Abbiamo toccato il 31 ottobre i 7 miliardi. Tanti sono gli abitanti della terra, il dato indicato suscita qualche riflessione, più o meno preoccupante. Come diceva lo studioso Antonio Golini, è stato un successo davvero riuscire a convogliare una cifra tnato grande di persone sulla terra? La risposta per me rimane positiva, ma c’è ambiguità, soprattutto se guardiamo alla qualità della vita.
Nell’anno 0 a.C. si contavano secondo le stime 300 milioni di persone sul globo, che 1900 anni dopo erano diventate 1 miliardo e 650 milioni. In cento anni siamo arrivati a 7 miliardi, un secolo è stato sufficiente a moltiplicare la popolazione mondiale ad un ritmo mai visto prima, e probabilmente irripetibile negli anni che verranno.
E’ bene che il nostro sistema riesca a far stare in piedi sette miliardi di individui; avrei voluto dire è bene che riesca a sfamarli, ma mi accorgo che non è vero. Questo è il dilemma, che per “qualche miliardo” di persone la vita non prevede acqua, cibo, istruzione, sanità e dignità. Non filosofeggio sul vero significato della vita in questa sede, nè voglio sembrare tanto presuntuoso da definire le priorità dell’essere umano generalizzando. Ma qui la questione diventa oggettiva. Non vengono soddisfatti i bisogni primari di troppe persone, lasciando che la crescita in termini demografici del mondo non sia accompagnata da uno sviluppo sostenibile e sociale. E tante volte si è provato a spingere le politiche mondiali verso soluzioni condivise da tutti, verso un piano di medio termine efficace.
Ci si provò dalla Conferenza del Il Cairo (1994), fino all’Agenda 21 di Rio de Janeiro, o ai Millennium Goals di inizio millennio. Qualcosa si è mosso, forse anche un pò più di qualcosa. La condizione femminile è stata al centro della ricerca degli ultimi anni; è un indicatore prezioso di sviluppo e un fattore determinante allo stesso: se la donna non ottiene ruolo, possibilità e dignità in campo economico, sanitario, politico, familiare, non può esserci progresso. L’empowerment di genere ha fatto grandi passi, altro si è cercato di fare per le condizioni dei bambini, gli infanti, per la fame e le malattie che devastano soprattuto Africa, Asia e parte del Sud America. I risultati, però, assomigliano più a una lavata di coscienza che a un effettivo e reale piano che possa inglobare nel sistema tutti gli esclusi del mondo. Ricordiamoci sempre che noi privilegiati che viviamo nelle comodità e nei servizi, in confronto, dovremmo offrire a chi meno ha più possibilità: perchè un giorno non molto lontano, quello che teniamo stretto potrebbe ritorcersi contro noi stessi. La natura coi suoi cataclismi lo sta già facendo (tsunami, terremoti, alluvioni), eppure continuiamo a sootovalutare il futuro per l’interesse di “consumare più consumismo possibile”.

In foto uno slum di Mumbai.

L’urbanizzazione nei secoli scorsi era indice di modernizzazione spesso, ed indicava uo sviluppo attuato o in corso nelle società industriali neonate. Oggi, nei paesi in via di sviluppo (dai giganti come India, Cina fino a realtà ancora caotiche come la Nigeria) il processo è ugualmente avviato e le megalopoli crescono a vista d’occhio. I numeri parlano di una popolazione che vive in città passata nei paesi industrializzati da 400 milioni nel 1950 al miliardo pronosticato per il 2030. Nei Pvs a metà del XX secolo si annoveravano 300 milioni di abitanti nelle città, mentre nel 2030 arriveranno ad essere quasi 5 miliardi. Non possono non esserci complicazioni ovviamente: cresce il numero di poveri, diventa difficile la gestione di masse incontrollate, l’offerta di servizi non riesce a coprire il bacino d’utenza aumentato esponenzialmente. Nascono così bidoville in Africa, slums in Asia e favelas in America Latina. Il connubio urbanizzazion-sviluppo non è, in questo caso, produttivo perchè mancano alcune condizioni base, quale la modernizzazione di molti settori, senza la quale non si ha la garanzia di poter mantenere tali centri urbani. Da Lagos a Mumbai la situazione è critica.
E’ vero, siamo in grado di stare in piedi in sette miliardi, ma quanti di questi sette miliardi in piedi abbassano ogni giorno la testa, curvano le spalle? Quanti di loro, però, mantengono una dignità a noi ormai sconosciuta se non tramite i dizionari consultabili dagli iPhone? La gestione della questione demografica richiede un approccio multisettoriale ed in questo l’innovazione e la ricerca dovrebbero giocare un ruolo fondamentale a tutti i livelli (nazionale ed internazionale); il resto viene affidato al policy-making, nella speranza che non ci proietti ancora verso lo scontro Nord-Sud del mondo, dove la plutocrazia bada solo al suo presente.

 

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