Quando American History X uscì quasi trent’anni fa, nel 1998, offrendo una drammatica rappresentazione del neonazismo e dei suoi militanti, in pochi potevano immaginare la preoccupante ricomparsa e moltiplicazione dei fenomeni di estrema destra a livello globale. In maniera sempre più manifesta, questi movimenti lasciano la sfera dell’eccezione e si insinuano nella politica mainstream, diventando inoltre un fenomeno transnazionale, esacerbato grazie alle possibilità offerte dall’epoca digitale. Gli esempi sono numerosi: solo per citare i più recenti, si pensi all’Afd in Germania o al nuovo governo formato dalla Fpo in Austria, entrambi partiti ragionevolmente accusati di legami con movimenti estremisti di destra (rispettivamente Die Heimat e Aula). Per non parlare della proliferazione dei gruppi propriamente neo-nazisti negli Stati Uniti, Europa, e altrove. In Brasile, ad esempio, dove la Commissione per i diritti umani di Brasilia ha indirizzato alle Nazioni Unite, nel 2024, una relazione che ne documenta un’“allarmante” crescita.

Sembra quindi delinearsi una chiara tendenza, nettamente aiutata dal ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti e dallo suo strettissimo rapporto politico con Elon Musk. I post di Musk su X, specialmente a partire dal suo acquisto della piattaforma (2022), sembrano spesso alludere a simboli provenienti da ambienti radicalizzati. Dei veri e propri dogwhistles, espressione che indica un uso politico di riferimenti criptici, insignificanti agli occhi dei più, e perciò intenzionalmente diretti a un pubblico di nicchia capace di decodificarli.

American History X ritorna d’attualità perché tratta questi temi molto efficacemente, usando una lente psicologica colma di compassione. Nel suo debutto cinematografico, lo sceneggiatore David McKenna dimostra la pericolosità del nazionalismo bianco e il modo in cui quest’ultimo si direziona verso bersagli facili, in particolare ragazzi giovani, impressionabili, sfruttando le divisioni razziali e impartendo lezioni di odio. Il doloroso percorso di deradicalizzazione intrapreso da Derek, il protagonista, svela il volto di un’ideologia cinica, imperniata su un vittimismo cieco all’umanità altrui, al punto di disumanizzare i suoi stessi aderenti. In questo modo, forse inconsapevolmente, prefigura una preoccupante tendenza del XXI secolo, che merita un’attenta analisi, partendo dalle sue radici underground per arrivare alle forme odierne, digitalizzate e sempre più visibili.

La trama: storia del movimento negli Stati Uniti e risorgenza odierna
American History X segue la storia di Derek, un giovane neonazista della città di San Diego, in California, in passato profondamente invischiato in un attivissimo movimento giovanile, che ruota attorno a un carismatico manipolatore di mezz’età, Cameron. Derek, dopo tre anni passati in prigione per la brutale uccisione di due uomini neri, colti nell’atto di rubargli il furgone, è appena tornato a casa. Qui troverà una brutta sorpresa: suo fratello quindicenne, Danny, che lo idolatra, è diventato un piccolo skinhead, che frequenta gli stessi ambienti del fratello maggiore, nei quali Derek viene celebrato come un eroe per le sue azioni omicide. Il movimento raffigurato nel film, basato, secondo McKenna, su scene della sua infanzia a San Diego, presenta i tratti classici, che vanno dagli aspetti estetici (idolatria feticistica dell’hitlerismo e dei cimeli nazisti, linguaggio volutamente offensivo, criptico e razzista), agli aspetti ideologici (ossessione per la “purezza razziale”, uso esasperato del capro espiatorio, vittimismo bianco e un’agghiacciante indifferenza nei confronti della vita umana), fino ai metodi violenti e sovversivi di azione politica.

Certamente non è un fenomeno nuovo. Ripercorrendo la storia del neonazismo negli Stati Uniti, un momento fondamentale fu nel 1959, anno della creazione dell’ANP (American Nazi Party) da parte di George Lincoln Rockwell. Fu il primo di molti gruppi simili. Ad esempio, la National Alliance di William Luther Pierce, notorio suprematista bianco e tra l’altro autore di “The Turner Diaries” (1978), colonna fondativa del movimento. “The Turner Diaries” è un vero e proprio manifesto della violenza, che descrive in macabro dettaglio una rivoluzione negli Stati Uniti, che finisce con lo sterminio delle popolazioni non bianche. Quest’opera è stata nominata quale “bibbia” dell’estrema destra americana, vendendo circa 500,000 copie prima dell’anno 2000 secondo certe stime e servendo da ispirazione per l’attentato di Oklahoma City nel 1995, uno dei più sanguinosi atti di terrorismo nella storia americana (168 morti).

Tuttavia, gli esempi citati rimanevano fenomeni sotterranei e generalmente ripudiati. Non sorprende che “The Turner Diaries”, inizialmente, fu venduto solo tramite corrispondenza dalla sede della National Alliance. La novità arriva, come sempre, con l’era digitale, che consente un diverso livello di proliferazione a questo tipo di contenuti. Profeticamente, anche questo è un aspetto incluso nel film, già negli anni Novanta. “Aspetta di vedere cosa abbiamo fatto con Internet,” dice Cameron, leader del movimento, a Derek, cercando di convincerlo a restare.

Infatti, globalmente i movimenti di estrema destra hanno cominciato a guadagnare trazione proprio insieme all’ascesa dei social media, in coincidenza con l’elezione di Obama, primo presidente statunitense afroamericano. Da un lato, questo evento, per la sua portata “progressista,” è da molti associato con una risorgenza di fervore razzista, tra l’altro in un momento storico polarizzante come la crisi finanziaria del 2008 e l’aumento di disoccupazione ad essa associato. Dall’altro, questi messaggi e movimenti sono stati sensibilmente amplificati dal web. In altre parole, la radicalizzazione della gioventù non è mai stata più facile.

Digitalizzazione: “Alt-right pipeline” e terrorismo giovanile
Commentando sulla sua opera, McKenna spiegò che il suo intento era “mostrare come bravi ragazzi provenienti da brave famiglie possano diventare così terribilmente persi.” Man mano che il film avanza, la storia familiare di Derek e Danny viene svelata. Il padre dei ragazzi era un pompiere, ucciso da uno spacciatore nero, episodio che sembra aver catalizzato il percorso di Derek verso la radicalizzazione.

Tuttavia, a uno sguardo più attento, il film implica un tipo di pericolo più profondo, che risiede all’interno della famiglia, e si manifesta nei pregiudizi apparentemente innocui. Nei flashback, i commenti razzisti del padre e la sua rancorosa critica a un libro “progressista” che Derek sta leggendo per il suo corso di letteratura al liceo sembrano essere da lui interiorizzati, contribuendo alla sua successiva svolta verso gli ambienti estremisti. Lungi dal limitarsi all’esposizione iniziale in famiglia, oggi questo percorso è amplificato da un influsso ancor più pervasivo: il cosiddetto “alt-right pipeline.” Questo termine indica la progressiva e crescente esposizione a contenuti online della destra radicale, che, proprio come in una “conduttura,” crescono in estremismo fino a radicalizzare la persona in questione, solitamente a causa dell’azione degli algoritmi.

Una ricerca della ADL (Anti-Defamation League) fornisce un esempio di tale processo. Lo studio dimostra come “circa una persona su cinque che in precedenza aveva segnalato alti livelli di risentimento razziale ha guardato almeno un video da un canale della destra alternativa (19.4%) e quasi una su sei ha guardato un video da un canale estremista (14.7%).” I partecipanti hanno, in questo modo, ricevuto raccomandazioni per video pubblicati da altri canali alternativi o estremisti: “il 37.6% dei consigli sui video provenienti da canali alternativi e il 29.3% dei consigli sui video provenienti da canali estremisti riguardavano altri video dello stesso tipo.” Per una semplice ragione algoritmica, ciò che poteva essere una semplice tendenza o curiosità di un soggetto può essere incanalata fino ad esporlo a uno specifico tipo di contenuto, con un’ovvia influenza sulle opinioni e scelte politiche, tanto più se questi contenuti hanno una base emotiva e consapevolmente manipolatoria.

In modo eloquente American History X dimostra questo potere seduttivo dell’odio e della rabbia, che si sedimentano nell’individuo e lo spingono a cementarsi sempre di più nelle proprie convinzioni. Personaggi come Cameron cercano e sfruttano esattamente questo tipo di emozioni, spiegando perché in genere gli autori del terrorismo di estrema destra tendono ad essere maschi, giovani, e socialmente emarginati. Il film rivela, come, in definitiva, questo sia l’unico fondamento di ideologie simili: “Sono stanco di essere sempre incazzato”, dice Derek al fratello minore Danny, quando gli viene chiesto il motivo per cui ha lasciato il movimento.

Infatti, American History X accompagna abilmente lo spettatore attraverso il processo di deradicalizzazione di Derek, intervallando scene ambientate nel presente con flashback (non a caso in bianco e nero) che mostrano la sua adesione al neonazismo e poi la sua esperienza in prigione. Qui, Derek si unisce inizialmente all’Aryan Brotherhood, solo per rimanerne deluso: osservando le loro interazioni con le gang ispaniche presenti all’interno della prigione, capisce che i membri della “fratellanza” non sono veramente fedeli alla “causa”. Il suo rifiuto della gang renderà la sua vita dietro le sbarre un incubo. Le varie prove traumatizzanti alle quali Derek verrà sottoposto culminano in uno stupro di gruppo che distruggerà il suo precedente arrogante stoicismo. Nel corso di questo lungo e doloroso processo, un detenuto afroamericano diventerà il suo unico amico, e quest’esperienza, insieme ad altre, gli aprirà gli occhi sull’insensatezza e cecità delle sue convinzioni passate.

Il monito: la lenta accettazione dell’inaccettabile
Lo scenario politico odierno sembra offrire un inquietante ulteriore sviluppo. Basti pensare all’investitura di Trump alla presidenza USA, ed al suo immediato perdono dei violenti rivoltosi che nel 2021 avevano assalito il Parlamento americano; oppure, al clamoroso Sieg Heil di Elon Musk, esibito di fronte alle telecamere di tutto il mondo. Il gesto ha scatenato festeggiamenti tra le comunità neonaziste, e commenti gioiosi da influencer di estrema destra (Evan Kilgore, politico e negazionista dell’Olocausto, ha pubblicato su X: “Musk ha appena fatto Heil Hitler al raduno per l’insediamento di Trump a Washington DC… È incredibile…Siamo davvero tornati.”)

L’uomo più ricco del mondo ha un incarico pubblico nel governo degli Stati Uniti, e non esita ad esibire le sue simpatie verso gli estremisti sulla sua piattaforma di 214 millioni di follower. La sua intervista a Alice Weidel, leader dell’Afd, in diretta su X, e la sua partecipazione al congresso del partito, insieme alle sue sprezzanti invettive contro il Cancelliere tedesco Scholz, costituiscono un’interferenza inaccettabile nei sistemi democratici, come d’altro canto il palese, gigantesco conflitto d’interessi che si manifesta nell’attuale oligarchica concentrazione di potere economico e politico nella Casa Bianca.

Quando uscì, American History X fu da alcuni addirittura considerato eccessivamente melodrammatico, irrealistico. In effetti, all’epoca poteva sembrare un’esagerazione di un fenomeno tutto sommato di nicchia, seppur pericoloso. Eppure, come dimostrano le statistiche e le tendenze globali nella politica mainstream, sembra che presto potrebbe non essere più così, con quella che gli studiosi chiamano la “terza generazione di radicalizzazione online.”

Tuttavia, mentre le politiche per contrastare i fenomeni di odio razziale e di terrorismo dovrebbero incentrarsi sulla moderazione dei contenuti, con un focus sull’alfabetizzazione digitale, sembra che si stia verificando, sulle piattaforme social dove questi due fenomeni vengono fomentati, un tentativo opposto, con la rimozione del fact-checking da Meta e la tacita accettazione di un fiorente centro di supporto nazista su X. Dunque, mentre si assiste a uno scenario globale che sembra sempre più inneggiare all’odio e favorire le retoriche populiste in “bianco-e-nero,” Musk e Zuckerberg hanno scelto di dare sfogo alla via di ciò che ritengono sia la “libertà di parola”.

 

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