Nella coltre biancastra, nel gelo mi perdevo e nella solitudine dell’inverno la mia anima nuda si specchiava. Il mio volto si rifletteva sull’acqua ghiacciata ma l’immagine che vedevo non era più la mia. Era quella di tante donne diverse che si confondevano e si facevano la guerra. A che gioco giocasse quell’anima tormentata lo ignoravo, ma l’aria che mi trafiggeva
la pelle come una lama, forse lo sapeva. Il vento portava con sé tanta malinconia, tanti ricordi e i tasselli di quel puzzle avevano odori lontani. Mi ricordavano chi ero stata e chi avrei voluto essere. Ma adesso ballavo nella desolazione e perfino i rami di un albero spoglio, suggellavano il deserto del mio cuore. Vuoto, libero:quel cuore era freddo come le mie mani. In un eterno vagheggiare, dentro le sublimi peregrinazioni di chi cercava la sua vera essenza,
qualcosa attirò la mia attenzione: un edificio che si ergeva dispotico nella natura sconfinata. Dalla finestra di quella casa senape, si intravedeva una scintilla. E quella scintilla si accese. Quella piccola scintilla divampò. Le fiamme baldanzose che prendevano vita davanti i miei occhi esterrefatti mi ricordarono che il mio coraggio non si era ancora
assopito. Che la mia volontà non era sepolta nei meandri dell’inconscio, che quella forza che mi contraddistingueva da tempo aspettava solo una nuova sfida. E allora io e il fuoco ci fondemmo in un unico abbraccio salvifico e mentre tanti fiocchi leggiadri si riversavano a terra, contemplavo lo spettacolo della vita. Nessun ferita avrebbe potuto fare così
male da lambire la mia esistenza. Varcai la soglia di quell’edificio. Il calore che si propagava intorno a me destava i sensi, inebriati di nuove verità. Mi sarei scottata ancora e ancora. Mi sarei gettata nella mischia, senza paura. Il torpore che aveva conquistato la mia anima, lasciava il posto a delle consapevolezze. Ascoltavo le verità che tacevano da
tempo. Come d’incanto, scrutavo quella magia. Pura e semplice. Perché la bellezza era nella semplicità. Dal cielo opaco lacrime di perla sgorgavano, poi le tenebre inghiottirono il paesaggio circostante e i profili indistinti delle cime innevate si susseguivano uno a ridosso dell’altro. Appollaiata su quel tenero giaciglio, volevo imprimere nella mia mente
i dettagli di quell’atmosfera candida. Il silenzio mi avvolgeva come una coperta di lana e la quiete sopraggiunse. La pace si era impadronita di me, per non abbandonarmi più. Spiriti eterni nella notte buia, si tenevano per mano e giocavano festosamente. Io mi lasciai andare e le mie palpebre si chiusero. Così mi addormentati profondamente. Sognai tanto quella notte. Sognai di te ma la mattina quel sogno era già svanito.

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