Come riportato dalla Regione Lazio , il 31 maggio del 1914 viene inaugurata da Re Vittorio Emanuele III la nuova sede del Manicomio della Provincia di Roma, ,nel cuore della zona Nord-Ovest della capitale. Situato nel quartiere di Monte Mario, ha una storia che si intreccia profondamente con l’evoluzione della psichiatria in Italia. Il manicomio è stato concepito come una struttura innovativa per la cura delle malattie mentali, con l’obiettivo di allontanare i pazienti dalle strutture più restrittive dell’epoca. Questo luogo ha ospitato, nel corso dei decenni, migliaia di persone e ha visto cambiamenti significativi nelle pratiche di cura, riflettendo le correnti socioculturali e scientifiche che si sono succedute nel tempo. Con la legge Basaglia del 1978, nota anche come legge 180, vengono vietati nuovi ricoveri negli ospedali psichiatrici, e con il passare degli anni aumentano i dimessi fino alla chiusura definitiva della struttura nella fine del 1999, creando anche una situazione mai vista prima nel quartiere a causa dei molti ex ricoverati che non avevano luoghi dove tornare.
L’architettura del complesso è caratterizzata da edifici ampi e luminosi, circondati da giardini e spazi verdi, concepiti per promuovere un ambiente terapeutico. Attualmente, ospita la sede del quattordicesimo municipio romano ed alcuni degli edifici sono stati sfruttati dalla ASL Roma 1 ma, nonostante ciò, sono diversi i palazzi all’interno del complesso che risultano completamente abbandonati e in disuso, per cui molti hanno addirittura le finestre murate per evitare possibili occupazioni abusive. È presente anche una pista di pattinaggio inutilizzabile a causa della mancanza di manutenzione.
Gli abitanti del quartiere frequentano la struttura del parco per passeggiare, portare il cane fuori o per fare attività fisica, circondati però da diversi edifici inagibili e ricoperti di graffiti e sporcizia e da diversi punti del parco che presentano erba alta. Ciò sembra ancora più paradossale se pensiamo che siamo accanto a istituzioni pubbliche come il municipio e l’ASL, a maggior ragione gli spazi con cui condivide l’area dovrebbero essere curati e sfruttati il più possibile e non lasciati all’abbandono.
Le proposte per riqualificare questi spazi potrebbero essere molteplici, una di queste potrebbe essere quella di destinare una parte del complesso a un campus di ricerca specializzato in studi sociali e scientifici. Ci troviamo in quella che fu la sede del vecchio istituto del manicomio, le mura di questi palazzi hanno assistito a tutto ciò che questo ha portato con sé, sarebbe interessante vedere lo stesso luogo che con l’avanzare del progresso e della ricerca scientifica si riadatti alla contemporaneità. Inoltre, il Santa Maria della Pietà è situato a pochi passi dalla stazione del treno SFL di Monte Mario e a diverse fermate di autobus, per cui è anche ben collegato con il trasporto pubblico. Bisogna comunque tenere conto che l’organizzazione di un piano simile sarebbe particolarmente ambizioso, in termini di risorse e di pianificazione, ma vi sono altre idee interessanti.
Un’ulteriore proposta, più immediatamente attuabile, può riguardare la valorizzazione degli spazi verdi e delle strutture sportive presenti, come la pista di pattinaggio ormai inutilizzata. Questa potrebbe essere ristrutturata per offrire attività ricreative e sportive accessibili a tutti, curando il verde circostante in modo da rendere il complesso un punto di riferimento fruibile per la comunità. Il parco e l’area all’aperto potrebbe essere sfruttata meglio, con l’organizzazione di giornate sportive, attività di fitness all’aperto e percorsi di salute che incoraggino sia la socializzazione sia il benessere fisico e mentale dei cittadini.
Con la riqualificazione di questi spazi, il Santa Maria della Pietà potrebbe diventare un centro polifunzionale, che unisca studio, sport e benessere. Non solo gli abitanti della zona di Monte Mario, ma anche altri residenti di Roma, potrebbero godere di un’area dove cultura, attività fisica e comunità si incontrano, apportando benefici concreti e maggiore vivibilità a una zona periferica ma molto popolosa della capitale.
La Visione degli Esperti sulla Riqualificazione Urbana
Nel contesto della riqualificazione dell’ex manicomio Santa Maria della Pietà, è particolarmente interessante considerare le riflessioni del Professor Adriano Cancellieri, esperto di sociologia urbana e docente del Master URISE presso l’Università di Venezia, per quanto riguarda il tema della rigenerazione urbana. Secondo Cancellieri, “riqualificazione urbana” oggi è un’espressione ampiamente utilizzata, ma spesso interpretata superficialmente o con scarsa attenzione al contesto specifico di ogni area. “La premessa”, afferma Cancellieri, “è che riqualificazione urbana e rigenerazione urbana sono concetti usati tutti i giorni in maniera larghissima; quindi, ormai è diventato tutto rigenerazione urbana e si fa fatica a capire cosa si intenda davvero”.
Per il Professor Cancellieri, un errore comune è quello di importare idee standardizzate, magari ispirate a progetti stranieri di successo, e applicarle senza adattamenti ai contesti locali. Riguardo a questo approccio, spiega: “Raramente un’idea presa da un luogo funziona in un altro, perché il contesto è fondamentale”. Ci si deve dunque orientare su un processo incrementale: piccoli inneschi locali che possano generare valore per la comunità e attivare nuove collaborazioni. Un punto chiave per è quello di coinvolgere le realtà locali, come un’associazione di quartiere o un gruppo giovani, per dare luogo a una funzione che nasca dai bisogni e dai desideri della comunità stessa. “Includere la comunità nella progettazione”, sostiene il professore, “è essenziale per capire cosa realmente serve”.
L’approccio proposto dal Professor Cancellieri si distanzia, quindi, dalle classiche riqualificazioni top-down e offre una prospettiva “dal basso”, orientata alla sostenibilità e alla partecipazione attiva della comunità. Nel contesto dell’ex manicomio, potrebbe significare una riqualificazione graduale che metta al centro le necessità reali dei suoi abitanti, valorizzando l’area come risorsa collettiva.