Quando i confini di uno Stato vacillano  nel contenere anni di guerra, di culture diverse ,talvolta opposte tra loro . Religioni estremiste e vendicative, ed invasori provenienti da altri pianeti ideologici. Così distanti geograficamente eppur cosi vicini ed uguali nell’imbracciare le armi.

(fonte immagine : www.nationalgeographic.it)

Ancora attentati, ancora morti e feriti. Tutto sangue in territorio afghano per lo più sangue del popolo, dei civili, coloro che di guerra ne han sempre saputo meno della metà di chi la combatte e di chi ne snoda i fili da burattinaio. 2012, primi giorni di ottobre, le fiamme non si spengono mai a Kabul e neppure a Kandahar o a Kost ,città nel sud-est del territorio, teatro di scena dell’ultimo attentato suicida . Resoconto delle vittime 14, tra civili, soldati della Nato e agenti di polizia.
Come spesso, se non sempre, accade…ogni qual volta si ripete all’infinito ,quasi alla nausea, un fatto od evento, si finisce per ignorarlo. Ecco, questo succede in Afghanistan, o forse succede  in quella vasta restante parte di Mondo che è perennemente sul palco . Si alternano i Paesi con le loro guerre , le loro rivoluzioni e crisi economiche-sociali e politiche. Ma i tempi di recitazione più o meno restano gli stessi d’ innanzi ai riflettori dei media. La comunicazione sfugge , è astratta e distratta, e quando c’è altro da narrare, da raccontare…l’ombra cade sul vecchio protagonista che diviene marginale assumendo parti saltuarie e di rinforzo, non si sa mai, nel caso servisse in momenti di buco. I fatti storici che han marcato il territorio Afghano proseguono il loro avvicendarsi alternando scalpore ed angoscia internazionale ad assoluta vaghezza e superficialità nell’informare sulla realtà delle cose.
Dimenticare è impossibile e fortunatamente nessuno è ancora riuscito a farlo.
Trascurare, invece , questo è fattibile ed accade . Lo facciamo continuamente facendo finta talvolta  di capire e di interessarci di una terra che dal 1979 è in conseguente stato di guerra. Gli avversari cambiano volto e divise, continuando a marciare per quelle stesse vie; prima i Sovietici, poi le contrapposte radicali etnie , ed infine gli Americani con al seguito uno sciame di aiutanti internazionali.
Bisogna parlare di Siria, della crisi Iran-Israele e delle presidenziali Statunitensi, ma che questi temi non siano toppe sul vestito di un Afghanistan ancora in bilico.
Ad oggi c’è chi ingenuamente definisce col termine “taliban”, un intero popolo. Non sapendo che questi studenti delle scuole coraniche con le armi della violenza in mano, costituiscono una minoranza , un gruppo rivendicativo del potere perso nel 2001, che si addentra tra lo stato afghano e il Pakistan. Oltre di loro ci sono “le persone” comuni, quelle che appartengono e vivono con differenti origini etniche ; dagli Hazara ai Pashtun, i Persiani, i Turkmeni ed i Tagiki…ognuna con la propria faccia , dai tratti e dalla pelle diversa . Bellezza che si esprime in tanti volti . Ciò che li accomuna è la Storia e la Terra.
La quotidianità di un popolo convivente con la guerra, si svolge secondo le loro tradizioni ,il loro credo. Le donne sopravvivono boccheggiando  ad un aria che non le permette ancora di emergere e manifestarsi in tutto il loro splendore. L’istruzione femminile è quasi inconcepibile , e l’uomo continua a tener saldo l’arsenale dell’onore familiare con al suo fianco la madre dei suoi figli, a loro dedita ed assolutamente proiettata. Nulla più, altro non è concesso. La preghiera le riunisce nella loro intimità e sofferenza mentre i giorni trascorrono tra la miseria ed il lavoro. Questo è lo strascico lasciato dal regime dei talebani in tutto l’arco degli anni Novanta, ma che ad oggi inquina ancora in parte la popolazione con le sue macchie lasciate sparse qua e là.
Quanti numeri si sono sentiti, e letti ed osservati in questi anni. Vittime di guerra, sia soldati che civili, sia forze internazionali firmate Nato che quelle locali . Tra questi elenchi l’immagine più cupa è scattata dai bambini. Il 53% della popolazione afghana ha meno di 18 anni, di questi molti vagano per le strade come piccoli venditori alla ricerca di quel dollaro giornaliero per poter sopravvivere. Cadono nelle trappole degli attentati, delle mine e degli attacchi tra forze opposte , crescono con l’orrore negli occhi sapendo che spetta a loro il “Domani” del proprio popolo.
Il futuro Afghanistan non può e non deve basarsi sui numeri distruttivi, deve curare le idee di libertà . Libertà di lavoro, di religione, d’espressione, d’istruzione ..di gioco, libertà di vivere sulle proprie radici.
Tra meno di due anni, nel 2014, tutte le forze internazionali presenti in Afghanistan dovranno lasciare il territorio. Così è stato annunciato con voce  tremolante e poco convincente su ciò che sarà all’indomani di  questa data preannunciata . Come loro, come questi stessi militari che a poco a poco lasciano e lasceranno il Paese, così i profughi afghani già da tempo si incamminano oltre i propri confini. Compiono percorsi lunghi, stenuanti, varcando le soglie di Paesi come la Turchia, e poi la Grecia ed infine alcuni raggiungono anche l’Italia. Tanti passi quanti sono i giorni di viaggio per quei 6000 km che portano ad una nuova realtà . Giovani afghani varcano le porte di Roma che molte volte fatica ad accogliere dignitosamente e umanamente.
L’esule si avvia alla ricerca di una pace interiore mentre  vive di ricordi del suo Paese , gli odori, i sapori , i colori… per molti di loro, l’unico modo per continuare a vivere è l’esodo. Camminare e ancora camminare portando nel proprio zaino lacrime di nostalgia e di speranza.

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