Puntuale, al sopraggiungere dell’autunno, si ripropone la questione vino novello, da qualche anno al centro di discussioni tra chi ne esalta le qualità e chi invece sottolinea la cinica operazione di marketing che avrebbe indotto la tendenza.

Cerchiamo di capire quale sia il discrimine tra le due opposte fazioni, anche per recarci con maggiore consapevolezza in enoteca e decidere da che parte stare, se con i modaioli o con i (presunti) intenditori.

Il vino novello nasce in Francia, sia dal punto di vista del procedimento chimico che da quello commerciale. La versione più accreditata della sua storia vorrebbe che, in seguito ad un esperimento per prolungare la conservazione dell’uva da tavola dopo la raccolta, alcuni ricercatori francesi abbiano sottoposto i grappoli ad un procedimento a base di anidride carbonica. Purtroppo l’uva divenne gassosa e frizzante, non più idonea quindi ad entrare sul mercato orto-frutticolo, ma recuperabile -diciamo così- per la vinificazione. Come nei migliori aneddoti, da un errore la nascita di un buon prodotto, leggero e di gusto gradevole! La scoperta venne immediatamente sfruttata dai vignaioli del beaujolais che, soffrendo la concorrenza dei pregiati vitigni borgognoni, raffinarono la tecnica della macerazione carbonica, e lanciarono sul mercato un vino nuovo, leggero e gradevole, prodotto con uve di tipo Gamay: il beaujolais nouveau.

In Italia negli ultimi anni si è diffuso il gusto per il novello, ritenuto un vino genuino e dal prezzo abbordabile, leggero ma perfetto per le serate autunnali e in abbinamento alle castagne. Incontra il gusto dei giovani e meno giovani, ed è l’ideale per un consumo di vino sano e responsabile.

Ma da dove nasce tutta questa passione per il novello? e soprattutto, perchè è così incoraggiata ogni anno? si tratta solo della grande passione dei consumatori italiani?

Negli anni 70, ammirate dai profitti degli astuti cugini d’oltralpe, alcune aziende vinicole -tra i primi Angelo Gaja e Antinori- si cimentano nell’impresa, con alcune varianti sul tema come, per esempio, fornirsi di diversi vitigni (oltre sessanta, dicono gli esperti), e mescolare percentuali di vino prodotto secondo il metodo di fermentazione tradizionale a quella prodotta con la macerazione carbonica.

Ed è stata una buona idea. La produzione del novello si è estesa oggi a pressocchè tutte le regioni del Nord di tradizione enologica, con una buona diffusione anche in Umbria, Toscana e Lazio. Solo al Sud non è mai decollato il business.

Ed è proprio dal punto di vista del business che è interessante notare le carattersitiche organolettiche e merceologiche di questo tipo di vino. Dal sapore spiccatamente fruttato (in alcuni è ravvisabile proprio l’aroma dei frutti rossi a causa del prevalere del cinnamato di etile), con una gradazione alcolica tra gli 11° e i 13°, prima del 6 novembre il novello non può essere messo in commercio, e d’altro canto, va consumato giovane, visto che in prossimità del Natale perde alcune delle sue caratterische assumendo un sapore particolarmente aspro.

Un prodotto quindi dal ciclo di vita breve ma intenso, che presenta costi e tempi di produzione contenuti, giacchè la tecnica adoperata è del tutto artificiale e rapida, e perciò non richiede la supervisione costante del cantiniere. Aspetti questi che rendono il novello un volano economico di primario interesse per le aziende vinicole, tanto da giustificare eventi promozionali da manuale di marketing. Per le aziende italiane conviene investire nel novello, esso garantisce profitti generosi e immediati, oltre alla possibilità di smaltire i residui del vino della precedente annata (ricordate le percentuali mescolate?), ottenuto con la fermentazione tradizionale.

Ben vengano le mode, ma attenzione a non diventare proni consumatori di un prodotto di cui, forse, non avevamo così tanto bisogno.

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