SALVE!!
Giovedì 5 dicembre ore 18.30 alla casa della cultura della Ambasciata Argentina, farò un “riassunto” di otto anni di musica in Europa.
Saranno presenti musicisti amici ,
vi terrò informati:
http://www.facebook.com/events/572810342790042/
5 dicembre / 2013
Via Veneto 7 – Roma- (uscita Metro Barberini)
18.30 puntuali
INGRESSO LIBERO
SIETE TUTTI INVITATI!!!!
Sono ormai trascorsi cinquant’anni dal misterioso omicidio del trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti John Fitzgerarld Kennedy. Era il 22 Novembre del 1963 quando JFK, accompagnato dalla moglie Jacqueline e dal governatore Connally, fu ucciso da diversi colpi di arma da fuoco mentre salutava i cittadini di Dallas tra Elm e Houston Street. L’assassino, Lee Harvey Oswald, fu ucciso pochi giorni prima di essere processato; le teorie che riguardano una cospirazione contro il presidente sono molteplici e partono tutte dalla convinzione che Oswald non sia stato il solo a sparare quel giorno.
Oggi ricorre il cinquantesimo anniversario da quell’evento che per sempre cambiò l’America, ma non è ancora stata fatta chiarezza sulla vicenda, e il mistero dell’omicidio di uno dei più grandi uomini che il sistema democratico abbia mai conosciuto si infittisce sempre più. Ieri, l’attuale presidente Obama ha voluto ricordare Kennedy al museo nazionale di storia americana Smithsonian, dopo aver posto una corona di fiori sulla sua tomba al cimitero di Arlington, accompagnato dalla moglie Michelle e da Bill e Hillary Clinton.
Nel discorso di commemorazione Obama ha elogiato il coraggio e la coerenza di Kennedy, elementi che hanno ispirato e continuano ad ispirare ancora oggi molte generazioni non solo appartenenti al popolo americano, e attraverso i quali gli insegnamenti e gli obiettivi di Jfk vivono ancora in tutti coloro che hanno apprezzato la sua visione trasparente del mondo. In data odierna viene ricordato non solo un grande presidente, ma soprattutto un grande uomo, la cui morte ha lasciato troppe ferite ancora aperte.
«Ennesima occasione persa per riscattare trent’anni di silenzi». Traspaiono scoramento e delusione dalle parole di Pietro Orlandi al termine dell’udienza generale di mercoledì 20 novembre.
La causa di sua sorella Emanuela è stata nuovamente ignorata dalla Santa Sede, inamovibile nella sua reticenza al momento dei fatti nonostante avesse concesso al ‘Gruppo Emanuela Orlandi’ (come visibile dal fax inviato alla Prefettura della Casa Pontificia da una delle promotrici dell’idea, Adriana Dari) l’autorizzazione a partecipare al canonico incontro settimanale fra il Papa e i fedeli.
Invece nessun cenno al microfono – dove però han trovato menzione i ‘Diavoli in festa’ di Casa del Diavolo – per la delegazione composta da trentasei persone provenienti da ogni parte d’Italia (Ascoli, Perugia, Roma, Salerno, Bologna, Avellino, Siena, Napoli) e soprattutto indifferenza quasi totale dall’uomo in cui erano riposte le maggiori speranza: papa Francesco.
Al primo passaggio in mezzo alla folla, a bordo della papamobile, ha voltato le spalle alle venti persone in compagnia di Pietro Orlandi, posizionate alla balaustra del secondo settore della piazza nei pressi della parte destra del colonnato e di fronte la statua di san Paolo del Tadolini; al secondo giro, invece, sebbene la sua traiettoria naturale incrociasse il volto di uno dei figli di Pietro, in piedi su una seggiola con addosso la maglietta raffigurante il volto della zia, il Pontefice ha tirato dritto con lo sguardo ed è tornato a rivolgersi al pubblico soltanto dopo aver completato la curva.
Per un paio di secondi Bergoglio si è però ‘dovuto’ accorgere di Emanuela Orlandi. «Ci eravamo messi d’accordo con la mamma di una ragazzina disabile al di là delle transenne, quando sarebbe passato gli avrebbe dato la t-shirt con la foto di Emanuela» racconta Federica, una delle componenti del secondo gruppetto della delegazione, situato vicino il colonnato di sinistra della piazza. Lei ci ha fatto il ‘favore’ e lui, anche se per pochi istanti, ci ha guardato».
Quel che non ha visto, almeno sul momento, è la maglia, lasciata cadere nelle mani del suo segretario personale, monsignor Pedacchio.
«Se è vero che qualcuno ‘censura’ il Papa, sicuramente da oggi lui sa di Emanuela. Per cui, io sono speranzosa» conclude Federica. Umore contrastante per Annalisa, un’altra iscritta al gruppo Fb su Emanuela Orlandi, che ha pure consegnato agli uomini della gendarmeria una lettera indirizzata al Santo Padre. «Una giornata soddisfacente perché noi c’eravamo però, quando ci ha notato, il Papa non si è girato». «Sono rimasta un po’ delusa» ha ammesso Elena Taruffi. Come lei, anche una rappresentativa femminile di Vicenza. Ad amareggiare, principalmente, proprio il dietrofront delle gerarchie vaticane dopo una prima iniziale disponibilità verso un nome e un cognome per loro ancora ricco d’insidie. Come dimostra l’inconveniente della perugina Francesca Breccolenti. «Ho dovuto aspettare alcuni minuti prima di accedere alla piazza, i carabinieri mi hanno fermata per la mia maglietta con la foto di Emanuela e solo dopo qualche telefonata, per sapere se andava bene o meno, mi hanno lasciata passare».
«La Chiesa è depositaria del potere delle chiavi, lei può aprire o chiudere» ha ricordato Bergoglio nell’omelia. Ma su Emanuela Orlandi dominano ancora i sigilli. Anche sotto un pontificato che finora ha suscitato una favorevole impressione in buona parte dell’immaginario collettivo per aver affrontato tematiche contemporanee – omosessualità, precariato, trasparenza sui conti finanziari (IOR) – con più praticità rispetto al precedente.
L’odierno disinteresse di papa Francesco si è rivelato in controtendenza alle sue parole –“Emanuela sta in cielo” – pronunciate lo scorso 17 marzo a Pietro Orlandi e alla mamma Maria fuori la chiesa di sant’Anna, e fa traballare la motivazione principale delle ‘rivelazioni’ di Marco Fassoni Accetti: il vento nuovo che soffierebbe in Vaticano dopo l’elezione di un pontefice non curiale.
È dunque molto probabile che la sparizione di una ragazzina di quindici anni susciti ancora forti imbarazzi dentro le Mura Leonine, dove si confida che nel tempo l’oblio prevalga sulla memoria. Finora una scelta boomerang, se si considera il crescente desiderio di verità della società civile, ma che però trova una sponda amica nelle parole di un prelato che interpellai qualche anno fa in merito alle ragioni che avevano spinto la Chiesa ad autorizzare la sepoltura di De Pedis in Sant’Apollinare: “Dei propri peccati è meglio non parlarne”.
Notizia sconvolgente ci giunge da Londra. Nella mattinata dello scorso 21 Novembre la Bbc ha annunciato la liberazione di tre donne ( una malese di 69 anni, un’irlandese di 57 e una britannica di 30) tenute schiave per ben trent’anni in una casa del Lambeth, zona a sud della capitale britannica. I sospettati, già arrestati dalla polizia locale, sarebbero due anziani di 67 anni. A dare avvio alle ricerche è stata una chiamata in cui la donna britannica tenuta prigioniera ha informato l’organizzazione benefica Freedom Charity di essere stata trattenuta contro la sua volontà, senza alcuna possibilità di contatto con il mondo esterno, per ben trent’anni, praticamente dalla nascita. Le indagini, avviate immediatamente dopo la dichiarazione, hanno condotto Scotland Yard ad individuare l’abitazione da cui proveniva la telefonata e dunque alla liberazione delle tre donne. Queste, dato l’orrore di cui sono state vittime per così tanti anni, hanno riportato gravi traumi e necessitano di un considerevole aiuto psicologico per tornare a vivere una vita comune. Inoltre, sarebbero state testimoni di un commercio clandestino di esseri umani e probabilmente vittime di abusi sessuali, ma le indagini di approfondimento riguardo la questione sono ancora ai primi passi e dunque bisognerà attendere per scoprire le verità della ormai soprannominata “casa degli orrori”. La vicenda ha suscitato sdegno nel mondo britannico e non solo, purtroppo però sembrerebbe non essere un caso isolato, negli ultimi anni infatti numerose sono state le notizie riguardo reati simili a quello appena trattato, simboli di una progressiva perdita di umanità e moralità. Ci si può solo augurare che venga fatta luce sulla vicenda ma soprattutto giustizia per le vittime, per quanto ciò possa bastare.
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