Ci sono degli studenti nelle tende che cercano di cambiare il mondo. No, non è l’inizio di una barzelletta, ma il ritorno di un processo sociale, culturale e politico che in questo momento sta gettando le basi per un futuro migliore.
Karl Marx disse: <<La storia si ripete sempre due volte, la prima volta come tragedia e la seconda volta come farsa>> – e in parte possiamo dire che è assolutamente vero visto che il nostro pianeta è ancora oggi, nel XXI secolo, martoriato dai conflitti bellici, ma d’altra parte il ritorno di un movimento popolare guidato dagli studenti di tutto il mondo non può che essere una buona notizia per la democrazia e la partecipazione al dibattito pubblico. In tanti anni in cui si è detto (anche con una certa propaganda) che i giovani sono apatici ed indifferenti, il movimento studentesco a sostegno della Palestina mostra una realtà completamente diversa. Eppure non è la prima volta.
Esattamente 60 anni fa altri giovani studenti piantavano tende nelle loro università come simbolo di ribellione. Manifestavano anche al tempo contro una guerra senza senso a danno di un popolo che non aveva alcuna colpa se non esistere, e anche allora la politica, i giornali, le famiglie, descrivevano questi giovani anticonformisti come “bruciati”. E allora Marx aveva proprio ragione: certe cose non cambiano.

Gli anni ’60: perché cambiò tutto?

Nel suo saggio “Il secolo breve”, Eric Hobsbawm descrive il periodo che va dal 1946 al 1973 come “l’età dell’oro” del Novecento, il periodo in cui si gettano le basi per la contemporaneità vera e propria. Questo è dovuto alle rivoluzioni culturali, alla fine del colonialismo, ai boom economici ed in generale ad un nuovo spirito del tempo che cambia completamente il modo di pensare nella società. In questa fase importante per l’essere umano, gli anni ’60 rappresentano il pezzo del puzzle fondamentale per la riuscita di questo cambiamento storico.

Spiegare perché negli anni ’60 cambiò tutto è molto difficile. Non tanto perché sono successi degli eventi complicati di difficile comprensione ma tanto perché ci furono una grande serie di fattori che confluirono nello stesso momento dando vita ad un processo dialettico senza precedenti. Per facilitare l’analisi, parleremo dei vari “settori” che hanno contribuito a segnare quest’epoca storica.

  1. L’economia: nella prima metà degli anni ’60 si crea quella che viene chiamata “la società del benessere”. Il famoso “boom” che ebbe inizio nel secondo dopoguerra e si sviluppò per tutti gli anni ’50 nella maggior parte delle società occidentali (in particolar modo negli Stati Uniti d’America e in Italia) ebbe come risultato il consolidamento della società industriale. C’è un forte investimento nei settori tecnologici ed operai, nasce la pubblicità, vi sono nuove costruzioni nel settore edilizio e del trasporto pubblico nazionale, tutto questo con uno Stato che interviene direttamente all’interno dello sviluppo economico. Si creano nuove possibilità di lavoro e comincia a formarsi il famoso “ascensore sociale”, dando la possibilità alla classe operaia non solo di istruirsi ma anche di migliorare la propria posizione socio-economica.
    Ma come tutte le cose apparentemente belle, c’è sempre un lato negativo. La creazione di una società industriale governata dalla tecnica scientifica e dalla nascita dei mass media (la televisione soprattutto) crea un certo tipo di conformismo sociale, e appiattisce la lotta politica. Il benessere viene venduto come la panacea a tutti i mali.
  2. La cultura: Quando parliamo di “cultura” ci riferiamo al contesto artistico e filosofico che ha caratterizzato quegli anni.
    Il cinema, la musica e i libri degli anni ’60 vogliono una “rottura” con il passato. In contrasto con i grandi prodotti culturali che sfavoriscono la qualità artistica in virtù di un ritorno economico, nascono dei movimenti e delle correnti che cercano di mandare un messaggio vero e proprio alla società. Per fare qualche esempio, prendiamo nel cinema la nascita della Nouvelle Vague in Francia, nella musica l’avvento della musica rock che avrebbe avuto il suo canto del cigno al Festival di Woodstock del 1969, o nella letteratura con l’arrivo della Beat Generation, un gruppo di poeti statunitensi (da ricordare personalità come Jack Kerouac, Allen Ginsberg o William S. Borroughs) che compiono una grande rivoluzione nel linguaggio e nei temi trattati. Il punto cardine dell’arte degli anni Sessanta è lo stravolgimento di un sistema di pensiero che ha lasciato senza libertà gli artisti, e senza darli modo di sperimentare. Come per le avanguardie che si svilupparono all’inizio del Novecento precedentemente allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, gli artisti degli anni ’60 riprendono quello spirito di rottura verso un’arte che sia di tutti.
    Sembra strano parlare ai giorni nostri di un tessuto filosofico o accademico in grado di influenzare la società. Ma negli anni ’60 questo era possibile. Possiamo racchiudere una serie di autori fondamentali che diventeranno poi “miti” dei movimenti sociali, in particolar modo del movimento studentesco del ’68: il primo è sicuramente Herbert Marcuse, uno dei rappresentanti più importanti della prima generazione della Scuola di Francoforte, un gruppo di filosofi tedeschi che dagli anni ’30 cercarono di rinnovare le teorie marxiste, creando una “teoria critica” della società in cui tutti i campi del sapere come economia, psicologia, sociologia ecc. confluivano in una visione trasversale del sistema capitalista, in grado di metterlo in discussione. Marcuse, che al tempo viveva e lavorava negli USA dopo essere scappato dalla Germania Nazista, scrisse due testi fondamentali: il primo, del 1964 e considerato il suo capolavoro, è “L’uomo a una dimensione”, e il secondo scritto nel 1966 è “Eros e Civiltà”. In entrambi i testi, Marcuse affronta la società industriale, mostrando come il sistema capitalista che si è riformato dopo l’esperienza del secondo conflitto mondiale abbia in realtà “assorbito” i germi del totalitarismo, facendo della democrazia un qualcosa di repressivo se non addirittura inesistente. Profeticamente, crede che la speranza per un mondo migliore è da ritrovarsi in tutti quei soggetti che sono esclusi dalla società come studenti, donne ed afroamericani.
    Il secondo autore, che ha avuto in realtà un’importanza fondamentale più di quanto si possa pensare, è Frantz Fanon, psichiatra e partigiano francese di origine africana. Fanon sarà la fonte di ispirazione per tutti i movimenti di liberazione coloniale che si creeranno in Africa durante gli anni ’60: i suoi scritti sul razzismo e sull’imperialismo bianco sono stati di grande importanza per la creazione di una coscienza “nera” e di un grande movimento anti-razzista a livello internazionale. Nel 1961 esce il suo saggio più famoso, “I dannati della terra”, scritto dopo aver partecipato alla Guerra d’Algeria al fianco del Fronte di Liberazione Nazionale, in cui auspica una lotta di liberazione in tutti i paesi occupati dall’Occidente. La sua opera sarà molto importante anche negli USA, dove gruppi politici come le Pantere Nere si ispireranno alla sua filosofia.
    Rimanendo sempre in Francia, ci sono due ultimi autori di cui vale la pena parlare: la prima è Simone De Beauvoir, madrina della seconda ondata femminista, e il secondo è Michel Foucault, padrino del movimento anti-autoritario. Nonostante abbia scritto questo saggio nel 1949, “Il Secondo Sesso” di De Beauvoir sarà il testo fondamentale per il movimento femminista degli anni ’60: la condizione della donna vista non più come elemento biologico ma “costruita” su vari elementi storici e culturali porta una rivoluzione dei costumi e della politica, dando la possibilità alle donne di auto-rappresentarsi e riprendersi la propria libertà. Foucault invece, con la sua analisi del potere all’interno della società visto come rapporto fra individui che prospera all’interno di istituzioni come le scuole, la famiglia o il carcere, compie una lotta contro la “normalità” a cui la società tenta di far integrare tutti gli individui, relegando i “pazzi” ai margini della civiltà.
  3. La politica internazionale: parlare di anni ’60 significa parlare automaticamente della Guerra Fredda, un lungo periodo che va dal 1949 fino al 1991 (anno in cui venne disciolta l’Unione Sovietica) dove le relazioni internazionali fra USA ed URSS si fecero sempre più conflittuali, nonostante dei periodi di “distensione”, portando alla creazione di guerre “indirette”; il mondo era diviso in due blocchi di pensiero.
    Se da una parte la NATO era riuscita a creare una forte egemonia negli stati europei, d’altra parte l’esempio sovietico venne visto come una grande alternativa politica al capitalismo. Non è un caso che proprio durante questi anni abbiamo il consolidamento di vari paesi (più o meno) filo-sovietici come Cuba, la Cina, la Corea del Nord, il Vietnam (di cui fra poco ne discuteremo), l’Egitto, e successivamente negli anni ’70 vedremo la grande influenza del socialismo anche nei paesi medio orientali e del sud America come l’Afghanistan ed il Cile. Anche in Europa la presenza socialista ha una grande importanza, con gli esempi della Repubblica Democratica Tedesca e della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. In virtù di questa grande egemonia, già nel 1947 l’ex Presidente Harry Truman annunciò la sua dottrina di “contenimento dell’infezione comunista”, autorizzando gli USA ad intervenire contro tutti i possibili processi rivoluzionari nel mondo.
    La presenza di Stati alternativi al sistema economico predominante, nel bene e nel male, portava una grande ondata di speranza in tutti quei movimenti o partiti che credevano nella rivoluzione, facendo preoccupare la maggior parte dei governi filo-statunitensi. 

Come è scoppiata la Guerra in Vietnam?

Prima del 1954, il Vietnam non esisteva. O meglio, non ufficialmente. Esso faceva parte di una grande colonia francese chiamata Indocina, che durante la Seconda Guerra Mondiale era stata occupata dall’Impero Giapponese. Nel 1945, subito dopo la fine della guerra, si creò nel nord del paese un movimento di resistenza politica, chiamato Viet Mihn (Lega per l’indipendenza del Vietnam) e guidato dal militante comunista Ho Chi Minh.
Quest’ultimo riuscì a creare una repubblica  democratica separata dal resto dell’Indocina chiamata appunto Vietnam del Nord, e iniziò fin da subito a relazionarsi politicamente e militarmente con l’Unione Sovietica e la Cina maoista. Questo diede inizio ad un guerra con la Francia, sostenuta dagli Stati Uniti d’America, che si concluse con la Conferenza di Pace di Ginevra del 21 agosto 1954: venne riconosciuto il Vietnam del Nord e l’Indocina venne divisa in vari stati, ovvero il Vietnam del Sud, il Laos e la Cambogia.
Il Vietnam del Sud rimase sotto l’influenza politica degli USA, con a capo il Presidente Ngô Đình Diệm. Quest’ultimo aveva legami con la CIA di Edward Lansdale ed era supportato economicamente, militarmente e propagandisticamente dal Governo dell’ex Presidente Dwight D. Eisenhower. Grazie a queste alleanze, Diệm riuscì a rovesciare la monarchia costituzionale vietnamita ed auto-proclamarsi Presidente della Repubblica del Vietnam del Sud.

Fino al 1957 i rapporti fra nord e sud sembravano distesi, nonostante la forte ostilità di Diệm. Tutto peggiorò a causa delle politiche interne di quest’ultimo: attuò una serie di ripercussioni verso i movimenti comunisti del Vietnam del Sud, prima non indicendo le elezioni nel 1956 e successivamente attaccando alcuni gruppi di viet minh. Di fronte a questa ostilità, il Vietnam del Nord decise di iniziare una campagna di liberazione nazionale con l’obbiettivo di riunificare il Paese in un unico governo socialista.
Il movimento Viet Minh riuscì fin da subito a fronteggiare l’esercito del sud, provocando un forte indebolimento del governo Diệm. Quest’ultimo cominciò ad attuare delle politiche molto autoritarie, limitando la libertà di espressione e dichiarando illegali la maggior parte dei partiti.
Questo clima aiutò il nord ad avere una certa egemonia all’interno della popolazione del sud, e l’avanzata della resistenza ebbe una svolta nel 1959, quando l’esercito comunista riuscì a conquistare il Laos e la Cambogia creando delle future basi per attaccare da più parti la repubblica del sud. Nel 1960, il Viet Minh divenne ufficialmente il Fronte di Liberazione Nazionale, o meglio chiamato in modo dispregiativo “Viet Cong“.

Nel frattempo negli USA arriva un nuovo Presidente, direttamente dal Partito Democratico: parliamo di John F. Kennedy, che fin dalla campagna elettorale del 1960 fece del Vietnam un cavallo di battaglia. All’inizio del suo mandato nel 1961, Kennedy aveva come obbiettivo di perpetrare la dottrina Truman in maniera massiccia. Era già fallito il tentativo di rovesciamento del governo di Fidel Castro a Cuba con lo sbarco nella Baia dei Porci, e vi era bisogno di riportare gli USA al ruolo di argine del comunismo. Così facendo fra il 1961 ed il 1963 il Presidente Kennedy mandò più di 20.000 consiglieri militari nel Vietnam del Sud, compiendo anche varie azioni di sabotaggio e di guerriglia. La crisi con il governo Diệm era dietro l’angolo. A causa della sua terribile gestione militare e politica, il 2 novembre del 1963 il governo statunitense decise di organizzare un colpo di stato guidato dalla CIA e dai militari vietnamiti. Succedettero vari capi militari all’ex Presidente che non fecero altro che peggiorare la situazione interna dando ai Viet Cong potere di espandersi e continuare le azioni guerrigliere. Con l’assassinio di Kennedy il 22 novembre del 1963, il nuovo governo di Lyndon B. Johnson sarebbe diventato il protagonista diretto di una delle peggiori guerre della storia.

Il 2 agosto del 1964, nel golfo del Tonchino, fra il Vietnam del Nord e la Cina, un caccia della flotta statunitense abbatte delle navi vietnamite. Il Governo dichiara che è stata un’azione di difesa, in quanto i vietnamiti attaccarono per primi. Ma è il 4 agosto che tutto cambia: gli USA dichiarano il falso annunciando che i vietnamiti hanno attaccato di nuovo. Con questo casus belli, il 7 agosto del 1964 Johnson ha l’autorizzazione del Congresso di attaccare il Vietnam del Nord. Per i successivi 9 anni, gli USA sarebbero stati in Vietnam fino al 1973.

Perché gli studenti si mobilitano?

Nel 1964 le università statunitensi affrontano un periodo di grande riforma. Gli studenti hanno la possibilità di accedere a dei pozzi culturali che prima gli era impossibile. Le motivazioni le abbiamo descritte prima: l’accesso all’accademia di ragazzi provenienti dalla classe operaia, la presenza di un tessuto artistico che influenzava direttamente gli studenti, la divulgazione di saggi che davano una nuova visione politica delle problematiche della società. Tutti questi elementi hanno portato i giovani a rendersi consapevoli del loro ruolo. Il primo passo verso la futura mobilitazione contro la guerra è sicuramente la creazione del Free Speech Movement (FSM), un’organizzazione studentesca che si occupava di promuovere la libertà di espressione degli studenti all’interno delle università. In quel periodo infatti era proibito agli studenti organizzarsi politicamente ed esprimere le proprie opinioni all’interno delle istituzioni della conoscenza.

Dopo l’incidente nel golfo del Tonchino, arrivano le prime cartoline precetto, ovvero la chiamata alle armi obbligatoria. E’ proprio in questo contesto che nasce il movimento degli obiettori di coscienza, formato per lo più anch’esso da giovani ragazzi che si rifiutavano di andare a morire per una guerra ingiusta. Una delle prime dimostrazioni contro la guerra in Vietnam avvenne a San Francisco nel dicembre del 1964, quando la cantante Joan Baez guidò seicento ragazzi in una manifestazione. Nello stesso anno un altro cantante prende posizione netta a favore del movimento studentesco: Bob Dylan pubblica il suo terzo album, “The Times They Are a-changin’ “.

Nella sponda Ovest, a New York City, nascerà anche il Comitato di Coordinamento degli Studenti Nonviolenti, influenzato dal FSM dell’Università di Berkeley e alleato del movimento studentesco Students for a Democratic Society (SDS). Ma è nel 1965 che le proteste esplodono: è il 17 aprile e a Washington D.C. più di 25.000 persone protestano contro la guerra in Vietnam. Da quel momento il movimento contro la guerra si sarebbe sempre più riempito di alleati, in primis nel 1967 con Martin Luther King Jr. e il Movimento per i diritti civili degli afroamericani, successivamente fra il 1968 ed il 1969 dal movimento “yippie” di Abbie Hoffman e dall’entrata in scena del movimento femminista radicale.

Una delle azioni che contraddistingueva il movimento studentesco dentro le università era piantare delle tende all’interno dei vari cortili. Un simbolo non solo di occupazione ma anche di rivendicazione di uno spazio, quello del sapere, che dovrebbe essere usato per prendere posizione. E anche oggi la storia si ripete.

Il 2024: perché sta cambiando tutto?

Citando Antonio Gramsci: <<La storia è maestra, ma non ha scolari>> – e anche su questo ci sarebbe da discutere. Perché è vero che i governi occidentali non hanno imparato nulla dagli orribili conflitti che hanno invaso la Terra per tutto il XX secolo, e che nell’indifferenza più totale si autorizza il massacro di una popolazione civile, quella della Striscia di Gaza, in nome di una guerra al terrorismo che risuona molto con la famosa guerra al comunismo di cui parlava Truman. Eppure, se i potenti evidentemente non sono allievi della storia, gli studenti (ironia della sorte) sono i migliori alunni. Da mesi ormai le università europee e statunitensi sono attraversate da migliaia di tende piantate per la libertà di un popolo. Gli studenti tornano ad essere i protagonisti della storia, una storia che non è sicuramente come quella degli anni ’60 fatta di contraddizioni e rivoluzioni, ma una storia di crisi economiche, climatiche, sociali che vanno a riempire il grande movimento contro la guerra moderno. Però oggi come allora le informazioni continuano a circolare grazie ad Instagram ed internet, rendendo i giovani consapevoli di quello è che è lo “stato dell’arte” del mondo. Oggi come allora sta cambiando tutto. E anche se al posto di Bob Dylan a cantare le proteste degli studenti c’è un rapper, la risposta è sempre e solo una: il domani appartiene agli oppressi.

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