Con una narrazione fluida, moderna, attenta e riflessiva l’autore Luca Giribone ci porta a scoprire un intreccio giallo, gotico e sentimentale che appassiona e coinvolge il lettore, incollandolo alla lettura fino alla fine. Lo scrittore descrive e scoperchia, con delicatezza e abilità, la miseria umana della follia.

Qual è il suo rapporto con la scrittura? Tenterò di rispondere per via negativa. Una delle più grandi passioni della mia vita è stata e rimane la musica. Sono diplomato in pianoforte e ho avuto la fortuna di provare la splendida esperienza del palcoscenico migliaia di volte nella mia vita. In molti mi hanno chiesto, fin dal primo romanzo, perché io non scriva mai di musica nei miei libri. Ho risposto che la letteratura vive ancora più in profondità in me, ed è arrivata prima, perfino di un amore sconfinato come quello che nutro per la musica.

Che relazione c’è tra la scrittura e la società? Dipende dal tipo di testo e dall’intenzione dell’autore. Nel mio caso l’approccio fondamentale è quello ritrattistico: portare all’interno del romanzo uno spaccato della realtà e dei suoi interpreti principali, che in ultima analisi sono le persone che ho conosciuto nel corso della mia vita. Nessuno dei miei personaggi rappresenta un soggetto in particolare, ma ogni personaggio porta in sé le “cellule” di tanti individui reali. Poi, naturalmente, può nascere l’analisi critica della società. All’interno della mia produzione la si ritrova in particolare nel distopico “LINX”.

C’è una scrittrice, un poeta o uno scrittore che considera il suo mentore? Ispiratori e ispiratrici, maestre e maestri in numero sconfinato. Da Borges a Pirandello, dalla Atwood ad Asimov, a Dick, Bradbury, King, Barker, da Dino Buzzati a Nabokov, dalla Di Pietrantonio a Philip Roth, passando per Suskind, per Valérie Perrin, Palahniuk, Easton Ellis, la Audrain, senza confini di genere e di epoca, e potrei continuare all’infinito. Parlando di un mentore specifico che ha avuto un ruolo determinante nel mio percorso letterario, sono molto grato a Mario Arturo Iannaccone, per aver seguito da vicino l’editing “radicale” che ha trasformato un racconto rimasto nel cassetto per anni, nel mio primo romanzo, “New York 1941. Forse”.

Spesso ci si lamenta che oggi si legge troppo poco. Fra videogiochi, televisione e internet si ha sempre meno tempo per la lettura. Quale è il suo pensiero sui lettori di oggi? Personalmente amo diverse forme di intrattenimento e cultura, e differenti linguaggi, tutti piacevoli e dignitosi. Il tempo a disposizione non è infinito per nessuno, ma quello che credo sia determinante, oggi, è la capacità di vincere la pigrizia. Leggere non è un’attività accessoria e non è un passatempo snob per un’élite che ha a disposizione molte ore libere ogni giorno. Eppure, sembra che molti la vedano in questo modo. Leggere significa dedicarsi a un’avventura emozionante nella quale autore e lettore svolgono un ruolo attivo e determinante, in maniera del tutto paritaria. Leggere significa allenare la mente e nutrire la fantasia. Rinunciare a farlo è un modo per impoverire la nostra vita. Si legga ciò che si vuole, ma si legga.

Ha già pronto un nuovo libro? “Selene. Storia di follia, d’amore e di spettri” è fresco di pubblicazione e in piena fase promozionale. Sto però già lavorando a un progetto ambizioso e impegnativo, che si rivolgerà a un pubblico potenziale molto ampio. Lo sto portando avanti avvalendomi di collaborazioni importanti e con grande impegno: raggiungere una platea di lettori sempre maggiore non è un risultato che si ottenga lavorando di meno per creare un prodotto editoriale più semplice. È tutto il contrario.

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