INpressMAGAZINE Claudio Palazzi

Presidio Scup 13-01-14

Presidio Scup 13-01-14

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

SUPERSTAR da Petrolio di Pier Paolo Pasolini

TEATRO DELL’OROLOGIO

dal 23 al 26 gennaio

produzione CK Teatro Colossal Kitsch Teatro

“Superstar”

da Petrolio di Pier Paolo Pasolini


regia Fabio Morgan

scritto da Fabio Morgan, Leonardo Ferrari Carissimi, Andrea Carvelli

con Fabio Morgan, Emiliano Reggente

scene e costumi Alessandra Muschella

realizzazione video ASS.CULT. I FONDITORI DI BOTTONI E DAZ.

 

 

A vent’anni dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi nella politica italiana (26 gennaio 1994) e a seguito degli attuali episodi di cronaca che pongono ancora una volta l’ex Presidente del Consiglio al centro di polemiche mediatico/giudiziarie, va in scena al Teatro Orologio di Roma, dal 23 al 26 gennaio –  “Superstar” per la regia di Fabio Morgan – risultato della riscrittura dell’antiromanzo per eccellenza, “Petrolio”, di Pier Paolo Pasolini. Lo spettacolo racconta l’ascesa al potere della classe imprenditoriale italiana, del compromesso con i mastodontici del sistema massonico e dell’accettazione del delitto come strumento politico. Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi, ideatori dello spettacolo e direttori artistici dello storico spazio in Via Dè Filippini a Roma, ripercorrono attraverso la figura de l’ingegner Carlo Valletti protagonista del romanzo Petrolio, alcuni dei personaggi più significativi di questi ultimi ‘50 anni di Storia d’Italia, come Eugenio Cefis o Giulio Andreotti.

 

Seppure la scrittura dello spettacolo è completamente originale gli autori Morgan, Ferrari Carissimi e Carvelli hanno tenuto a ricalcare, nella struttura, il triplice linguaggio che Pasolini usa nella sua poetica: logico, analogico e psicologico.

 

 “L’esigenza che mi ha spinto a dare luce a questo spettacolo, come regista, e come scrittore insieme a Leonardo Ferrari Carissimi e Andrea Carvelli, è un dovere morale ed etico di rispondere a questo impero del nichilismo politico culturale e sociale ben rappresentato nella figura di Berlusconi, che ora, nella nostra situazione politica, rappresentai tutte le tensioni del popolo. È uno spettacolo che ha la stessa importanza del Grande Dittatore di Chaplin; non è un lavoro di denuncia critica sociale e di inchiesta su Berlusconi, ma è un racconto che attraverso il modello di Petrolio ci descrive la genesi del potere, l’accettazione del potere, e quello che comporta il compromesso con il potere”.                                                                        (Fabio Morgan)

 

Teatro dell’Orologio

Via de Filippini 17/A

orari: tutte le sere ore 21 – domenica ore 17.30

biglietti: € 12 – ridotto € 8

tel: 066875550

Ufficio stampa Giulia Taglienti

Email: taglienti.g@gmail.com

mb: 339.8142317

 

DI STATO SI MUORE

“Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte” (F. De André, 1971).

La storia si ripete.

Federico Aldrovandi, Riccardo Rasman, Giuseppe Uva, Paolo Scaroni, Stefano Gugliotta, Luca Morneghini, Michele Ferrulli, Tommaso De Michiel, Stefano Cucchi. Sono solo alcuni dei tanti nomi di cittadini qualunque, vittime della stessa rabbia e accomunate da uno stesso tragico destino. Un destino segnato da una morte violenta avvenuta per mano di agenti delle Forze dell’ordine, di uomini al servizio dello Stato, uomini chiamati a mantenere l’ordine pubblico, a difendere e proteggere ogni cittadino, ma venuti meno ai loro doveri, per cause che spesso è difficile individuare o forse solo per sfogare su soggetti più deboli i loro problemi, le loro frustrazioni. La banalità del male.

In alcuni casi le indagini processuali sono ancora in corso, in altri si sono concluse proprio con l’accertamento della stessa tragica verità. Una verità che fa appello al nostro senso civico e che esige di essere interrogata.

Sono tanti quei poliziotti, quei carabinieri che indossano la divisa con onore, ma sono troppi anche coloro che, nel pieno esercizio dei loro poteri, ne fanno un uso sproporzionato, talvolta scellerato, restando spesso impuniti. Di fatto quelli che avrebbero dovuto indagare sulla morte del Federico, Stefano, Giuseppe di turno, sono gli stessi che hanno depistato le indagini. Protetti dalla stessa divisa che indossano, costoro, in alcuni casi, si sono potuti ancorare al sostegno di  provvidenziali coperture. Coperture allestite intelligentemente dall’alto, dai dirigenti, che, per non mettere in cattiva luce l’istituzione che rappresentano, si sono mostrati disposti a ostacolare in vari modi l’emergenza della verità processuale. Coperture facilitate da indagini condotte con superficialità, indagini, chissà per quale insondabile ragione, desiderose di arrivare presto all’archiviazione di un caso difficile, difficile perché “scomodo”.

Tutte le vittime sono state etichettate dagli agenti, con modi semplicistici e veloci, come tossicodipendenti o alcolisti, persone autolesioniste e violente. Queste scarne, approssimative, se non false , descrizioni sono state usate come deterrente per  giustificare uno schema di condotta aberrante e, in certi casi, per attaccare, alla stregua di belve indomite e selvagge, dei comuni, liberi cittadini.

In queste ultime settimane ci sono state decisive svolte nelle indagini e nei processi su alcuni dei casi delle vittime delle cosiddette “morti di Stato”. Questo è avvenuto grazie a video girati da passanti o a testimonianze di persone che con coraggio hanno infranto l’alto muro di omertà che spesso si erige per paura, soprattutto quando ci si scontra con lo sforzo congiunto e costante di alcuni a non lasciare emergere una verità troppo scomoda.

Il Senatore Manconi, intervistato lo scorso 6 gennaio nel corso di una puntata di Presa Diretta dedicata al tema delle morti di Stato, ha dichiarato che la priorità per uno Stato democratico è quella di avere una polizia democratica. Una speranza che, anche e soprattutto dopo i fatti di Genova 2001, è sempre più accesa e viva nelle nostre coscienze.

Il capo della polizia, il Prefetto Pansa, proprio per evitare il ripetersi di questi fatti scandalosi, ha istituito una commissione sulle “buone pratiche” della polizia, presieduta dal prefetto Marangoni.

Marangoni, nel corso di un’intervista, ha affermato che è desiderio comune a tutti i dirigenti dell’Arma che la loro “casa” sia di cristallo, per far sì che si possa recuperare quel rapporto di fiducia, ormai perduto, tra società civile e Forze dell’ordine.

Questo apprezzabile atteggiamento di apertura e trasparenza, se capace di tradursi in buone, reiterate pratiche di condotta, potrà forse porre fine a quel sentimento di odio e di timore, che dilaga soprattutto tra i più giovani, nei confronti delle Forze dell’ordine.

Solo il bisogno di verità, che dovrebbe essere comune alla società civile come alle Forze dell’ordine, può sanare la frattura, profonda e dolorosa, tra cittadini e uomini dello Stato, frattura creata e alimentata proprio dall’oscurantismo che, per molti, troppi anni, ha avvolto le vicende legate alle “morti di Stato”.

 

Ricordando Fabrizio De Andrè

fabrizio11 gennaio 2014. Sono passati  esattamente quindici anni dalla notte in cui si spense uno dei cantautori più grandi e influenti della storia della musica italiana: Fabrizio De Andrè. Un tumore lo portò via, all’età di 59 anni.

Lottò fino all’ultimo “come un guerriero” come disse il figlio Cristiano.  Fu pianto dagli amici di sempre come Paolo Villaggio che lo definì “un grande poeta”,  dalla moglie Dori Ghezzi e dai figli . Ma non solo. La notizia della sua scomparsa commosse tutta l’Italia. Migliaia di persone, in una fredda e grigia  giornata di gennaio, il giorno del suo funerale si riversarono in maniera impressionante fuori dalla Basilica di Santa Maria Assunta in Carignano a Genova. La sua Genova che ha raccontato nei testi delle canzoni, e dove ancora oggi lo spirito di Fabrizio aleggia nei vicoli e nelle piazze.

Le sue canzoni a distanza di quindici anni non hanno tempo. Sono qui, vive nella memoria delle generazioni passate che sono riuscite a trasmetterle oggi anche ai loro figli. La sua voce, la sua musica, i suoi testi la sua poesia sono presenti nel ricordo di tutti.

Autore dalla personalità riservata, discreta, non amava rilasciare interviste e le uniche luci dello spettacolo che lo rendevano protagonista erano quelle accese durante i suoi concerti.  Un poeta che nonostante la parentesi buia del rapimento in Sardegna continuò a intraprendere il suo percorso musicale, perché la vera paura di De Andrè non era la morte, ma come disse lui stesso combattere contro “ la morte quella psicologica, morale, mentale che può capitare ad ognuno di noi durante il corso della vita”.

Come non ricordarlo nel suo viso non del tutto telegenico, la passione per le sigarette (immancabili anche durante le  esibizioni dal vivo)e la sua voce “ruvida, cinica”.

Molte saranno oggi le iniziative promosse in  Italia per rendere omaggio a questo grande artista, ma sarà il prossimo festival di San Remo, come fortemente voluto da Fabio Fazio, a dedicare una serata speciale per ricordarlo.

Resta senz’altro da dire che mancano le sue canzoni, e viene inevitabilmente il pensiero di  come avrebbe raccontato la situazione attuale del nostro Paese, e di come avrebbe  reso in musica quel sentimento di disagio e di smarrimento provato da molti  giovani oggi.

Manchi Fabrizio.fabrizio_de_andre