Nell’Italia del pallone, quella che allevia i malumori della settimana lavorativa, quella che ci distoglie dalla
bagarre politica, dalla crisi economica, quella che emoziona tanti italiani e non solo, è arrivata l’influenza.
Regna il caos nel campionato, non c’è un leader, tutti nel cerchio di centrocampo e provare a tirare l’acqua al
proprio mulino. Non stiamo parlando del governo del paese. Si tagliano stipendi, ci si lamenta per lo stress di
un lavoro “duro”, e non sono i resoconti della Cgil, ma sempre la Serie A italiana.

Mai come oggi negli ultimi anni l’incertezza ha fatto così da padrona sui campi, con tanti club in così pochi
punti. All’ottava giornata assistiamo alla rincorsa delle grandi per tornare in vetta. La Juventus del dopo
Calciopoli per la prima volta si trova prima e ancora imbattuta, le milanesi attardate, soprattutto l’Inter vicina
più alla lotta salvezza che ai sogni di tricolore. La Roma americana ha avviato il suo nuovo ciclo per imporre
il gioco di Luis Enrique, ma ce ne vorrà di tempo, se la piazza avrà pazienza, prima che i risultati di lungo
termine emergano. La Lazio del bomber Klose viaggia a buoni ritmi, ma non si sa fino a quando la rosa
titolare potrà tirare avanti senza rincalzi adeguati. Il Napoli, progetto affascinante e continuo da qualche
anno, ha in Mazzarri il suo uomo chiave, ma ancora fatica ad abituarsi a giocare su più palcoscenici insieme
(campionato e coppe), perdendo per strada qualche punto prezioso. Poi l’Udinese che ormai non è più una
sorpresa col suo sempre verde capitano Di Natale, nella lista dei 50 candidati al Pallone d’Oro, e il Palermo
dell’irascibile Zamparini, che di equilibrio di prestazioni fra casa e trasferta proprio non ne vuole sapere. E
tante altre realtà, le cosiddette piccole ad animare partite e lotte all’ultimo fallo, all’ultima sirpresa. Non
ultima la penalizzata Atalanta, felice di una partenza brillante e già recuperato l’handicap, viaggia a braccetto
con l’ottimo Catania dell’ex giallorosso Montella.

Tutte le compagini citate e le altre che completano la classifica, però, mostrano punti di forza ma anche
qualche limite. E’ il caso del Milan, coi mal di pancia dell’asso svedese Ibrahimovic e di Cassano e con i
suoi troppi infortuni; è il caso dell’Inter, che ha perso il suo uomo migliore, Eto’o, senza riuscire a
rimpiazzarlo adeguatamente e dando il via alla giostra di allenatori che da anni non si vedeva più ad Appiano
Gentile. Perfino la Juventus, ritrovata grande, appare comunque congestionata, con un tecnico di ferro e dal
grande senso d’appartenenza, in quanto Antonio Conte in maglia bianconera ha vinto tutto. Ma al suo interno
c’è una gestione di casi spinosi: il trattamento da riservare all’inossidabile capitano Del Piero, a livello
mediatico per il rinnovo contrattuale e a livello di minutaggio in campionato. Gli spinosi casi degli esterni
Elia e Krasic, oggetti misteriosi e oggi fuori dai programmi e dai titolar. Infine una difesa che alterna buone
prestazioni ad errori madornali che per rimanere lassù non possono continuare.

Le uniche certezze appaiono nei bassifondi della classifica, dove sembrano essere condannate a una lotta
impossibile Cesena e Lecce, non tanto per la pochezza di punti racimolati, quanto per il gioco espresso e il
potenziale a disposizione. Il Cesena lo scorso anno partì male ma la compattezza della squadra, in buona
parte la stessa della promozione dalla B, fece la differenza. Oggi non lascia sperare bene, nemmeno dopo il
colpo estivo dell’ex viola Mutu, uno che doveva fare la differenza, mentre rimane spesso a guardare, quando
non si fa espellere o sparacchia un rigore in malo modo. Il Lecce, dal canto suo, non ha nemmeno una prima
stella che possa trascinarlo, col veterano Di Michele ai box, e il resto della rosa piena di punti interrogativi.
Perdere 4-3 dopo aver chiuso il primo tempo in vantaggio 3-0, seppure contro il Milan, è indice di quanto sia
quella salentina, non tanto una squadra di sole mare e vento, ma piuttosto una terra di saccheggio per i punti
altrui. Senza contare che manca una vittoria in casa da inizio campionato, zero punti raccolti finora. Le altre
piccole Bologna, Parma, Novara, Chievo, Siena che puntano alla salvezza saranno pronte a lottare, ma
almeno hanno fornito indicazioni incoraggianti, sembrano squadre vive. Un discorso a parte forse meritano
due club storici del nostro campionato, Genoa e Fiorentina. Entrambe scudettate di antica data ma comunque
rappresentative di forti realtà calcistiche, sono in un momento delicato: la Viola perché affronta una
spaccatura fra il suo tifo e un allenatore mai accettato, il serbo Mihajlovic; il Genoa perché stenta a decollare,
nonostante un mercato giudicato frettolosamente da molti scarno, appare invece tignoso e in salute. Le
prossime giornate daranno a Genova e Firenza gioie e dispiaceri che di certo forniranno un piano più chiaro
per il futuro immediato.

Nessuno oggi può dirsi favorito per la corsa al titolo, né la Juventus prima in classifica, né il Milan tonico
delle ultime settimane in piena ascesa. E il Napoli? La squadra italiana oggi più rispettata in Europa? Anche
qui il discorso vale per i partenopei. Christian Maggio va forte tutto l’anno a dispetto del nome, Lavezzi
continua a imitare con successo Maradona, Cavani segna e se non segna fa segnare, la squadra segue il suo
allenatore ed è un gruppo affiatato, ma ancora cade, si rialza sempre, ma cade. L’ha fatto in casa col Parma
due giornate fa, quando in molti si aspettavano una goleada. Invece è stata l’ennesima testimonianza di come
le partite facili davvero non esistano più. La precarietà domina il mondo del lavoro e quello del pallone, è un
ring e non una classifica. A noi sportivi, per carità, piace ed è avvincente un campionato senza padroni
assoluti. Non piacciono la violenza inutile negli stadi, le lamentele gratuite e furbe contro la classe arbitrale e
nemmeno alcuni giocatori che si permettono di stizzirsi perché non si sentono così fortunati o stimolati. E
non tiro in ballo gli stipendi milionari, anche se in tempo di crisi internazionale sarebbe eticamente doveroso
forse, ma almeno si chiede rispetto nei confronti di chi ha problemi maggiori e risorse cento, mille, milioni di
volte inferiori.

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