La prospettiva moderna

Il Medioevo è vittima di un immaginario collettivo distorto, deforme ed errato. La visione stereotipata dipinge, designa e propone nella mente dei contemporanei un periodo statico, piatto, fatto di atrocità, guerre e spargimenti di sangue, uomini rozzi e misogini, donne eremite, recluse nelle mura domestiche ed estranee alla vita politica e cittadina poichè vittime di un sistema patriarcale.

“Il Medioevo come paradigma dell’antimoderno” (F. Senatore, Medioevo: Istruzioni per l’uso pp.38-39). Nel linguaggio comune il termine Medioevo definisce tutto ciò che è ritenuto irrazionale, oscuro e arretrato. Tale concezione nasce e trova le sue radici negli uomini del XV secolo, in particolare gli umanisti che coniarono il termine Media Tempestas, ovvero età di mezzo. Termine coniato e utilizzato dagli umanisti, non per manifestare un particolare interesse dal punto di vista storico per ciò che chiamavano Medioevo, bensì per applicare una cesura tra loro epoca – i tempi “moderni” – e l’antichità classica. Gli umanisti non sopportavano alla vista la spigolosità della scrittura gotica, o meglio della textualis, e rifiutavano le opere artistiche e letterarie che facevano parte di quel periodo che tentarono di eliminare utilizzando per i manoscritti la nuova scrittura chiamata, appunto, umanistica. Questa concezione, che perdura tutt’oggi, non è di origine recente, ma le sue radici arrivano da molto lontano. Il collasso della nostra civiltà è descritto come un ritorno al Medioevo. Questa espressione – ritorno al Medioevo – la sentiamo spesso dinanzi ai problemi che affliggono le femministe moderne che lasciano trasparire l’immagine della donna medievale vittima di un sistema maschilista e patriarcale che la costringeva a procreare e a prendersi cura della casa perchè troppo fragile o debole per svolgere altri lavori e attività.

Due ruoli e generi separati per una collettività funzionante

La donna del Medioevo era davvero una vittima? Come si può immaginare,  per la donna di quel periodo che occupa più di mille anni, tale concezione non esisteva e, dunque, non esisteva neanche questo problema. Il concetto di patriarcato o maschilismo non c’era; uno dei caratteri fondamentali dell’antropologia indoeuropea fin dalle sue origini avrebbe seguito un modello patriarcale (non come lo intendiamo noi oggi), e non c’era alcun motivo perchè tale sistema dovesse essere sostituito. In antropologia, patriarcato prevedeva che il potere, l’autorità e così anche i beni materiali, fossero concentrati nelle mani dell’uomo più anziano, un capo, il quale ne favoriva la loro trasmissione per via maschile.

Tuttavia, alcuni studiosi vedono nel sistema patriarcale uno stadio di sviluppo successivo alle società primitive a sistema matriarcale. Il matriarcato “smonta”, in qualche modo, la visione della donna confinata nelle sole mura domestiche.
Un esempio di matriarcato è quello della civiltà slava, poco studiata e conosciuta. L’assenza nella civiltà slava di uno dei caratteri predominanti delle civiltà indoeuropee sarebbe proprio il modello patriarcale e, soltanto con il trionfo del cristianesimo – che seguì un processo lento e graduale -, la civiltà slava avrebbe iniziato a svilupparsi con le altre società indoeuropee, (Evel Gasparini).  

L’ordinamento sociale ed economico della prima civiltà slava era basato sulla distribuzione collettiva delle terre, il principio di unanimità e concordanza garantiva una pacifica convivenza all’interno delle comunità di villaggio. Nel villaggio si andava a costituire la grande famiglia allargata. Le abitazioni, spesso costruite in forma raggruppata, erano abitate da una famiglia in cui confluivano diverse generazioni. La famiglia allargata era presieduta da un capo maschile affiancato da un capo femminile. L’insieme delle grandi famiglie costituiva il Rod, la gestione del Rod spettava ad un consiglio che aveva il compito di amministrare e di decidere all’unanimità, mentre il capo deteneva la funzione di rappresentanza.

I villaggi apparivano, e appaiono ancora oggi agli occhi del viaggiatore contemporaneo, estremamente coesi e manifestano un rapporto quasi simbiotico con il territorio attraverso l’alternanza delle stagioni e il lavoro agricolo. Il Rod veniva a costituirsi con il cosiddetto affratellamento, ovvero l’istituto dell’adozione. Tale tradizione ha lasciato le sue tracce in area slava fino al XX secolo. L’affratellamento prevedeva l’adozione, o meglio l’ingresso, di un giovane all’interno della grande famiglia sotto la protezione di un capo o un membro autorevole. Questa tradizione dava vita ad un vero e proprio legame parentale, anche se non basato sul  sangue.

Oltre all’affratellamento, il Rod si costituiva mediante il matrimonio esogamico, una tradizione che manifesta l’importante ruolo femminile all’interno della civiltà slava. Il matrimonio esogamico prevedeva l’unione tra due persone appartenenti a clan diversi e il successivo trasferimento dei figli all’interno della casa dei genitori della sposa. Nella casa della sposa si celebrava il rito nuziale e il matrimonio veniva consumato, solo a distanza di giorni lo stesso rituale poteva essere replicato nella casa dello sposo.
“Non gli uomini, bensì loro stesse scelgono gli uomini, quelli che vogliono e quando vogliono”.

Così scrive Cosma di Praga il primo cronista boemo, come per evidenziare una sorta di diritto di precedenza esercitato dalla parte femminile.
Alcune testimonianze alludono alla tradizione della filiazione uterina che favoriva la discendenza da parte della madre. La donna rappresentava il principio di generazione e di conseguenza la potestà sulla prole spettava al Rod materno.
La famiglia cessava di esistere dopo la morte della madre e, in questo caso, il vedovo non aveva alcun diritto di ereditare i beni della moglie defunta. Al contrario, la moglie poteva subentrare alle proprietà del marito defunto, senza vincoli. Il patrimonio diveniva proprietà personale della moglie e poteva disporne liberamente.

L’autorità femminile

Nella coltivazione della terra, la zappa era un utensile femminile. Seppure nella civiltà slava era assente la concezione di proprietà privata, l’orto domestico era una vera e propria proprietà a conduzione femminile. La donna aveva il diritto e dovere di coltivarlo e dalla coltivazione, dalla filatura e tessitura del lino raccolto nell’orto domestico, venivano ricavate le pezze di tela impiegate dopo la lavorazione alla vendita sul mercato.
All’interno della famiglia allargata, la presenza di un capo maschile non era stabile come quella del capo femminile. Esisteva, sì, un capo maschile ma, la sua autorità era temporanea e transitoria. Alla morte del padre potevano esserci due possibilità.

La famiglia poteva essere presieduta da un altro capo anziano per comune consenso, tuttavia la sua autorità era subordinata e controllata dall’unanime accordo. La seconda possibilità prevedeva che il capo maschile venisse affiancato da un capo femminile. Contrariamente a quanto si possa pensare, l’autorità femminile non occupava la sua posizione mediante elezione e, mentre l’uomo si occupava della gestione dei lavori agricoli e dei rapporti esterni tra i diversi clan, la donna gestiva la disciplina interna della casa. Come già detto, la famiglia cessava la sua esistenza con la morte della madre. Alla morte del marito, l’unica autorità rimaneva quella femminile, che diversamente dall’autorità maschile, non veniva limitata in alcun modo e a lei spettava anche la direzione della parte maschile del Rod.

L’esempio della civiltà slava e, in generale, la famiglia matriarcale allontana la visione della donna medievale reclusa all’interno della vita domestica. La donna era solita dedicarsi ad attività sia esterne sia interne alle mura domestiche e favoriva il dinamismo economico e sociale garantendo, insieme alla presenza maschile, una pacifica convivenza.

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