9788845245916gImmaginate la “ruvida polpa” di una natica  maschile, e una croce sopra, incisa con un apriscatole. Vi scapperà una smorfia di raccapriccio, e penserete ad una pratica blasfema di qualche   rituale satanico, o ad una punizione esemplare per i  lussuriosi di lungo corso; ma quella croce finì sulla chiappa di Joe il Grande per ben altre ragioni. Un tale di nome Danny, di professione beone e perdigiorno, ereditò, uscendo di prigione, una casa nella piana di Monterey. Ma Joe?  Un attimo… ci arrivo! Dicevo… questo Danny, dedito all’alcol, ai furtarelli, e a sprimacciare gonnelle, decise di spartire la sua imprevista  fortuna con una combriccola di amici di pari levatura, verso i quali  sentiva una comunanza d’intenti  nella più bieca dissolutezza, nelle solenni bevute e nell’ozio. Joe il Portoghese  faceva parte della comitiva.

Quest’ultimo, e gli altri quattro senzatetto,  debosciati  seppur eroici,   si muovono tra le pagine   di “Pian Della Tortilla” di Steinbeck, districandosi  tra varie  peripezie ed espedienti,  secondo  il bandolo alticcio  dei loro ragionamenti  ingenui o surreali.  Gli amici di Danny non brillano affatto quanto a moralità, ma  l’autore si astiene dal giudicarli; nobilitandoli  quasi attraverso uno sguardo  indulgente e paterno, che sotto i baffi se la ride compiaciuto  delle malefatte filiali. Il piglio del narratore è divertito, ed il lettore prima o poi finisce con l’esserne cooptato.

I rumori  domestici  sfumano in un ronzio insignificante, e ti ritrovi protagonista di una  strana metamorfosi.  Il tuo divano diventa una logora sdraio,  i piedi penzoloni  e  callosi,  le  brache  allentate,  mentre  ti dondoli al sole nella veranda di Danny;  ascolti  le chiacchiere  sui paisanos ;  tracanni vino corposo, e il tannino  risale  a tal punto che quasi fatichi a ricacciare  un rutto  alla bocca dello stomaco; poi  finisci nel pollaio della signora  Morales a rubare galline; e ti dimeni sotto  la gonna svergognata di Engracia Ramirez;  di notte, infine, brancoli nella foresta, al chiarore di luna, senti un  trepestio di passi nel fogliame rinsecchito, e gli alberi affiorano dalla nebbia bisbigliando parole;  e tu? Guardati! Sei  diventato a tutti gli effetti un amico di Danny.

Eppure non ti sei schiodato di una virgola, comodamente allungato sul  divano, o sprofondato del tutto, in caso di molle “schioppate” per vetustà.  Vi chiederete   cosa c’entra in questo discorso la storia della natica sfregiata: c’entra eccome. Be’, di sicuro segna irrimediabilmente l’immaginario del lettore, ma l’ho tirata in ballo perché  risulta  esemplificativa   di uno dei leitmotiv del romanzo: l’amicizia. Quel vincolo di solidarietà  misterioso e contraddittorio che spinge ciascuno di loro a condividere il destino degli altri e a parteciparvi. Gli amici di Danny sono avvinti da un legame di tipo quasi cavalleresco, ricordano un po’ i quattro moschettieri  in chiave  picaresco-sfigata, tradendo a volte una purezza d’intenti che cozza letteralmente con la loro  furfanteria maldestra. Eppure, in fondo a quella  propensione bonariamente criminale, serbano il senso  dell’onore,  e quando  Joe il Portoghese deruba uno degli amici, sottraendogli  i denari accumulati per comprare un candelabro d’oro a S. Francesco,  i cavalieri senzatetto gli infliggono l’onta di uno sfregio, come monito permanente a non violare ancora il legame  sacro dell’amicizia.

Il finale, imprevedibile, non delude, risultando coerente; e una volta tanto, a mio parere, supera l’incipit di gran lunga.   Forse mi sono persa tra i sentieri tortuosi della foresta di Monterey,  e ci ho messo un po’ a ritrovare la strada, volevo solo dire che un libro, quando è scritto bene – Steinbeck il Nobel non lo ha vinto certo coi punti della benzina- rappresenta  la possibilità di intraprendere  un viaggio, nella testa, nel cuore e perfino nelle mutande dei suoi personaggi; avanzando così nella conoscenza di quel pianeta impervio ed accidentato che è l’essere umano.  Con “Pian Della Tortilla” è proprio il caso di  fare i bagagli.

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