Vitellino sin da piccola quando mio padre mi diceva, scherzando, che io avevo sconvolto la sua vita con tanta energia, quanto quella del terremoto che avevo portato ad Amatrice il giorno successivo alla mia nascita. Infatti, il 19 settembre del 1979, un terremoto sconvolse Norcia e Cascia, vicine di bellezze e di sventure anche nel terremoto del 2016. Dopo quel terremoto mio padre, ingegnere, consolidò il tetto della casona di famiglia che aveva subito alcuni danni: il 24 agosto di due anni fa esatti, tutti i familiari intrappolati a Poggio Vitellino ringraziavano il cielo (e l’Ing. Cavalletti) se il tetto non era caduto con quella prima terribile scossa.
E così come fare a leggere un libro che riguarda così profondamente la tua storia familiare, con distacco? Come fare a non sentire nella penna di tua zia, l’eco delle sue parole vive, di quando lei, gli altri zii o tua madre ti raccontavano davanti al camino le storie di zia Assunta, degli asinelli che scorrazzavano per il Poggio, del periodo in cui finalmente arrivarono elettricità ed acqua corrente al paesello: “i bambini – scrive Elena Polidori – scrutavano la parete come se dovessero scoprire un segreto. Una meraviglia osservare la meraviglia”; di quando trascorrevi l’intero agosto con nonna Elia, i cugini, zio Sandro “con i pantaloni corti e i calzini al malleolo, che faceva i suoi lavoretti”, e crescevi a suon di pane e ricotta di Santa Giusta; di quando si andava a Cardito a cercare i funghi con gli annessi controlli di fronte ai vecchi del paese prima di assaggiarli, perché sempre meglio avere prima il loro parere: “intenso l’odore di foglie bagnate, la rugiada che ti inzuppava i pantaloni, l’aria gelida, spesso solo qualche grado sopra lo zero anche in pieno agosto…”
E come fare a non ampliare le memorie di zia alle tue, quelle di quando eri tu bambina, quando nel bel mezzo degli anni ‘80, si andava in carovana a piedi al lago Scandarello a mangiare un gelato da Santino con tutti gli amici del Poggio o si organizzavano le sfilate di moda, con la musica in cui non poteva mancare Like a prayer di Madonna, nella piazza davanti casa nostra che, grazie alle sue scalinate “alla Piazza di Spagna”, si prestava benissimo a quel tipo di coreografie, che passavamo l’estate intera a realizzare.
Come fare a non ringraziarla ad ogni parola quando ti svela nel libro segreti mai saputi, che ora sapranno anche tutte le migliaia (ma che dico migliaia? Milioni!) di persone che la leggeranno: un senso di spaesamento misto a totale stupore nel vedere i personaggi e i luoghi della nostra infanzia assurgere a protagonisti di una storia universale, che ripercorre in realtà la vita, la memoria e la storia di tutta l’Italia rurale, popolare, tradizionale che si stava perdendo e al contempo via via recuperando, grazie anche alla sensibilità culturale attuale.
Leggere la storia di un bisnonno emigrato in America, la ricerca di una sua foto a Ellis Island: da brivido nei giorni in cui agli immigrati di oggi vengono negati accoglienza e dignità; leggere i retroscena della stesura di Marcelino pan y vino, tradotto da nonno Erminio dallo spagnolo all’italiano e divenuto un film famosissimo in Italia, vanto di mia nonna che per tutta la nostra infanzia, appena veniva trasmesso in televisione, ci telefonava per avvisarci e raccomandarci di vederlo, come se fosse la prima volta: non potevamo esimerci ovviamente e, nonostante la storia fosse tristissima, lo avremo visto un centinaio di volte, in omaggio al nonno traduttore.
E scoprire il dietro le quinte delle riprese di Paolo Sorrentino che, nel girare le scene finali del suo ultimo film Loro, ha permesso a mia zia di essere presente per poter scrivere le pagine intensissime del terzo capitolo: Macerie e spettacoli. La spettacolarizzazione delle macerie che qualcosa dà nell’immediato in termini di visibilità e beneficienza ma che nulla dovrebbe togliere al compito della politica, che come dice Elena “in fondo si risolve nel trovare per tempo le soluzioni giuste al momento giusto. Cioè oggi; quindi, per domani”.
E poi il gioco degli scenari. Un capitolo meraviglioso, perché ci sono le storie delle persone declinate al futuro, dentro a due futuri possibili: “Amatrice, 2026. Si potrebbe fare un gioco guardando al futuro. “Scenario A”: va tutto bene. Senza lungaggini né ruberie. La città risorge più bella e splendente di prima. “Scenario B”: la ricostruzione è rimasta una chimera e la gente si ritrova sola, abbandonata”. Una sorta di sliding doors: siamo ancora dentro alla possibilità di scegliere lo scenario A. Con tutte le nostre forze, con tutte le nostre energie.
Elena Polidori ha fatto il miracolo di rendere universale una storia particolare: ha regalato alla nostra famiglia la possibilità di tramandare a nipoti e pronipoti le gesta dei nostri avi; ha regalato all’Italia centrale sconvolta dal terremoto, la possibilità di rivivere dentro quelle pagine, la propria memoria, quella che si svolgeva dentro le case, davanti ai camini, nelle piazze durante le sagre, nelle scampagnate, quella degli odori, dei profumi, dei malocchi e dei dialetti che nessun libro di saggistica, di antropologia, di sociologia o di storia potrebbe raccontare meglio di così, perché è una memoria vissuta; ha regalato infine all’Italia intera una visione, un programma politico che se qualcuno saprà metterlo in pratica, ci salverebbe almeno dalla disgrazia di dover piangere per mille anni ancora, dentro l’incubo dello “scenario B”.