Chernobyl: un disastro annunciato
Tra maggio e giugno del 2019 è stata distribuita in Europa da Sky Atlantic e negli Stati Uniti da HBO la miniserie “Chernobyl” che oltre ad aver avuto enorme successo, ha riportato al centro del dibattito quanto accaduto in Unione Sovietica il 26 Aprile 1986, cioè la devastazione causata dall’esplosione della centrale nucleare ucraina. Numerosissimi sono stati gli ambiti di dibattito, dagli accertamenti delle cause, fino alle responsabilità dell’accaduto che tutt’oggi non sono chiare. Numerosissime anche le vittime che a causa dell’esplosione e delle successive radiazioni, secondo il rapporto Chernobyl Forum, redatto da agenzie dell’ONU come la OMS, sarebbero state circa quattromila. Associazioni ambientaliste come Greenpeace, basandosi su studi su scala globale, presentano nel corso di 70 anni stime che giungono ai 6 milioni di morti.
Contesto storico
La centrale nucleare di Chernobyl fu costruita in Ucraina nel 1970, a circa 170 chilometri da Kiev, durante il mandato da segretario del Partito Comunista e dunque leader dell’Unione Sovietica, di Leonid Breznev. La sua ascesa al potere avvenne immediatamente dopo la morte di Stalin, nel 1953, quando con Kruscev ed altri esponenti del partito costituì una sorta di direttorio che porta all’elezione dello stesso Kruscev come segretario del PCUS. In questo periodo comincia quella che dagli storici è stata definita destalinizzazione, con il parziale riconoscimento dei crimini dell’ex segretario, ma soprattutto attraverso una serie di azioni volte a terminare il culto di Stalin, in virtù della legittimazione del potere del nuovo segretario. La destalinizzazione fu un processo fondamentale portato avanti da Kruscev, che aveva come obiettivo una parziale apertura dell’Urss al mondo da un lato, ma soprattutto una presa di distanze dai crimini commessi dal leader. Questo processo ebbe anche risvolti eminentemente pratici, quali la rimozione, nel 1961, della salma di Stalin dal mausoleo di Lenin, e la ridenominazione di Stalingrado, che divenne Volgograd. La nuova leadership portò ad un’apertura anche sul piano economico, oltre ad un forte ammodernamento industriale. Tali strategie permisero all’Unione Sovietica di crescere in modo molto veloce, dal 1955 al 1965 il PIL aumentò del 56% e la produzione industriale dell’84%. Una crescita che potremmo dunque definire vertiginosa e che per ovvi motivi andò di pari passo con un processo di ammodernamento energetico, incentrato sulla creazione di un notevole numero di centrali nucleari sul territorio sovietico. Il successore di Kruscev, Breznev, caratterizzò il suo mandato per una nuova chiusura, in virtù anche delle difficoltà di controllo dei paesi sotto l’influenza del Patto di Varsavia, chiuse progressivamente l’Unione ai rapporti con l’estero, provocando negli anni ’70 una stagnazione economica e condizioni di malessere generale nei vari Paesi componenti l’URSS. Inoltre la pubblicazione, nel 1973, di “Arcipelago Gulag”, testimonianza diretta dello scrittore Aleksandr Solženicyn, inasprì ulteriormente l’opinione pubblica estera nei confronti dell’Unione Sovietica, oltre ad indignare capi di stato e di governo dei Paesi che con loro avevano rapporti. Come precedentemente detto la costruzione della centrale di Chernobyl avvenne proprio durante il mandato di Breznev, ed è durante il suo periodo di leadership che si strutturarono richieste di indipendenza normalmente represse, ma che aprirono al successivo mandato di Michail Gorbaciov, segretario del PCUS dal 1985 e alle sue parole d’ordine “perestrojka” e “glasnost”, cioè ricostruzione e trasparenza.
I fatti
Proprio durante la segreteria di Gorbaciov avvenne il disastro di Chernobyl. Stando ai fatti la tragedia avvenne il 26 aprile del 1986, durante quella che fu poi giustificata come un esperimento. In linea teorica l’obiettivo doveva essere quello di dimostrare la capacità di produrre energia elettrica anche senza l’utilizzo dell’impianto refrigerante. Ciò provocò un surriscaldamento, che a sua volta portò ad un’esplosione. L’esplosione provocò immediatamente 56 morti, la nube tossica che da essa venne provocata portò nel corso degli anni a circa 5000 decessi secondo il rapporto UNSCEAR. Secondo le autorità sovietiche la responsabilità dell’accaduto era totalmente in capo agli operai che si erano resi protagonisti di gravi negligenze nel corso dell’operazione, violando le norme di sicurezza prescritte per l’operazione. Secondo un’opinione universalmente accertata da tutte le inchieste che successivamente ci furono, tuttavia, non solo il personale non era sufficientemente qualificato per svolgere un tale esperimento, ma la stessa centrale non era abbastanza moderna da poter tollerare quanto voleva lì essere svolto. Inoltre secondo l’opinione di uno degli operatori della centrale, Anatolij Diatlov, i progettisti sapevano della pericolosità del reattore in determinate condizioni, ma non avevano avvertito gli operai in virtù del fatto che l’esperimento e gli stessi dati tecnici della centrale erano coperti da segreto militare.
Polemiche
Comunicare con l’Unione Sovietica, nonostante il neo insediamento di Gorbaciov, era estremamente complicato, tanto è vero che ci volle ben un giorno prima che il mondo seppe dell’accaduto. Il giorno dopo, infatti, in Svezia, gli operatori di una centrale nucleare furono allarmati dal fatto che alcuni rilevatori davano un grado di radioattività piuttosto elevato. Ci volle del tempo, ma alla fine furono gli svedesi a capire quanto successo a Chernobyl, costringendo il governo sovietico ad ammettere i fatti e a trarne le relative conseguenze. Le proporzioni del disastro furono unanimemente considerate enormi, nonostante le reticenze russe a permettere a periti esterni di indagare sull’accaduto. Abbiamo già parlato del rapporto UNSCEAR delle agenzie ONU, così come della catastrofica proiezione di Greenpeace. Risulta interessante anche il rapporto Humus, che ritiene anch’esso sbagliate le stime dell’ONU, portando a 200.000 il numero di vittime accertate e addirittura ritenendo che ci vogliano 300 anni affinché i terreni che hanno subito la devastazione di Chernobyl possano essere recuperati.
Quanto successo a Chernobyl ha segnato sicuramente uno spartiacque nella storia dell’uomo, portando a riflessioni sul nucleare dal punto di vista politico o più filosoficamente su quanto sia legittimo limitare il progresso in virtù di una vita salubre. In particolare in Italia, nel 1987, con un referendum, si bloccarono le sperimentazioni nucleari, inducendo definitivamente il nostro Paese a rinunciare a produrre energia tramite centrali di questo tipo. Le riflessioni che hanno seguito Chernobyl hanno probabilmente aperto ad un’idea diversa di sviluppo sostenibile, ad una rivalutazione del rinnovabile, anche se ad oggi rimane sostanziale la dipendenza da energie consumabili. Guardando al disastro nucleare sovietico, oggi ad oltre 30 anni di distanza, possiamo vedere come una reale comprensione della complessità di controllo del nucleare sia stata forse definitivamente compresa solo nel 2011, dopo Fukushima, quando anche Germania (completamente) e Francia (parzialmente) hanno deciso di rinunciare all’energia atomica.