L’argomento della responsabilità amministrativa degli enti riveste un’importanza sempre crescente nell’ambito giuridico, poiché si colloca al crocevia tra la sfera pubblica e quella privata, tra l’azione amministrativa e la tutela dei diritti individuali. In un contesto in cui la complessità delle organizzazioni e degli enti pubblici è in continua espansione, la necessità di definire e regolare la responsabilità amministrativa diventa cruciale per garantire trasparenza, efficienza e giustizia. Nell’intervista che segue è possibile esplorare il concetto di responsabilità amministrativa degli enti, analizzando le sue radici giuridiche e l’evoluzione normativa. Si tratta di un tema attuale e rilevante, in quanto l’opinione pubblica e gli attori coinvolti nel sistema amministrativo sono sempre più attenti alle dinamiche di gestione degli enti e alla corretta applicazione delle leggi.  Per trattare questo tema abbiamo contattato uno dei massimi esperti riconosciuti in Italia su questo argomento, l’Avvocatessa Anna D’Alessandro, Avvocato Cassazionista e componente della commissione di diritto penale del Consiglio dell’Ordine di Roma.

COME NASCE IL TEMA DELLA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI?

“Il tema della responsabilità penale degli enti è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2001, in attuazione di obblighi che venivano dall’Unione Europea, con il Decreto Legislativo n.231 del 2001. Nel nostro ordinamento la responsabilità penale era attribuita solamente alle persone fisiche, secondo l’articolo 27 della Costituzione che recita la responsabilità penale personale, riferito esclusivamente alle persone fisiche. Il diritto penale tradizionale è di fatto un diritto che è stato strutturato pensando proprio alle persone fisiche. Per essere adempienti ad obblighi comunitari è stato introdotto nel nostro ordinamento il Decreto Legislativo n.231 che recita “Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”.

COME NASCE LA RESPONSABILITÀ PENALE?

“La responsabilità penale nasce solamente per i reati previsti all’interno di quello che viene chiamato il catalogo dei “reati presupposto”. In particolare, i reati che si mira a prevenire sono quelli contro la Pubblica Amministrazione, i reati in materia ambientale, i reati in materia di sicurezza sul lavoro ed in particolare l’omicidio e lesioni colpose per la violazione della normativa anti infortunistica, i reati di corruzione e concussione. Si rilevano anche una serie di altri reati, ma l’ambito di applicazione più importante è appunto quello nei reati appena citati”.

QUAL È IL SENSO DI QUESTA NORMATIVA?

“Il senso della normativa è quello di evitare che le imprese non rispettino le leggi, e che quindi ottengano degli appalti attraverso per esempio metodi di corruzione, operando al di fuori di quanto previsto dalla legge attraverso un sistema che potremmo definire di concorrenza sleale rispetto ad altri soggetti, traendo vantaggio grazie a questa loro attività. A rispondere delle violazioni, prima del Decreto Legislativo n.231, erano soltanto le persone fisiche, adesso ne rispondono invece anche le imprese e gli enti. Le sanzioni che ne seguono possono essere molto pesanti, si va dalla confisca del prezzo del prodotto e del profitto del reato fino, nell’ipotesi di reiterazione di più illeciti, alla sospensione temporanea o definitiva dell’attività dell’ente. Nell’ordinamento si è voluto dunque introdurre un principio di responsabilità diretta dell’ente che si avvantaggia nella condotta delittuosa dei suoi apicali (direttore generale, consigliere di amministrazione, dirigente), in quanto la norma punisce questi ultimi quando il reato è stato commesso nell’ interesse dell’ente o a suo vantaggio”.

ESISTE UN MODELLO ORGANIZZATIVO DI GESTIONE E CONTROLLO PER EVITARE CHE POSSANO ESSERE COMMESSI REATI?

“Esiste un modello organizzativo che non è però obbligatorio, in quanto il sistema prevede che gli enti possano dotarsi a propria discrezione di questo modello. Questo diventa uno strumento indispensabile, nel caso in cui l’ente debba difendersi, nell’ipotesi in cui venga commesso un reato nell’interesse o a vantaggio di quest’ultimo da parte dei soggetti apicali. Con una espressione che a mio avviso è significativa, il modello organizzativo rappresenta un’assicurazione per l’ente, nel senso che ci si augura di non doverlo mai mostrare all’esterno, ma nello scenario in cui serva perché si avvia un procedimento penale per uno dei reati rilevanti, diventa l’unico strumento attraverso il quale l’ente si può difendere”.

COME POTREMMO DESCRIVERE QUESTO MODELLO ORGANIZZATIVO?

“Il modello organizzativo è uno strumento che serve a rendere sempre ricostruibile l’attività dell’ente e serve a capire, per chi dovesse fare una valutazione di come certe attività vengano svolte, chi svolge determinate attività all’interno dell’ente. Questo si riconnette in un certo senso ad un problema che c’è sempre stato nel diritto penale d’impresa. Poiché nel diritto penale d’impresa i reati nascono in un’organizzazione che di per se è complessa, la prima difficoltà è quella di andare ad individuare il soggetto a cui attribuire le responsabilità, considerando la difficoltà nello stabilire chi è che ha agito per conto dell’ente in maniera positiva o, nel caso sia stato commesso un reato, in maniera negativa. Quindi i modelli organizzativi rappresentano in qualche modo le regole attraverso le quali l’ente agisce, le quali vengono codificate e consentono, attraverso un’analisi del rischio, di individuare quali attività potrebbero essere maggiormente suscettibili alla commissione di reati.

Se dovessimo fare un esempio, immaginiamo uno scenario nel quale viene disposta una verifica a fini fiscali. In questo caso avviene il controllo della Guardia di Finanza, la quale deve interfacciarsi con un soggetto facente parte della società, come ad esempio il responsabile amministrativo, il quale è in possesso dei documenti necessari per la verifica. Questa situazione rappresenta un’area di rischio, in quanto è un’area dove si possono verificare dei fenomeni corruttivi. Nella gestione di quest’area di rischio devono essere previste delle regole di comportamento e dei principi di controllo volti a mitigare il rischio di commissione di reati. Per esempio, quando si tengono dei rapporti con esponenti della Pubblica Amministrazione, è buona regola tenere un registro, che può essere rappresentato anche dalla raccolta delle mail, con le quali si specifica quali sono le finalità dell’incontro. E’ buona regola anche evitare che avvengano incontri ai quali partecipano soltanto un rappresentante dell’ente ed un rappresentante della Pubblica Amministrazione. Bisognerebbe fare in modo che vi siano almeno tre o quattro persone, tenendo sempre conto di quello che è stato l’esito dell’incontro.

La proceduralizzazione di questi passaggi, che non deve significare un appesantimento, diventa uno strumento di controllo di ciò che è stato fatto e consente all’ente stesso di difendersi. Qualunque modello organizzativo non può escludere che vengano commessi reati, ma il massimo obbiettivo che si può avere di mira è la riduzione ad un rischio accettabile della commissione di reati.”

POSSIAMO AFFERMARE L’ESISTENZA UN SISTEMA DI GESTIONE DELLA COMUNICAZIONE INTERNA AGLI ENTI CHE, PER ESEMPIO, PUO’ RIGUARDARE POLITICHE ANTI-CORRUZIONE BASATE SU INTEGRITA’ ED ETICA?

“Si, e questo rappresenta il punto di partenza nella costruzione di un modello organizzativo, che è rappresentato dal codice etico, in quanto parte fondamentale del modello. Il codice etico può essere immaginato come l’insieme dei principi fondamentali, la carta costituzionale dell’ente. Si tratta di principi di buon comportamento, definibili in certo senso come principi ovvi. In realtà questi principi sono fondatori dell’operatività all’interno di una società complessa come la nostra. E’ un esempio il semplice fatto di affermare che la società non tollera pratiche corruttive per nessuna ragione, neanche quando attraverso queste pratiche corruttive si possono apportare dei vantaggi alla società stessa. Ribadire questi concetti e metterli per iscritto, diffondendoli a tutti i dipendenti della società, non lascia margini di dubbio riguardo quello che è il comportamento atteso da ogni dipendente, il quale mai potrà dire di aver violato la legge per il bene della società. Si danno delle linee di comportamento chiare, perché chiare sono le linee di rispetto dei valori che la società vuole tutelare. Rappresenta uno strumento molto importante in quanto nella sua comprensione è meno tecnico dei modelli organizzativi e grazie a questo è possibile chiarire alcuni aspetti legati alla formazione per le società che decidono di adottare modelli organizzativi. Per esempio non molti sanno che il reato di corruzione si perfeziona con la semplice promessa della consegna di una somma di denaro di una utilità non dovuta ad un pubblico ufficiale. Anche una semplice promessa di qualcosa integra un reato di corruzione. Dotare la società di un codice etico, conosciuto e rispettato da tutti i dipendenti della società stessa, consente di fare mente locale anche su questioni alle quali spesso si dedica una scarsa attenzione”.

CI SONO TENDENZE E SVILUPPI ATTUALI RIGUARDO LA RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI E AGGIORNAMENTI DI LEGGI CHE SI SONO REGISTRATE NEL CORSO DEGLI ANNI? 

“Ci sono stati degli aggiornamenti e sono stati anche eccessivi, in quanto il catalogo dei reati presupposto si amplia di anno in anno. Il vero tema riguarda invece il valore su cui si sta discutendo adesso, ovvero qual’ è l’efficacia del modello 231 e chi lo decide. Ad oggi il modello, per consentire all’ente di essere esente da pena, deve essere idoneo ed efficacemente attuato. La valutazione dell’attuazione del modello non può essere fatta in relazione al reato”.

QUANDO È CHE VIENE UTILIZZATO IL MODELLO A FINI DIFENSIVI PER L’ENTE?

“Viene utilizzato nel caso uno dei soggetti precedentemente citati abbia commesso un reato rilevante a fini della 231 nell’interesse a vantaggio dell’ente. A questo punto si verifica se l’ente è dotato o meno di modello organizzativo. In caso l’ente ne sia dotato l’autorità giudiziaria dovrà stabilire se tale modello è idoneo ed è stato efficacemente attuato. La materia della responsabilità degli enti può essere considerata come nuova all’interno del nostro ordinamento, pur essendo entrata in vigore dal 2001”.

SE IL REATO E’ STATO COMMESSO, IL MODELLO PUO’ ESSERE DEFINITO NON IDONEO?

“Questa rappresenta un’equazione errata perché con il modello si può ridurre il rischio di commissione del reato, ma nessun modello è in grado di portare il rischio a zero. La commissione del reato, quindi, non rappresenta un elemento rilevante per stabilire se un modello è idoneo o non idoneo”.

CHI E’ CHE SVOLGE LA VALUTAZIONE DI IDONEITA’ DEL MODELLO?

“A svolgere questa attività è prima il Pubblico Ministero e successivamente il giudice nel corso del processo. Quello che si vorrebbe ottenere, visti anche i costi che un modello organizzativo porta a discapito delle aziende dovuti alla nomina di un organismo di vigilanza, il quale controlla la corretta attuazione e il rispetto delle norme contenute nel modello, è una sorta di certificazione dell’idoneità del modello, stabilendo dei criteri in base ai quali stabilire se un modello possa ritenersi idoneo o meno. Sull’efficace attuazione il discorso è invece più complicato, in quanto attiene alla vita del modello mentre la società opera. Ciò su cui si sta ragionando è dunque come attribuire valore in termini di certezza al modello organizzativo, in quanto ora questa certezza non esiste, non essendo possibile stabilire in anticipo se un modello è stato costruito bene e quale possa essere la sua tenuta in un procedimento penale”.

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