Il 12 gennaio 1951 entra in vigore la Convenzione sul Genocidio, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU già nel 1948 e di cui oggi fanno parte 153 paesi. 

Il termine genocidio è recente: viene coniato da Raphael Lemkin, giurista polacco di origine ebraica, la cui famiglia era stata uccisa dall’Olocausto. Per questo, Lemkin porta avanti una lotta al riconoscimento del genocidio come crimine di diritto internazionale, sforzi non invani e che confluiscono poi nella Convenzione, subito considerata norma ius cogens del diritto internazionale, nonché norma consuetudinaria vincolante anche per i paesi che non fanno parte della stessa. La Convenzione ebbe un’importanza fondamentale nel secondo dopoguerra: l’impegno della comunità internazionale era quello di non voler ripetere mai più gli orrori della Seconda guerra mondiale.

All’art. II della suddetta Convenzione, il genocidio viene identificato come acts committed with intent to destroy, in whole or in part, a national, ethnical, racial or religious group. Tra questi ritroviamo: uccisione di membri del gruppo; causare gravi lesioni all’integrità fisica e mentale dei membri del gruppo; sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo; imporre misure destinate ad impedire nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di bambini da un gruppo ad un altro. 

Tra gli eventi che hanno segnato la storia mondiale, il più sconvolgente e inspiegabile è proprio l’Olocausto. Ci si chiede come una mente abbia potuto progettare in maniera così dettagliata e sistematica una carneficina del genere: campi di concentramento e circa 6 milioni di vittime, un vero e proprio genocidio di massa. 

Ad oggi, invece, è proprio lo stato di Israele ad essere accusato del peggior crimine internazionale nei confronti della popolazione palestinese, ritrovandosi davanti alla Corte dell’Aia. 

Israele nasce a seguito di migrazioni di ebrei in Palestina prima, e soprattutto durante, il mandato britannico (1920-1948), incentivate dal movimento sionista, nato per perseguire la creazione di uno stato ebraico in Palestina. È il 14 maggio del 1948, vigilia della fine del mandato britannico sulla Palestina, quando il Consiglio nazionale per lo Stato ebraico proclama la creazione dello Stato d’Israele. I paesi arabi si oppongono ad una costruzione occidentale nel Vicino Oriente, comincia la prima delle diverse guerre arabo-israeliane: circa 700.000 arabi palestinesi sono costretti ad abbandonare città e villaggi (la cosiddetta Nakba – “catastrofe”). Oggi, dopo quasi 76 anni, la questione palestinese non è ancora risolta. 

Alla fine della guerra dei sei giorni (1967), Israele occupa i Territori palestinesi (Striscia di Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est, le Alture del Golan e la penisola del Sinai) confiscandoli al controllo dei paesi arabi. La definizione “territori occupati” la ritroviamo nella Risoluzione nº 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (non vincolante) che prevedeva il raggiungimento di una pace “giusta e duratura” attraverso il ritiro delle truppe israeliane e il riconoscimento reciproco tra gli stati. 

Con l’occupazione, le violenze non si arrestano e culminano nella Prima Intifada (in arabo “rivolta”), la quale comincia l’8 dicembre 1987, quando un camion israeliano colpisce due furgoni che trasportavano operai di Gaza a Jabaliyya, uccidendone quattro. In risposta, la sera stessa, scoppia una rivolta a Jabaliyya e si espande fino a Gerusalemme.
Israele risponde con una durissima repressione e, il 22 dicembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condanna Israele per aver violato le Convenzioni di Ginevra a causa dell’alto numero di morti palestinesi nelle prime settimane di Intifada. È proprio in questo momento che a Gaza nasce Hamas: i gruppi estremisti che non si riconoscono più nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) danno vita al Movimento Islamico di Resistenza (Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya – Hamas), il cui statuto proponeva il ritorno della Palestina allo stato pre-coloniale e l’istituzione di uno stato palestinese. Hamas rivendica numerosi attentati suicidi nei confronti dei civili e soldati israeliani (gli attentati ai bus della strada di Jaffa del 1996 ne sono un esempio) e viene considerata un’organizzazione terroristica da diversi paesi, perlopiù occidentali (anche se alcuni si limitano a condannare solo la sua ala militare). 

Il conflitto perdura e, nel 1993, vengono siglati gli accordi di Oslo tra Israele ed OLP: viene creata la cosiddetta Autorità Nazionale Palestinese e viene permesso ai territori palestinesi di autogovernarsi (anche se in maniera limitata). 

Nel 2005, Israele rinuncia al controllo della Striscia, ma solo formalmente. Infatti, a seguito della vittoria delle elezioni da parte di Hamas e della vittoria della guerra civile di quest’ultimo contro Fatah (secondo partito alle elezioni), Israele impone un blocco terreste, aereo e marittimo; blocco che ha causato un danno economico di miliardi di dollari all’economia del territorio, definito da molti “una prigione a cielo aperto”.

È il 7 ottobre 2023 quando Hamas lancia un forte (e inaspettato?) attacco contro Israele con un bilancio di circa 1400 morti. La risposta militare di Israele sulla Striscia è spietata e, dopo 6 mesi, è ancora in corso con un bilancio di oltre 30.000 morti. 

Bisogna considerare che la Striscia di Gaza ha una superficie di 365 km2 (Roma è quasi quattro volte più grande) abitata più di 2 milioni di persone, circa 6000 abitanti per km2, contro i 450 di Israele. La popolazione è molto giovane: quasi il 50% ha meno di 18 anni. A partire dal 7 ottobre, decine di giovani giornalisti (Motaz Azaiza tra questi), grazie ai media, continuano a testimoniare e a condannare la brutalità degli attacchi israeliani contro i palestinesi: bambini orfani, senza una casa, genitori che perdono figli tra le proprie braccia, donne incinta senza cure e assistenza necessarie per poter dare alla luce i propri bambini. Quanti Hamas, quanti estremisti stanno crescendo tra le mura di Gaza in questo momento? Si può parlare di diritto alla difesa con un numero così alto di vittime? Qual è la linea che divide questo dalla vendetta? E come fa una popolazione con un passato così ingiusto a rischiare di diventare il nuovo carnefice? 

Il Sudafrica, il 29 dicembre 2023, denuncia Israele di atti di genocidio, contestandone nello specifico cinque: uccisione di massa di palestinesi, inflizione di gravi danni mentali e fisici, espulsione forzata, attacco al sistema sanitario di Gaza e applicazione di misure intese a prevenire nascite all’interno del gruppo. La CIG potrebbe impiegare anni per emettere una sentenza definitiva, nel frattempo probabilmente, mentre civili innocenti continueranno a rimetterci la pelle a causa di scelte politiche sempre più irragionevoli, anche questa guerra finirà nel dimenticatoio perché considerata troppo lontana da noi.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here