Il diritto di famiglia in Italia ha subito una notevole evoluzione nel corso del tempo, riflettendo i cambiamenti sociali e culturali del Paese. Regola i rapporti tra i membri della famiglia, con particolare attenzione ai diritti e ai doveri reciproci, alla tutela dei minori e alla gestione dei beni comuni.

Storicamente, il Codice civile del 1942 conferiva al padre un potere quasi assoluto. A lui spettava la decisione su come educare i figli e la gestione dei beni familiari. Mentre la moglie aveva un ruolo subordinato, senza autonomia decisionale.

Un cambiamento fondamentale avvenne con la riforma del 1975. Con essa, si sancì la parità giuridica tra i coniugi, eliminando la figura del “capo famiglia” e stabilendo che marito e moglie avessero uguali diritti e doveri all’interno del matrimonio. Inoltre, il regime di comunione dei beni divenne lo standard, salvo diversa decisione dei coniugi.

Un’altra pietra miliare fu l’introduzione del divorzio nel 1970, confermato dal referendum del 1974. Seguito nel 2012 dalla parità di diritti per tutti i figli, legittimi e naturali.

Infine, con la Legge Cirinnà del 2016, vennero introdotte le unioni civili per le coppie dello stesso sesso e regolamentate le convivenze di fatto. Questa legge ha colmato un vuoto giuridico, offrendo tutela anche a coppie non sposate, sia eterosessuali che omosessuali, riflettendo i mutamenti nella composizione e nelle aspettative delle famiglie moderne.

Oggi, il diritto di famiglia riflette una società in evoluzione, riconoscendo e tutelando diverse forme di convivenza e ponendo al centro il benessere dei minori e la parità tra i coniugi.

In questo contesto, l’ascolto dei minori nelle procedure familiari è diventato un principio fondamentale del diritto italiano e internazionale. In situazioni delicate come separazioni, divorzi e affidamenti, garantire che i bambini possano esprimere la propria opinione è essenziale per tutelare il loro benessere. Sebbene il parere del minore non sia vincolante, la sua voce deve essere presa in seria considerazione, con un’attenzione particolare alla sua età e alla maturità. Questo approccio rappresenta una significativa evoluzione rispetto al passato, in cui i bambini spesso erano esclusi dalle decisioni che li riguardavano.

L’importanza dell’ascolto nelle decisioni familiari

Quando si affrontano decisioni legali che coinvolgono i minori, come l’affidamento dei figli, l’adozione o i casi di violenza domestica, l’ascolto del minore gioca un ruolo cruciale. Ad esempio, nel caso dell’affidamento, le opinioni del bambino possono fornire indicazioni su quale genitore preferisce vivere e su come desidera organizzare il proprio tempo con ciascuno di loro.

Allo stesso modo, nei procedimenti di adozione, il punto di vista del minore può rivelarsi determinante per capire il suo grado di adattamento o accettazione verso una nuova famiglia. Nei casi di violenza domestica, invece, le testimonianze dei minori possono aiutare le autorità a ricostruire la dinamica familiare e proteggere il bambino dalle situazioni di pericolo.

Il quadro normativo: dalla Convenzione ONU al diritto italiano

A livello internazionale, l’importanza dell’ascolto dei minori nelle questioni familiari è sancita dall’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti del Fanciullo, approvata nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991. Questa norma riconosce il diritto di ogni bambino a essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano, e impone alle autorità di tener conto delle sue opinioni in base alla sua età e maturità.

La Convenzione ha aperto la strada a una nuova concezione del bambino come soggetto di diritto, portando a un maggiore riconoscimento del suo ruolo nei processi decisionali che riguardano la sua vita.

In Italia, tuttavia, prima delle riforme più recenti, l’ascolto del minore non era obbligatorio in tutti i procedimenti legali. La decisione di ascoltare il bambino spettava al giudice, che poteva scegliere di farlo solo in determinati casi e solo se riteneva che il minore fosse in grado di esprimersi in modo consapevole.

Questa mancanza di uniformità aveva implicazioni legali importanti: spesso i bambini non venivano ascoltati direttamente, ma attraverso intermediari come psicologi o assistenti sociali, rendendo più difficile una comprensione diretta delle loro volontà.

La Riforma Cartabia: un nuovo passo verso la tutela dei diritti dei minori

A livello europeo, vige l’importanza dell’art. 21 del Reg. UE 1111 del 2019. Il legislatore lascia agli Stati membri la facoltà di stabilire chi si occuperà del minore e le seguenti modalità.

In Italia, questo compito è esercitato dalla Riforma Cartabia. Disciplina l’ascolto del minore agli artt. 473bis 4.e 473bis 5.

L’art. 473bis 4, primo comma c.p.c. afferma che il minore che ha compiuto gli anni dodici o di età inferiore, deve essere ascoltato da un giudice nei provvedimenti che lo riguardano.

Quando il minore diventa protagonista

Immaginiamo un caso concreto: una coppia in fase di separazione che non riesce a trovare un accordo sulla custodia dei figli. Entrambi i genitori vogliono la custodia esclusiva, ma le loro richieste sono in netto contrasto. In questo scenario, il giudice deve prendere una decisione che tenga conto non solo delle esigenze dei genitori, ma soprattutto del benessere dei minori coinvolti. È qui che entra in gioco l’articolo 473-bis.4, che stabilisce il diritto del minore ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano.

In situazioni particolarmente conflittuali, come la separazione dei genitori, l’articolo 473-bis.5 prevede la nomina di un curatore speciale. Questa figura imparziale rappresenta gli interessi del minore nel processo, assicurandosi che le sue voci e diritti siano ascoltati. Il curatore speciale raccoglie informazioni sulle condizioni familiari e presenta una relazione dettagliata al giudice, garantendo che le decisioni siano centrali sugli interessi dei bambini.

Con l’entrata in vigore della Riforma Cartabia nel 2022, dunque, l’ascolto dei minori è diventato un elemento centrale del diritto di famiglia. La riforma ha introdotto una serie di novità per garantire che i bambini vengano ascoltati in modo sistematico e diretto.

In tutti i procedimenti che riguardano i minori, come separazioni e affidamenti, l’ascolto del bambino è ora obbligatorio, a meno che non vi siano ragioni particolari che lo impediscano, come difficoltà di salute mentale o un rischio di pressione da parte di terzi.

Uno dei punti cardine della Riforma è proprio la formazione dei giudici che si occupano di diritto di famiglia. Questo garantisce che l’ascolto del minore avvenga con le giuste competenze e sensibilità, e che le opinioni del bambino vengano valutate adeguatamente nel contesto del procedimento legale. Il giudice ha ora l’obbligo di incontrare personalmente il minore, assicurandosi che questo momento avvenga in un contesto protetto e sicuro, lontano da pressioni o influenze esterne.

Inoltre, la pone grande enfasi sul principio della continuità affettiva. In caso di separazione dei genitori, le decisioni sull’affido devono rispettare il bisogno del minore di mantenere rapporti stabili e continuativi con entrambi i genitori. Questo principio ha l’obiettivo di ridurre i traumi legati ai cambiamenti bruschi e garantire una crescita equilibrata.

Un ulteriore obiettivo, forse quello più importante, della Riforma Cartabia è stato quello di ridurre i tempi delle procedure familiari, semplificando i processi e assicurando una maggiore rapidità nelle decisioni. Questo è particolarmente importante per i minori, che possono subire gravi conseguenze psicologiche se esposti a lunghi periodi di incertezza legale.

Progresso o Sfida?

Nonostante le intenzioni positive, l’applicazione pratica delle nuove normative presenta delle sfide. Alcuni professionisti del settore esprimono preoccupazioni riguardo alla fattibilità delle nuove disposizioni, soprattutto in relazione alla disponibilità di risorse e alla formazione necessaria per implementarle efficacemente. Le difficoltà nel garantire una formazione adeguata a giudici e operatori potrebbero ostacolare il successo delle riforme.

Le opinioni tra i professionisti del diritto sono miste. Alcuni vedono le modifiche come un progresso significativo verso una maggiore tutela dei diritti dei minori e una maggiore equità nei procedimenti legali. Tuttavia, altri sollevano dubbi sulla praticabilità delle nuove norme e sull’effettiva capacità del sistema giuridico di adattarsi ai cambiamenti.

Italia vs. Europa

Rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia si è sostanzialmente allineata agli standard internazionali per quanto riguarda l’ascolto dei minori. In Francia, ad esempio, il minore può essere ascoltato se ha più di sette anni, e il suo punto di vista è considerato ma non vincolante. In Germania, invece, l’ascolto è obbligatorio per i minori di età superiore ai 14 anni.

Sebbene l’Italia sia al passo con le migliori pratiche europee, resta il nodo della lentezza burocratica e della mancanza di risorse in alcuni tribunali minorili, che possono ritardare i procedimenti o limitare l’efficacia dell’ascolto. Inoltre, in alcune aree del Paese, mancano strutture adeguate e risorse umane sufficienti per gestire in modo uniforme e professionale questi delicati casi.

Verso un futuro di maggiore protezione

L’ascolto del minore rappresenta un progresso importante verso una maggiore tutela dei suoi diritti, ma non può essere considerato un traguardo raggiunto una volta per tutte. Il sistema giudiziario italiano deve continuare a investire nella formazione e nell’aggiornamento dei professionisti che operano con i minori, e le istituzioni devono impegnarsi a garantire che le leggi vengano applicate in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

Il futuro della tutela dei minori in Italia passa attraverso l’implementazione pratica delle norme già esistenti, puntando a un sistema in cui la voce del bambino sia sempre più centrale e protetta. Solo così si potrà garantire che ogni bambino, in ogni angolo del Paese, venga ascoltato e tutelato in modo equo e tempestivo.

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