A 25 miglia nautiche dalla costa di Gaeta si trova una piccola isola rotonda, neppure 500 metri di diametro, disabitata. Difficilmente, dunque, si crederebbe che l’Isola di Santo Stefano abbia visto camminare su di essa alcuni fra i personaggi più celebri del Risorgimento e dell’antifascismo italiani. Ad ogni modo tali personaggi non hanno visitato l’isola per svago né tantomeno per goderne del paesaggio. L’isola di Santo Stefano ospita solo un carcere, oggi abbandonato, risalente al Regno delle Due Sicilie ed architettonicamente unico nel suo genere in Italia.

Il carcere di Santo Stefano fu costruito appositamente sull’isola nel 1795 per ordine di Ferdinando I delle Due Sicilie per un isolamento netto dei detenuti dalla società. A sottolineare ancor di più tale rigorosa separazione così specificava l’iscrizione all’ingresso dell’istituto: Donec sancta Themis scelerum tot monstra catenis victa tenet, stat res, stat tibi tuta domus (Fino a che la santa giustizia tiene in catene tanti esemplari di scelleratezza, resta salda la tua proprietà, rimane protetta la tua casa). Sotto il Regno delle Due Sicilie moltissimi dei partecipanti ai moti rivoluzionari risorgimentali furono destinati proprio lì.

Durante i moti del 1848, per esempio, furono arrestati e condotti a Santo Stefano Luigi Settembrini e Silvio Spaventa. Dopo l’Unità d’Italia l’istituto penitenziario continuò a lavorare a pieno ritmo, il fenomeno del brigantaggio era più vivo che mai e proprio in quelle celle fu detenuto Carmine Crocco, uno dei più famigerati capobriganti della penisola. Altro galeotto celeberrimo dell’isola fu niente meno che Gaetano Bresci, l’anarchico colpevole dell’omicidio del Re Umberto I quella sera di domenica 29 luglio del 1900 a Monza. Così affermava Bresci poco dopo l’assassinio: “Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio”. Ancora durante il regime fascista le persecuzioni politiche resero tristemente noto a molti antifascisti sia il carcere che l’isola di Ventotene, situata di fronte a Santo Stefano ad appena due chilometri, sulla quale furono confinati dal regime personaggi come Giuseppe Di Vittorio o Altiero Spinelli. Il carcere invece durante il ventennio fu la sventurata dimora di personalità illustri come Sandro Pertini, ma anche Umberto Terracini o Mauro Scoccimarro. Proclamata la Repubblica, il penitenziario continuò ad ospitare delinquenti comuni sino alla sua definitiva chiusura nel 1965.

Oltre a raccontare lo scorrere di oltre un secolo e mezzo di storia della penisola italiana solo rivelando nomi e cognomi di coloro i quali vi hanno trovato doloroso albergo durante il suo ordinario esercizio, il carcere di Santo Stefano è architettonicamente una struttura che rappresenta davvero un unicum in Italia. Nello specifico Ferdinando I delle Due Sicilie incaricò Antonio Winspeare di stilarne il progetto assieme al suo collaboratore architetto Francesco Carpi. Tale Winspeare (di famiglia anglo-napoletana trasferitasi dallo Yorkshire nel Regno di Napoli nel XVIII secolo in seguito all’esclusione dei cattolici dalla vita pubblica del paese) si ispirò quindi al celeberrimo supposto carcere ideale di Jeremy Bentham, il Panopticon. Tale nome è dovuto alla particolare conformazione della struttura che permetterebbe la visione/osservazione (opticon) di tutto/tutti (pan). Ciò in virtù del fatto che, come si può notare a colpo d’occhio osservando l’assetto del penitenziario, questo possiede una torretta centrale per la guardia e di fronte tutte le celle disposte esattamente a semicerchio, di modo che una sola guardia posta al centro avrebbe potuto osservare la totalità dei detenuti senza che questi fossero consapevoli di essere, in un dato momento, sorvegliati. La disposizione delle celle, dunque, seguiva il più ampio principio di Bentham della dissuasione a fare del male in quanto sottoposti ad un controllo continuo nonché totalizzante. Con le sue parole “un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima”. Non stupisce che tale principio sia stato ampiamente ripreso ed abbia stimolato suggestioni tutt’affatto feconde in numerosi campi, fra i quali la sociologia, la filosofia e l’arte proprio per il suo essere emblema di un più ampio rapporto fra individuo e sistema sociale o individuo e potere statale. Due esempi su tutti sono evidentemente sia il sistema Orwelliano dei teleschermi in 1984 che fungono da telecamere permettendo un controllo totale dei cittadini da parte della psicopolizia (thinkpol) senza che i cittadini sappiano se e quando sono sorvegliati oppure con Foucault il Panopticon come simbolo dell’attuale modello di potere che più che una forza sovrapposta e ben riconoscibile è piuttosto immersa e celata in una società che pervade e sorveglia per mezzo di varie relazioni di potere.

Ad ogni modo il penitenziario non solo non ospita più detenuti da oltre mezzo secolo come accennato ma è oggetto ad oggi di un progetto di messa in sicurezza, ristrutturazione e riqualificazione. Il progetto, lanciato nel 2016 con lo stanziamento di 70 milioni di euro, prevede lavori che entro il 2025 dovranno rendere il carcere un notevole polo culturale. La grandezza della struttura, assieme alle sue speciali peculiarità permetteranno dunque lo sviluppo di numerosi progetti al suo interno. In primis, dunque, verrà disposto un percorso museologico tutto rivolto al penitenziario in sé e alla sua storia le cui parole d’ordine saranno: evoluzione della cultura carceraria, concezione della pena, diritti umani, libertà di pensiero, dignità della persona. Oltre a ciò, ulteriore pilastro del progetto sarà la creazione di una “Scuola di alti pensieri”. Quest’ultima, di respiro europeo, sarà dedicata proprio a uno dei più insigni protagonisti dell’Unione: David Sassoli. Proprio su quell’isola che assieme all’isola di Ventotene rappresenta il luogo natio dell’idea di Federazione Europea, grazie al Manifesto di Ventotene redatto nel 1941 in piena Seconda Guerra Mondiale da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi confinati sull’isola, la Scuola di alti pensieri sarà dunque finalizzata ad ospitare le migliori esperienze formative su diritti umani, libertà di parola, Unione Europea, sviluppo sostenibile. Grazie all’ulteriore creazione di alloggi, entro il 2025 a lavori ultimati, si stima che l’ex carcere potrà ospitare ogni anno 500 studenti in residenza, oltre a 36.000 visitatori e 5400 spettatori per concerti, convegni ed eventi in generale.

A marzo 2021 sono stati ultimati “lavori in somma urgenza” durati oltre 3 mesi per mettere in sicurezza aree a rischio crollo imminente. Nel corso di febbraio 2022 sono stati avviati più generali lavori di messa in sicurezza e restauro parzialmente conservativo comprendenti operazioni di sfalcio, pulizia e cantierizzazione. È stato inoltre già elaborato e consegnato a marzo 2022 il progetto museologico espositivo redatto presso la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura. Non resta dunque che attendere l’inizio del 2026 per vedere andare a regime un’iniziativa che permetterà finalmente, dopo decenni di abbandono, di rendere un luogo di tormento e afflizione in quella che il ministro della cultura Dario Franceschini definisce “Una fucina di pensieri nel luogo in cui è nata l’idea più rivoluzionaria dei nostri tempi: l’Europa federale. Quella che sembrava un’utopia in tempi di guerra tra le nazioni europee, ai nostri giorni, anche per effetto di una crisi devastante come quella della pandemia, è quasi diventata realtà”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here