Denunciato per ribellione e sedizione insieme ai parlamentari che hanno votato la dichiarazione di indipendenza dallo stato spagnolo, il presidente catalano Puigdemont si reca a Bruxelles. Sembra una partita a scacchi all’ultimo pedone quella giocata da Rajoy e dal fronte indipendentista catalano nelle ultime settimane. La denuncia presentata davanti all’Audencia National di Madrid ha dunque avviato l’incriminazione ma sembra, per il momento, nessuna richiesta di arresto. Oggi il ministro dell’interno spagnolo Jorge Fernàndez-Diaz ha confermato in un’intervista ad una rete televisiva l’incontro tra Puigdemont e i nazionalisti fiamminghi che sembra vogliano offrire asilo politico all’ex presidente. Cominciano così a delinearsi i vari schieramenti per le elezioni previste il prossimo 21 dicembre e che pare comprenderanno lo Pdecat di Puigdemont e la sinistra della Erc catalana presieduta da Junqueras.

Tira un’aria di tempesta tra Barcellona e Madrid. In questa contesa per l’indipendenza nessuna delle due fazioni vuole mollare la presa. Una controversia portata avanti da secoli che sembra non aver mai fine. C’è stata solo l’illusione di una tregua quando Madrid, con lo statuto del 2006, aveva proclamato l’autogoverno estendendo le prerogative della regione catalana in campo fiscale, giudiziario e amministrativo oltre alla facoltà di mandare un proprio rappresentante alle riunioni europee. Tuttavia nel 2010 il governo centrale spagnolo dichiarò incostituzionali diversi articoli del precedente statuto accrescendo il malcontento e lo spirito nazionalista catalano. Dunque un susseguirsi di scelte politiche volte ad impedire una maggiore autonomia che hanno accresciuto l’impeto nazionalista dei catalani, spingendoli verso la proclamazione di un loro stato e della loro indipendenza dal governo centrale.

Del resto, ragioni per rivendicare autonomia i catalani le avevano. A partire dal XIV secolo venne creata nella regione la Generalitat de Catalunya come organismo indipendente. Questo permise agli abitanti della contea di Barcellona di sviluppare una gelosa coscienza delle proprie singolarità rispetto alle altre regioni iberiche-castigliane. Una storia, quella catalana, fatta di continue soppressioni  rivolte a queste singolarità, assoggettate da un governo spagnolo all’altro con qualche piccolo riconoscimento di autonomia. La cosa finì per sviluppare tra Ottocento e Novecento una forte opposizione al centralismo di Madrid  fino alle dittature di Rivera e successivamente di Franco. Un vento secessionista che spira con forza da secoli e che sembra ora aver ritrovato una sua voce ancora più potente. Un nazionalismo che deriva da tradizioni, lingua, costumi e bandiera diversi, simile a quello che potremmo osservare in Scozia.

Non a caso alla notizia ufficiale della Brexit la leadership scozzese, guidata dalla Sturgeon, ha risposto che avrebbe indetto un referendum per separarsi dal Regno Unito. Anche la storia della Scozia è piena di rivendicazioni di indipendenza, più giustificate di quelle catalane in quanto fu, per lungo tempo, Stato indipendente e sovrano. Quello che tutti chiamiamo Regno Unito, infatti, ha raggiunto quest’ultimo appellativo effettivamente solo nel 1707 quando il Parlamento di Edimburgo si sciolse con l’Atto di Unione per dar vita al Parlamento di Gran Bretagna. Solo nel 1999 l’assemblea legislativa scozzese rinacque grazie alla devolution.

Un nuovo referendum per l’indipendenza, dopo che il primo fallì nel 2014, è previsto nei primi mesi del 2019. Storie di indipendenza, di forte spirito nazionalista che riecheggiano in quella che sembra essere una vera e propria tempesta europea.

Una piccola nuvola in questa burrasca è costituita dalle regioni italiane Lombardia e Veneto, le quali hanno istituito un referendum consultivo, svoltosi lo scorso 22 ottobre, al fine di richiedere allo stato italiano l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia regionale sulla base dell’articolo 116 della Costituzione. L’obiettivo del referendum era di ottenere più forza politica al tavolo negoziale col governo centrale per una gestione più indipendente delle proprie risorse. I risultati sono noti. Ci sono stati numerosi problemi in Lombardia con il sistema di voto informatico che ha finito per collassare. E’ anche stata stimata un’affluenza vicina al 40% in cui il Sì avrebbe raccolto più del 95%. In Veneto l’affluenza è stata decisamente maggiore superando il quorum (non previsto per la Lombardia) con un Sì di oltre il 98%. Sono già partite le procedure per il negoziato con il Governo e, il Presidente del Consiglio Gentiloni, si è detto disposto ad ascoltare le ragioni dei presidenti Maroni e Zaia.

La parola d’ordine dei due presidenti leghisti è stata maggiore “autonomia”, ed è stata indicata la Catalogna come esempio. Sebbene tra le parole “autonomia” e “indipendenza” corra una differenza netta dal punto di vista del lessico politico, non si può negare che oggi ci sia un clima, una tempesta, o meglio ancora un ciclone che insiste sul continente europeo. A volte può produrre un piccolo temporale, come il desiderio di autonomia delle regioni dell’area padana, o un nubifragio dalle conseguenze imprevedibili, quali l’indipendentismo catalano o scozzese. Diversi fenomeni climatici, ma tutti parte di un’unica, grande tempesta.

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