In questo particolare momento storico  menzionarne il solo nome è suscettibile di risvegliare certi sentimenti: pur accettandoli per buoni, si riconosce e accetta allo stesso tempo anche il ruolo della storia,  nel buono e nel non buono, nella piena libertà nonché responsabilità di ognuno, pur restando la Storia comunque inflessibile  e sola maestra di vita e di  imparzialità. Il dato storico è la ricorrenza del 5 marzo, settantesimo anno dalla morte di Iosif Stalin.

Il dio in terra dell’intero popolo  sovietico, il mostro mangiabimbi dei democristiani e di altre categorie, la personificazione  del tiranno; pertanto il personaggio politico che più di tutti si è elevato e innalzato nella storia dell’Europa, di cui è stato l’implacabile salvatore dalle mire naziste:  come tale stimatissimo e apprezzatissimo da Churchill e da Roosevelt, dominatori  con lui dell’Europa dell’epoca. Drastiche e perentorie le critiche al suo operato e severi e senza appelli i comuni giudizi  a proposito della sua corsa e conservazione del potere segnata da migliaia e migliaia di ammazzamenti, di persecuzioni, di torture, di sopraffazioni e vessazioni:  le famigerate purghe staliniane cioè le angherie, le scomparse o la deportazione dei contestatori e nemici, anche di vecchi alleati di governo:  fu l’instaurazione del potere assoluto, ‘monolitico’,  privo di interlocutori, per trentanni. Parallelamente alla corsa feroce per il potere, l’obiettivo primario  -ed è ciò che lo eleva e che ancora oggi lo rende il padre di tutti-  in ogni momento presente in lui: il benessere del suo popolo, sempre la sua prima finalità, cresceva e si attestava in ogni angolo del paese: il pane e il lavoro, la istruzione prima di tutto, una casa, l’assistenza, erano assicurati a tutti, in modo uguale,  senza privilegi o posizioni di favore: tutti uguali, tutto per tutti allo stesso modo. In pari tempo l’affrancamento del Paese dal suo ruolo di ultimo dell’Europa: con sforzi e capacità immani, portato ai primi posti in occidente non solo per le conquiste sociali, anche per i conseguimenti giganteschi in economia e industria, in ogni angolo dell’immenso Paese. Certo è che non si vedono in giro mendicanti, derelitti, drogati, ghetti quali nelle città di oggi né privilegiati e favoriti e raccomandati: è la dottrina socialista introdotta  da Lenin e, con ogni mezzo, consolidata e realizzata da Stalin. Spetta solamente alla Storia, oltre che ai fatti reali, decretare e esprimersi in merito e dare l’ultima parola.

Nell’immaginario collettivo Stalin è un tiranno e un dittatore, la personificazione del potere autocratico, che comunque ha portato il Paese al primo posto nel pianeta e non  nel segno degli armamenti e della sopraffazione  o del colonialismo bensì nel segno del benessere del proprio popolo, il primo traguardo. Epperò questo immaginario collettivo implacabile nei confronti di Stalin, volutamente o no, ignora e disconosce il suo omologo dei nostri giorni, nell’altra parte dell’oceano, infinitamente più feroce  e inumano, con l’aggravante di essere il nemico scientifico e programmato del popolo e dei derelitti e degli emarginati  del suo Paese e allo stesso tempo, oltre che consapevole armaiuolo, il protettore nonché  finanziatore incontestato dei ricchi e dei potenti.

Tutto è storia, che ognuno ritiene di leggere come vuole, però la Storia non mente, gli uomini possono mentire.

Qualcuno, non ricordo chi, ha scritto che la civiltà  e il valore di una nazione si riconoscono soprattutto nella educazione e nel ruolo della donna nella società: nessuna società al mondo, in questi ultimi due secoli, può vantare la quantità specie la qualità culturale e intellettuale e professionale nonché il coraggio e la piena libertà di esprimersi e di realizzarsi, delle donne russe in tutti i settori della umana attività. Donne semplicemente fuori dell’ordinario che hanno effettivamente brillato in tutte le grandi città  europee, grazie alle loro non comuni capacità e  virtù. Un intiero volume riuscirebbe a pena a  contenere nomi e imprese.

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