INpressMAGAZINE Claudio Palazzi

Aborto: storia e prospettive future

Foto di Gayatri Malhotra su Unsplash
Foto di Gayatri Malhotra su Unsplash

Il tema dell’aborto è sicuramente ricorrente in un mondo che, da un lato si sviluppa esponenzialmente, mentre dall’altro cade in stand-by di fronte ad argomenti che fanno letteralmente e gravemente scontrare le persone le une contro le altre.

Quali sono le prospettive per il futuro riguardo il diritto all’aborto? Qual è la storia dell’attuale legislazione? E per quanto riguarda l’Italia?

Proviamo ad analizzare questo delicato e complesso argomento cogliendone i punti e le argomentazioni chiave, puntando a una conclusione che ricerca non solo una logica, ma anche una giustizia emotiva e morale per tutte le donne vittime degli obiettori di coscienza, nonostante le leggi esistenti.

D’altronde, il corpo della donna è sempre stato al centro di numerose battaglie, e in questo caso la decisione di abortire viene messa alla pari di un assassinio.

L’aborto come reato

L’interruzione volontaria della gravidanza in Italia era considerata un reato; infatti, nel codice Rocco era vietato non solo l’aborto in sé, a prescindere che la donna fosse consenziente o meno, ma anche l’istigazione a esso. L’aborto era punito come “reato contro l’integrità della stirpe”, anche perché la donna veniva (e spesso viene ancora adesso) considerata come una figura debole il cui compito è unicamente quello di procreare.                                                                                                                                              Ciò comportò un altissimo numero di aborti illegali, fra i 100.000 e i 3.000.000 annui.

Ai tempi vi erano 3 modi principali per ricorrere all’aborto:

  • Tramite istituzioni o medici privati, i cui nomi si trasmettevano da donna a donna
  • Metodi empirici come lavande o pozioni erboristiche
  • Medicinali

Le ultime due opzioni riguardavano soprattutto le donne senza sufficienti mezzi economici, e quelle anche meno informate sui metodi contraccettivi, i quali comunque non erano ancora legali.

La Legge 194

Con lo sviluppo scientifico e della prevenzione, è aumentata la consapevolezza sui rischi della pratica se effettuata al di fuori delle strutture ospedaliere, e al contempo si sono fatti sempre più sentire i diritti sociali e della donna. Infatti, paesi come l’Unione Sovietica, Islanda e Svezia sono stati fra i primi a legalizzare varie tipologie di aborto.

In Italia ciò avvenne nel 1975 nella sentenza n.27 della Corte Costituzionale, in cui risulta scritto che “ricorrere all’aborto è conforme al diritto, non in assoluto ma nei casi indicati dalla legge”. Successivamente, nel 1978 ci fu una svolta, con la famosa e super discussa Legge 194. Essa consente alla donna, sempre nei casi previsti dalla legge, di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione. Fra il quarto e quinto mese ciò è possibile solo per motivi terapeutici.

L’obiezione di coscienza

L’obiezione di coscienza in Italia rappresenta, secondo recenti dati ISTAT, circa il 68,4% dei ginecologi e ginecologhe, e il 45,6% degli e delle anestetiste. In Molise si registrano il 96,4% di obiettori, in Veneto il 73,7%. Nonostante l’eventuale obiezione di coscienza non debba esimere il personale medico nel procedere al trattamento, oltre il 40% delle strutture non lo erogano.

Si tratta oggettivamente di un abuso dell’obiezione di coscienza, costringendo le donne a spostarsi di regione o addirittura di andare all’estero, e non tutte hanno i mezzi per farlo. Ciò comporta molti aborti clandestini, ovviamente molto meno sicuri, grazie all’accesso a metodi farmacologici messi in commercio nelle strutture ospedaliere dal 2009. Tali farmaci sono legali ma solo in ambito ospedaliero e con obbligo di ricovero, ma vi è un fiorente commercio illegale anche attraverso internet.

Secondo alcune ricerche, ai medici conviene diventare obiettori di coscienza non solo per convincimenti etici, ma anche per la carriera, per il consenso sociale. Alcuni dottori hanno addirittura dichiarato di essere diventati obiettori per scelta forzata. Vi sono poi ovviamente anche i motivi religiosi.

Inoltre vi è la questione non solo della stigmatizzazione dell’aborto stesso, definendolo un “lavoro sporco”, ma dati i metodi contraccettivi disponibili, i medici si chiedono anche come mai non vengano utilizzati dalle donne. La risposta mette in gioco problemi spesso economici, legati alla possibilità o meno di permettersi la pillola o altri strumenti. Inoltre, vi è il grave problema della mancata educazione sessuale a livello scolastico e della bassa partecipazione maschile alla contraccezione.

L’Italia contro l’aborto

Il primo movimento abortista fu il Movimento per la vita, e nacque subito dopo l’approvazione della 194. Tentò infatti di abrogare quest’ultima con due referendum, per poi avviare una serie di progetti per incentivare la donna a non interrompere la gravidanza.

Il movimento propone anche il “Progetto Gemma”, ossia un servizio per l’adozione a distanza pre-nascita di madri in difficoltà.

Numerose sono poi le mozioni Anti-Aborto, prendendo d’esempio il caso di Verona. In questo caso è stato dichiarato nel 2018 che la città è “a favore della vita”, adottando iniziative varie per la prevenzione dell’aborto e il sostegno alla maternità.

La regione Veneto ha inoltre promosso un progetto chiamato “La culla segreta”, che consiste in un manifesto da collocare all’interno dei consultori per invitare le donne a partorire in maniera anonima e sicura negli ospedali.

Celebre anche il movimento “Non una di meno” di Roma.

Iniziative pro-aborto

In Italia esistono però ovviamente anche delle iniziative che pongono la propria attenzione sulle criticità del sistema e che vogliono facilitare l’accesso all’aborto.

Il progetto di ricerca “Mai Dati” analizza i dati e mette in discussione il loro valore, focalizzandosi sul tema dell’obiezione di coscienza. In tal modo le donne possono conoscere la percentuale di obiettori nella struttura che verrebbe potenzialmente scelta per la pratica.

Non mancano poi gli appelli al Ministero della Salute e azioni di informazione pubblica. Di ciò si occupa “Libera di abortire”, di nascita recente (2021). Si tratta infatti di una campagna che ha l’obiettivo di garantire concretamente il libero accesso all’aborto tramite l’affissione di manifesti, firme per il Ministero e l’accesso a un insieme di informazioni utili. In tal modo vengono proposte le testimonianze di donne che hanno non solo abortito, ma anche subito violenze nel percorso di assistenza, sia fisiche che psicologiche.

È quindi in fin dei conti possibile abortire in Italia?

Pe rispondere a questa domanda bisogna analizzare la Legge 194.

Innanzitutto, viene sottolineato come lo Stato garantisca il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconoscendo il valore della maternità e la tutela della vita fin dal suo inizio. Si da quindi per scontato che la vita inizi nell’utero fin da subito.

L’interruzione della gravidanza viene accettata solo a patto di alcune condizioni; quindi, il medico è sempre e comunque autorizzato a chiedere a una donna il motivo del suo aborto, per poi scegliere se permettere il tutto. Questo, insieme al fatto che si trovi necessario specificare solo alcuni motivi per i quali sarebbe lecito abortire, fa in modo che ci si chieda se questa sia realmente libertà.

Inoltre, pur citando appunto i casi in cui la pratica verrebbe permessa, si deve sempre tenere conto che in Italia vi è un grosso problema in merito all’esistenza di una legge e la sua effettiva applicazione.

Si sente quindi l’esigenza di intervenire sulla legge e modificarne i presupposti, in modo tale che non si vada a tutelare solamente la salute, la morale o la religione, ma soprattutto i diritti delle donne di scegliere liberamente cosa fare del proprio corpo e della propria vita.

Le parole dell’attuale governo in merito all’aborto

Il nostro governo è attualmente guidato dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, la quale si è espressa, non molto tempo dopo essere salita al governo, in merito alla Legge 194, suscitando molte polemiche. La Premier sostiene da allora che non ha intenzione di modificare o abolire la Legge, ma di volerla applicare nella sua totalità, quindi puntando anche alla prevenzione, in modo tale da dare possibilità in più a quelle donne che pensano che l’aborto sia l’unica soluzione possibile.

Ha inoltre sostenuto che in Italia è totalmente garantito l’accesso all’aborto, e che, per quanto riguarda gli obiettori non si possa costringere le persone a cambiare la propria coscienza. Ciò però diventa molto spesso un impedimento all’accesso che Giorgia Meloni considera appunto garantito, nonostante si tratti di una pratica stabilita per legge. Ciò che gli viene contestato, è quindi di mettere sullo stesso piano la libertà di abortire delle donne con quella di fare obiezione di coscienza dei medici.

Concentrandosi così tanto nel fare in modo che si superino le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza, si fanno aumentare le attività dei gruppi antiabortisti.

Secondo i movimenti femministi gli ostacoli alla maternità è giusto che vengano rimossi, ma non attraverso incentivi e iniziative degli antiabortisti. Bensì, tramite una riforma del lavoro che possa eliminare le discriminazioni e combattere il precariato, dare dei congedi remunerati e alla pari ecc.

Il tasso di fertilità, infatti, cresce nelle zone in cui l’occupazione femminile è maggiore.

È necessario inoltre concentrarsi sull’educazione sessuale, insegnamento che in Italia non è ancora obbligatorio, e che sarebbe utile non solo per evitare gravidanze indesiderate, ma anche per educare in merito alle malattie sessualmente trasmissibili e agli abusi o discriminazioni in base all’orientamento sessuale.

Infine, bisognerebbe rendere gratuiti i contraccettivi, o comunque meno costosi. Tutte queste misure per il momento non sono però nel programma del governo.

Notizie recenti

Dall’emanazione della Legge 194, sono stati molteplici gli attacchi rivolti a ribaltare o compromettere il diritto all’aborto, e col nuovo governo siamo già a quota 4 iniziative antiabortiste.

Maurizio Gasparri di Forza Italia chiese il riconoscimento delle capacità giuridiche del concepito, il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo chiese il riconoscimento del concepito come componente del nucleo familiare, mentre la senatrice di Fratelli d’Italia Isabella Rauti chiese l’istituzione di una giornata in nome della tutela della vita nascente.

Quest’anno, è stato proposto un nuovo attacco al diritto all’aborto, con un nuovo disegno di legge da parte del senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia. Egli vuole riconoscere la soggettività giuridica fin dal momento del concepimento, quindi agli embrioni.

Questo tentativo si rifà al modello dell’Ungheria di Viktor Orbàn, e mina i principi cardine della Legge del 1978.

Il ruolo degli Stati Uniti

Negli Stati Uniti il Colorado fu il primo stato a depenalizzare l’aborto in caso di stupro, incesto o se può portare disabilità alla donna. Precedentemente, il tema era disciplinato da ciascuno stato dell’unione con legge propria, e almeno in 30 stati era previsto come reato di “common law”, ossia era impraticabile in qualsiasi caso.

Nel 1972 la causa arriva alla Corte Suprema, arrivando alla sentenza l’anno successivo: viene riconosciuto il diritto all’aborto, ma non in maniera assoluta, perché lo Stato può ancora intervenire in alcune circostanze.

In generale è possibile abortire finché il feto non diventa in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero, anche artificialmente. Successivamente a questo lasso di tempo l’aborto è possibile solo in caso di pericolo per la salute della donna.

La notizia più recente relativa agli USA è del 26 marzo scorso: la Corte Suprema potrebbe decidere entro il prossimo giugno di modificare le modalità di accesso all’aborto farmacologico. Questo significa che il farmaco, in particolare il “mifepristone”, potrebbe non poter più essere spedito alle donne, affermando l’obbligo di consegna del farmaco solamente di persona. Ovviamente ciò comporterebbe nuove restrizioni al diritto all’aborto.

Inoltre, tramite questo farmaco è possibile attuare il trattamento senza l’invadenza tipica di un intervento chirurgico, e quindi l’anestesia e il ricovero, oltre ad essere una pratica assolutamente sicura come affermato dall’OMS stesso.

Negli ultimi anni negli USA il diritto all’aborto ha subito molti cambiamenti e molti Stati hanno vietato la pratica o introdotto molte limitazioni. Ciò ha comportato l’aumento delle migrazioni per poter accedervi.

Questa decisione della Corte Suprema è considerata importantissima, e potrebbe essere presa pochi mesi prima delle elezioni presidenziali provocando delle conseguenze dirette sul voto.

Per ora la Corte sembra scettica, a causa della mancanza di ragioni sufficienti contro la Food and Drug Administration, ossia l’ente statunitense che si occupa di regolamentare i prodotti farmaceutici.

Le conseguenze del divieto all’aborto

Sul piano della natalità, sicuramente il divieto all’aborto non provoca maggiori nascite. Al contrario, vi saranno molte più morti, ovviamente femminili. Infatti, in tutto il mondo, fino al 13% della mortalità materna deriva da un aborto non sicuro.

Di conseguenza le donne si mobilitano, puntando soprattutto all’informazione e all’autogestione.

Si cerca quindi di fare in modo che le donne che si recano da un abortista illegale siano a conoscenza dei metodi abortivi a disposizione, per capire se la pratica proposta potrebbe essere pericolosa, e quindi andarsene eventualmente altrove.

Per quanto riguarda la problematica dell’obiezione di coscienza, significativo è il contributo di “Obiezione respinta”. Tale piattaforma ha lo scopo di segnalare e mappare i luoghi dove viene esercitata l’obiezione di coscienza, e anche dove invece è possibile attuare il trattamento.

Nella relativa pagina Facebook è addirittura possibile segnalare la propria esperienza personale negli ospedali e consultori.

Inoltre, il Movimento di liberazione della donna e il Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto vedono molte femministe svolgere tirocini, assistenza medica e che imparano tecniche all’estero per praticare l’aborto per aspirazione in sicurezza (il metodo Karman). Tutto ciò non con scopo di lucro, ma con scopo politico.

Nonostante ciò, si sottolinea sempre come l’abortista più inesperta di tutti sia la donna stessa.

Provvedimenti che danno speranza

In una prospettiva futura che per il momento non sembra delle più rosee, generando invece confusione e incertezze non solo Italia ma anche in tutta Europa, la Francia sta dando una lezione a tutti.

Ha difatti inserito il diritto all’aborto nella Costituzione, e Le Pen ha sostenuto esplicitamente che “Lo dobbiamo a chi resiste, come Trump, Orbàn, Putin, Bolsonaro…” e fra i vari nomi ha citato anche la Premier italiana Giorgia Meloni.

Ciò è stato possibile grazie a 780 voti favorevoli, e solamente 72 contrari, ottenendo quindi anche voti positivi dalla destra.

E’ stata in particolare la retromarcia della Corte statunitense ad innescare la mobilitazione, già partita nel 2022.

La situazione, quindi, è sempre stata e continua ad essere molto disomogenea e altalenante, ma il lato positivo è che di fronte a certe marce indietro, altri Paesi ne traggono spunto per migliorare e dimostrarsi protagonisti attivi di uno sviluppo che non rappresenta una “possibilità”, bensì una vera e propria “necessità” per i diritti delle donne, e un tassello in più per la libertà del mondo intero.

La vita “Imperfetta” di Federica. Quando la poesia racconta una realtà autentica e senza filtri

Sta nell’imperfezione e, a volte, anche negli errori e nelle cadute, la bellezza più autentica, profonda, che risiede nell’animo umano. E lo suggerisce già il titolo dell’opera di Federica Napoli, “Imperfetta”, edita da Aletti nella collana “I Diamanti della Poesia”. Imperfezione che salta subito all’occhio già dalla grafica. «La particolarità dell’ultima lettera che differisce dalle altre – spiega la stessa autrice, nata a Roma, che ha scritto diverse raccolte poetiche – definisce a primo impatto, il tema che ho sentito la necessità di affrontare: l’imperfezione che appartiene a tutti, che conforta perché accomuna». Quando si parla di vita vera non si può prescindere da questo, perché la realtà è fatta di errori, imprecisioni e difficoltà; nella capacità di raccontarla senza stereotipi e senza filtri, la poesia ma, in generale, l’arte, gioca un ruolo catartico, in quanto non dovrebbe mai essere incatenata ma libera di fruire e vivere, senza limiti. «L’imperfezione – racconta Federica, che dell’arte ha fatto un pilastro della sua vita, poiché oltre ad essere scrittrice è anche diplomata in danza moderna e jazz – appartiene all’uomo e all’umanità; ogni volta che un artista, un poeta, decide di descrivere la realtà che lo circonda, dovrebbe assumersi anche la responsabilità di raccontarla senza filtri. Non si può parlare, descrivere la vita vera, la mente o il cuore degli uomini senza parlare anche delle loro imperfezioni».

La realtà ispira i pensieri di Federica, che a volte sfumano in un mondo onirico, creando una sovrapposizione tra reale e sogno. La realtà e il mondo onirico s’intrecciano tanto nella sua poesia, perché riflettono l’idea che i sogni siano una dimensione parallela che l’uomo respira e assorbe. Il ritmo è l’elemento fondamentale dei versi, così come le pause, la punteggiatura, la forma, la metafora, tutti elementi importanti e spontanei per l’autrice. «La metafora dell’ascesa – spiega, nella Prefazione, Alessandro Quasimodo, autore, poeta e regista, figlio del Premio Nobel Salvatore Quasimodo – rivela un’indole pronta a sacrifici pur di conseguire gli obiettivi proposti. Non sempre è facile trovare comprensione negli altri o condivisione in amore. Occorre andare avanti con dignità dimenticando chi non sa stare vicino a noi. Senza odiare, dobbiamo voltare pagina, dimenticando le delusioni subite. La Napoli dà molto valore alla forma perché dedica particolare attenzione alle scelte lessicali, sintattiche, alla struttura metrica e al ruolo degli accenti interni».

La silloge è un elogio all’imperfezione che può tramutarsi in bellezza, perché è proprio lì, in un errore, che si trovano umanità, azione, coraggio ed è solo vivendo in profondità che si piò correre il rischio di sbagliare. «La fragilità ma anche la forza racchiusa in una caduta ci riporta all’ascolto della nostra umanità, alla bellezza della condizione umana. La consapevolezza dell’umana imperfezione è il conforto che avvicina ogni essere umano perché appartiene a tutti, vivere liberi, con la paura di sbagliare ma senza rimpianto. La perfezione è solo il riflesso di un’illusione». Solo vivendo appieno le situazioni, sentendo le emozioni sulla propria pelle, senza sconti e scorciatoie, si scopre l’autenticità dei sentimenti. «Ritroviamo noi stessi, un po’ sgualciti, forse, ma senza maschere, imperfetti e veri». Ed è questa la missione dell’intera opera. «Attraverso i miei versi – conclude Federica Napoli – vorrei trasmettere la volontà di celebrare chi vive senza nascondersi, vero nella propria imperfezione. Perdersi per scoprire nuove strade, nuove possibilità. Andare controcorrente rispetto ad un mondo che vive in catene, legato a stereotipi di perfezione e omologazione. E’ la ricerca dell’unicità e l’originalità che pulsano in qualcosa di non perfetto perché reale».

Per conoscere Federica, la sua arte e la sua vita “imperfetta” è possibile visitare la sua pagina Istagram https://www.instagram.com/federicanapoliautore/ (federicanapoliautore). Su un social, dove spesso la vita risulta perfetta, ma solo quella di chi decide di usare filtri.

Israele e Palestina: la storia si ripete

Il 12 gennaio 1951 entra in vigore la Convenzione sul Genocidio, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU già nel 1948 e di cui oggi fanno parte 153 paesi. 

Il termine genocidio è recente: viene coniato da Raphael Lemkin, giurista polacco di origine ebraica, la cui famiglia era stata uccisa dall’Olocausto. Per questo, Lemkin porta avanti una lotta al riconoscimento del genocidio come crimine di diritto internazionale, sforzi non invani e che confluiscono poi nella Convenzione, subito considerata norma ius cogens del diritto internazionale, nonché norma consuetudinaria vincolante anche per i paesi che non fanno parte della stessa. La Convenzione ebbe un’importanza fondamentale nel secondo dopoguerra: l’impegno della comunità internazionale era quello di non voler ripetere mai più gli orrori della Seconda guerra mondiale.

All’art. II della suddetta Convenzione, il genocidio viene identificato come acts committed with intent to destroy, in whole or in part, a national, ethnical, racial or religious group. Tra questi ritroviamo: uccisione di membri del gruppo; causare gravi lesioni all’integrità fisica e mentale dei membri del gruppo; sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo; imporre misure destinate ad impedire nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di bambini da un gruppo ad un altro. 

Tra gli eventi che hanno segnato la storia mondiale, il più sconvolgente e inspiegabile è proprio l’Olocausto. Ci si chiede come una mente abbia potuto progettare in maniera così dettagliata e sistematica una carneficina del genere: campi di concentramento e circa 6 milioni di vittime, un vero e proprio genocidio di massa. 

Ad oggi, invece, è proprio lo stato di Israele ad essere accusato del peggior crimine internazionale nei confronti della popolazione palestinese, ritrovandosi davanti alla Corte dell’Aia. 

Israele nasce a seguito di migrazioni di ebrei in Palestina prima, e soprattutto durante, il mandato britannico (1920-1948), incentivate dal movimento sionista, nato per perseguire la creazione di uno stato ebraico in Palestina. È il 14 maggio del 1948, vigilia della fine del mandato britannico sulla Palestina, quando il Consiglio nazionale per lo Stato ebraico proclama la creazione dello Stato d’Israele. I paesi arabi si oppongono ad una costruzione occidentale nel Vicino Oriente, comincia la prima delle diverse guerre arabo-israeliane: circa 700.000 arabi palestinesi sono costretti ad abbandonare città e villaggi (la cosiddetta Nakba – “catastrofe”). Oggi, dopo quasi 76 anni, la questione palestinese non è ancora risolta. 

Alla fine della guerra dei sei giorni (1967), Israele occupa i Territori palestinesi (Striscia di Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est, le Alture del Golan e la penisola del Sinai) confiscandoli al controllo dei paesi arabi. La definizione “territori occupati” la ritroviamo nella Risoluzione nº 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (non vincolante) che prevedeva il raggiungimento di una pace “giusta e duratura” attraverso il ritiro delle truppe israeliane e il riconoscimento reciproco tra gli stati. 

Con l’occupazione, le violenze non si arrestano e culminano nella Prima Intifada (in arabo “rivolta”), la quale comincia l’8 dicembre 1987, quando un camion israeliano colpisce due furgoni che trasportavano operai di Gaza a Jabaliyya, uccidendone quattro. In risposta, la sera stessa, scoppia una rivolta a Jabaliyya e si espande fino a Gerusalemme.
Israele risponde con una durissima repressione e, il 22 dicembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condanna Israele per aver violato le Convenzioni di Ginevra a causa dell’alto numero di morti palestinesi nelle prime settimane di Intifada. È proprio in questo momento che a Gaza nasce Hamas: i gruppi estremisti che non si riconoscono più nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) danno vita al Movimento Islamico di Resistenza (Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya – Hamas), il cui statuto proponeva il ritorno della Palestina allo stato pre-coloniale e l’istituzione di uno stato palestinese. Hamas rivendica numerosi attentati suicidi nei confronti dei civili e soldati israeliani (gli attentati ai bus della strada di Jaffa del 1996 ne sono un esempio) e viene considerata un’organizzazione terroristica da diversi paesi, perlopiù occidentali (anche se alcuni si limitano a condannare solo la sua ala militare). 

Il conflitto perdura e, nel 1993, vengono siglati gli accordi di Oslo tra Israele ed OLP: viene creata la cosiddetta Autorità Nazionale Palestinese e viene permesso ai territori palestinesi di autogovernarsi (anche se in maniera limitata). 

Nel 2005, Israele rinuncia al controllo della Striscia, ma solo formalmente. Infatti, a seguito della vittoria delle elezioni da parte di Hamas e della vittoria della guerra civile di quest’ultimo contro Fatah (secondo partito alle elezioni), Israele impone un blocco terreste, aereo e marittimo; blocco che ha causato un danno economico di miliardi di dollari all’economia del territorio, definito da molti “una prigione a cielo aperto”.

È il 7 ottobre 2023 quando Hamas lancia un forte (e inaspettato?) attacco contro Israele con un bilancio di circa 1400 morti. La risposta militare di Israele sulla Striscia è spietata e, dopo 6 mesi, è ancora in corso con un bilancio di oltre 30.000 morti. 

Bisogna considerare che la Striscia di Gaza ha una superficie di 365 km2 (Roma è quasi quattro volte più grande) abitata più di 2 milioni di persone, circa 6000 abitanti per km2, contro i 450 di Israele. La popolazione è molto giovane: quasi il 50% ha meno di 18 anni. A partire dal 7 ottobre, decine di giovani giornalisti (Motaz Azaiza tra questi), grazie ai media, continuano a testimoniare e a condannare la brutalità degli attacchi israeliani contro i palestinesi: bambini orfani, senza una casa, genitori che perdono figli tra le proprie braccia, donne incinta senza cure e assistenza necessarie per poter dare alla luce i propri bambini. Quanti Hamas, quanti estremisti stanno crescendo tra le mura di Gaza in questo momento? Si può parlare di diritto alla difesa con un numero così alto di vittime? Qual è la linea che divide questo dalla vendetta? E come fa una popolazione con un passato così ingiusto a rischiare di diventare il nuovo carnefice? 

Il Sudafrica, il 29 dicembre 2023, denuncia Israele di atti di genocidio, contestandone nello specifico cinque: uccisione di massa di palestinesi, inflizione di gravi danni mentali e fisici, espulsione forzata, attacco al sistema sanitario di Gaza e applicazione di misure intese a prevenire nascite all’interno del gruppo. La CIG potrebbe impiegare anni per emettere una sentenza definitiva, nel frattempo probabilmente, mentre civili innocenti continueranno a rimetterci la pelle a causa di scelte politiche sempre più irragionevoli, anche questa guerra finirà nel dimenticatoio perché considerata troppo lontana da noi.

Il fenomeno migratorio: Matrioska di prospettive

Cosa sono e a cosa servono le politiche migratorie?

Le politiche migratorie sono un insieme coordinato di azioni, normative e strategie messe in atto sia da entità governative nazionali che da organizzazioni internazionali, con l’obiettivo primario di regolare e gestire i movimenti di persone tra diversi paesi. Queste politiche sono essenziali per affrontare una vasta gamma di questioni legate all’immigrazione, inclusi, ma non limitati a, l’ingresso, il soggiorno, l’integrazione e, in alcuni casi, il rimpatrio dei migranti.

Le politiche migratorie servono a diversi scopi fondamentali e ogni società ne dispone l’utilizzo; qualsiasi sia la posizione geografica o periodo storico.
Esse forniscono un quadro legale per regolare chi può entrare e soggiornare in un paese, sotto quali condizioni e per quanto tempo. Questo include la definizione di categorie di visti, requisiti per l’ingresso e il soggiorno, e procedure per la richiesta di asilo. Aiutano a prevenire l’ingresso non autorizzato di persone e a combattere la tratte appartenenti a soggetti della criminalitá transnazionale. Questo rende le politiche migratorie strumenti chiave per garantire che la mobilità delle persone non comprometta la sicurezza interna di uno stato.
Infine promuovono l’integrazione dei migranti nelle società di accoglienza, facilitando l’accesso al mercato del lavoro, all’istruzione, alla sanità e ad altri servizi pubblici. L’integrazione è fondamentale per costruire società coese e beneficiare degli apporti economici, demografici e culturali dell’immigrazione.

Sfide e bilanciamento

Le politiche migratorie devono navigare in un delicato equilibrio tra diversi obiettivi e interessi, spesso in tensione tra loro. Da un lato, come abbiamo accennato, c’è la necessità di garantire la sicurezza nazionale e di controllare i confini; dall’altro, è imperativo rispettare i diritti umani dei migranti promosse anche da un quadro di solidarietà internazionale. Senza contare che politiche migratorie devono adattarsi a un contesto globale in rapida evoluzione, caratterizzato da crisi umanitarie, conflitti, cambiamenti climatici e disuguaglianze economiche, che influenzano i modelli migratori ( le rotte, l’intensitá, qualitá, ecc dell’immigrazione ).

La Matrioska: 3 livelli fondamentali

Livello internazionale

Il quadro normativo internazionale dell’ONU sul fenomeno migratorio. Questo è costituito da una serie di convenzioni e trattati che mirano a regolare e proteggere i diritti dei migranti a livello globale.
Alcuni dei testi piú importanti che compongono il quadro normativo internazionale sui migranti sono: La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), La Convenzione ONU di Ginevra del 1951 e il Protocollo del 1967, La Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti di Tutti i Lavoratori Migranti e dei Membri delle Loro Famiglie (1990).
Le politiche migratorie dell’ONU si sono evolute nel tempo, passando da un approccio inizialmente incentrato sulla risposta alle crisi dei rifugiati e sulle migrazioni forzate, a una visione più ampia che considera anche le migrazioni volontarie e la mobilità come fattori positivi per lo sviluppo. Questa evoluzione è stata influenzata da fenomeni come la globalizzazione, il cambiamento climatico e specifiche dinamiche nazionali e locali.

A livello Europeo

Le politiche migratorie hanno avuto origine con la creazione del mercato comune e l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne tra gli Stati membri, come stabilito dal Trattato di Roma del 1957 e successivamente rafforzato dall’Atto Unico Europeo e dal Trattato di Amsterdam. Quest’ultimo, entrato in vigore nel 1999, ha segnato un passo importante verso la comunitarizzazione delle politiche migratorie, cercando di superare la cooperazione intergovernativa con l’adozione di regole e politiche comuni.
Con l’Agenda europea sulla migrazione del 2015, l’UE ha definito un nuovo approccio strategico basato su quattro pilastri, tra cui la riduzione degli incentivi alla migrazione irregolare e una politica comune europea di asilo. Tuttavia, la realizzazione di una politica migratoria comune dell’UE ha incontrato resistenza da parte degli Stati membri, che hanno difeso le loro prerogative nazionali.
Le sfide includono la gestione dei flussi migratori, l’integrazione sociale degli immigrati, e la cooperazione con i paesi di origine e transito. L’UE continua a lavorare su una politica migratoria che tenta di conciliare efficacia, umanitá e sicurezza, ma i risultati non hanno sortito effetti; con ogni stato membro che reagisce a questo fenomeno come una vera e propria invasione.
Per affrontare il problema Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE hanno adottato una tabella di marcia congiunta per adottare le proposte legislative, con l’obiettivo di raggiungere un accordo prima delle elezioni europee del 2024. Questo processo è ancora in corso, con negoziati tra le istituzioni legislative europee per definire il futuro della politica migratoria e di asilo dell’UE. 

A livello nazionale

Le politiche migratorie sono state storicamente caratterizzate da un’ampia varietà di approcci e regolamenti, riflettendo le diverse realtà socio-economiche, storiche e geografiche di ciascun paese.
Come giá accennato, proprio questa diversità ha rappresentato una delle principali sfide nella realizzazione di una politica migratoria comune a livello europeo.
La resistenza degli Stati membri alla realizzazione di una politica migratoria comune dell’UE può essere attribuita a diversi fattori, ma tra i piú importanti abbiamo: Sovranità Nazionale, Differenze nelle Esposizioni ai Flussi Migratori, Percezioni di Insicurezza e Identità Culturale.
Questi rappresentano la forza opposta e la visione antitetica all’idea rappresentata dal quadro internazionale.

La matrioska vá presa nel suo insieme

Le politiche migratorie devono trovare un equilibrio tra la protezione delle frontiere e il rispetto dei diritti umani, calibrando l’approccio umano con quello delle relazioni internazionali. Il fenomeno migratorio può essere sia un’opportunità che una minaccia, e spetta alle nostre politiche migratorie e ai nostri governi scegliere la prospettiva da adottare.
Guardando alla natura del fenomeno, è chiaro come questo non possa essere fermato e che un equilibrio sempre valido per il suo controllo non esiste.
Solo considerando la matrioska nel suo insieme, senza farsi dominare né dalle paure nazionali né dalle idealità internazionali, potremo affrontare efficacemente le sfide della migrazione globale.