Quattro cinghie  beige di stoffa all’estremità del letto indicano che siamo nel tunnel degli orrori. E’ il reparto psichiatrico di un anonimo ospedale e chissà quante persone sono state immobilizzate su quel materasso. Quattro cinghie che bloccano completamente gli arti , che lasciano sulla pelle cicatrici indelebili mentre il paziente invano tenta di liberarsi e lo sfregamento produce i segni che animeranno i suoi incubi perché quell’ombra giacerà nel suo cuore per sempre.  E’ solo il culmine del dramma per gli “spostati”, per gli alienati mentali che subiscono l’esclusione dalla società versando in una condizione di inettitudine e di abbandono.

Non sono gli zombie di Dylan Dog, non mangiano le tue membra ma tanti individui spersonalizzati che camminano barcollando e il cui sguardo colpisce perché si ha la sensazione di perdersi in un abisso: sono gli occhi spenti e vuoti di chi oltre alla contenzione fisica subisce una contenzione chimica.

Infatti i pazienti psichiatrici non sono lasciati solo a letto ad agonizzare giorni e giorni senza cibo , né acqua. Ma è l’effetto dei farmaci combinati insieme che produce quel vuoto, quella sensazione di assenza, di non esserci. Benzodiazepine, neurolettici, antipsicotici, antidepressivi somministrati in un mix letale che crea una percezione diversa della realtà. L’equivalente di una camicia di forza, di una lobotomia: quando si è internati infatti si perde ogni diritto su se stessi e ogni contatto con l’esterno. E’ così che si varca quel labile confine, che si produce l’annullamento della persona  e il soggetto in questione , l’infermo, inerme si abbandona alla propria follia; d’altronde quando si oltrepassa  la soglia di un SPDC è un viaggio senza ritorno, un viaggio nell’alterità. La soglia, quella di cui parliamo, di un repartino microscopico.

Un corridoio asettico in cui passeggiare , una sala fumatori dove bivaccare e affondare nella magra consolazione della nicotina e le piccole stanze dove le sbarre alla finestra separano dal mondo circostante proiettando l’individuo in una condizione tale di emarginazione dalla quale è impossibile riemergere. I pazienti lontani, in una dimensione parallela, esseri spenti e assonnati, inanimati in pose distratte passano le ore passeggiando in corridoio, ripetono parole confuse come fossero dei mantra. Le voci si impadroniscono della loro mente, regnano indisturbate e  vittime della follia, in preda ai deliri e alle allucinazioni, creano mondi dove non regnano le leggi della fisica.

Nell’isolamento e nell’emarginazione totale, nella violenza psicologica e fisica è facile alimentare i propri incubi. Le donne vengono prelevate dalle loro stanze, sbattute nella vasca da bagno mentre un infermiere si occupa della supervisione. Nude, nude come vermi di fronte individui di sesso opposto. Private dei loro oggetti personali e spogliate della propria anima. Sedate e in uno stato di semi-coscienza sono poi prese per il collo e sbattute a letto, dove resteranno  per giorni. Gli uomini vanno incontro ad una sorte analoga e in quello stato di privazione sensoriale ribellarsi diviene impossibile.

Si tenta invano una fuga, si cerca di scappare dall’inferno ma il repartino completamente blindato, a cui si può accedere solo se si è un familiare del paziente ad orari prestabiliti, non lo consente. Una volta varcato il confine e bersagliati dalle stesse persone che dovrebbero aiutarli, ai degenti non resta che sperare nella  morte ma quell’agonia è destinata a durare. I propri carnefici, soggetti  impassibili in camice bianco, cercano di sondare la psiche umana per capire cosa abbia smesso di funzionare, quale meccanismo si sia inceppato.

In fondo quel prezzo da pagare, la violenza fisica e psicologica è solo una conseguenza. Poco importa se si resterà traumatizzati per tutta la vita. Il lavaggio del cervello dedito a produrre degli automi, i prodotti standardizzati della società postindustriale,   salverà loro la vita. E di tutto questo, di questo viaggio nell’alterità non resterà che un ricordo che anima le notti insonni, poiché ogni sorta di follia annega nella sua disperazione.

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