Il film denuncia del regime islamico, I gatti persiani

Commovente. “I gatti persiani” è il film che racconta, attraverso diversi generi musicali, la cultura persiana della Repubblica Islamica. La storia è ambientata a Teheran e vede una giovane coppia desiderosa di formare un gruppo musicale. Nel cercare i componenti del gruppo i due entrano in contatto con diverse realtà musicali che corrispondono anche a differenti modi di rappresentare la vita iraniana.

Ci sono però alcuni significativi ostacoli da dover superare. Il primo tra questi è che il regime del paese islamico proibisce la musica rock e altri generi che la cultura occidentale considera del tutto innocenti. Inoltre il protagonista della storia è reduce da qualche “grana” con le autorità iraniane, il che costituisce un problema per la realizzazione dei suoi progetti musicali con mire internazionali. I due, con l’ausilio di un simpatico “tuttofare”, iniziano l’avventura alla ricerca di passaporti falsi, membri del gruppo e ispirazione musicale. Il tutto avverrà mostrando l’incredibile potenzialità del giovane popolo persiano represso dalla pesante censura operata dal regime teocratico.

Il regista, Barman Ghobadi, fa un’aperta denuncia della repressione che frena l’estro della nuova generazione iraniana, lui stesso conosce i numerosi scogli da superare per poter mostrare la propria forma d’arte o, ancor peggio, il proprio dissenso:  infatti al momento esule, non può tornare nel suo paese per ovvi motivi che lo spettatore potrà comprendere guardando il film. Assolutamente geniale l’idea di mostrare frammenti di vita tipica della cultura persiana che accompagnano i numerosi “provini” eseguiti dai diversi gruppi musicali ascoltati dai due protagonisti. Ogni gruppo si cimenta in diverse varietà musicali toccando il rap, il pop, l’haevy metal, il folk, il rock. Ogni genere racconta una diversa variante di cultura iraniana. Ma in comune tutti loro hanno la triste caratteristica di dover suonare di nascosto,  spesso in luoghi angusti e sgradevoli come stalle, minuscole soffitte, palazzi in costruzione, con il rischio ogni volta di essere denunciati.

Importante, per apprezzare ancor più il film, è capire brevemente la storia recente di questo paese e come funziona il suo governo. L’Iran, un tempo Persia, cambiò nome nel 1935 con lo scià Reza Pahlavi. La lingua ufficiale è il persiano o farsì e la Religione ufficiale è l’Islam sciita. Dal 1941 la monarchia dello scià Reza Pahlavi, sostenuto dagli USA, tentò la modernizzazione del paese non senza l’uso della repressione. Lo scontento popolare portò nel 1979 la “rivoluzione Khomeiniana” che costrinse lo scià all’esilio e pose fine alla monarchia instaurando quella che oggi conosciamo come la Repubblica Islamica. Già da allora iniziò l’aspro confronto tra l’Iran e il “grande Satana”, gli USA. Dopo la logorante guerra contro l’Iraq, dal 1980 al 1988, che non vide né vinti né vincitori, il governo dell’Iran dal 1997 al 2005 ha avuto come presidente il “moderato” Khatami, almeno così si può dire se confrontato con i colleghi predecessori e il successore attuale leader. Dal 2005 Ahmadinejad è il presidente eletto in maniera più o meno regolare. Questi dubbi hanno portato, dall’estate 2009, a grosse tensioni e scontri con le autorità,  conclusi in più occasioni con bagni di sangue.

La Costituzione iraniana riporta che lo Stato è subordinato al clero sciita. A capo dello Stato c’è quindi una guida religiosa che presiede il Consiglio dei guardiani della sharia, la legge islamica che segue il corano e è alla base dell’ordinamento giuridico iraniano. Il Consiglio ha anche il controllo sul Presidente della Repubblica che, a sua volta, è eletto a suffragio diretto.

Il ruolo della donna in Iran è un altro fattore molto delicato. Considerate  “troppo” deboli rispetto all’uomo, le donne, secondo l’Ayatollah Ali Khamenei, attuale Guida Suprema, non hanno alcun diritto a partecipare a qualsiasi attività politica e sociale. Lo scopo delle donne, sempre per il credo di Khamenei, è di rimanere in casa e mettere al mondo  bambini. Inoltre vi sono ferree restrizioni sul modo di vestire. Nel caso non indossino appropriatamente il velo rischiano, tra le numerose condanne, quella di essere frustate in pubblico. Negli ultimi anni le donne sembra  siano più consapevoli dei soprusi subiti avendo organizzato persino qualche protesta, ma tutt’ora non riescono ad ottenere il benché minimo diritto che le possa avvicinare ai privilegi di cui godono gli uomini. Questa situazione è ben descritta nel bellissimo lungometraggio d’animazione iraniano “Persepolis”. Ma questo è un altro film, un’altra storia, un’altra denuncia.

Fonte: Claudio Palazzi, La voce di tutti

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