PUTIN, IL DITTATORE DEMOCRATICO

Il 4 luglio 2019 Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, è stato in Italia per una serie di incontri istituzionali. Putin può essere a tutti gli effetti considerato uno dei personaggi più controversi del panorama politico mondiale, un uomo che ormai da più di vent’anni gestisce il potere nel suo paese.

Vita e presa del potere

Nasce a Leningrado (oggi San Pietroburgo) nel 1952, protagonista di una fulminea carriera militare che comincia immediatamente dopo gli studi in legge, quando viene arruolato nel KGB, i servizi segreti russi. Grande esempio di trasformismo politico, durante il periodo sovietico è iscritto al Partito Comunista, per poi discostarsene dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991.

Durante la presidenza di Eltsin, diventa prima responsabile dei servizi segreti russi, poi, nel 1998 Primo Ministro, fino a succedere allo stesso Eltsin nel 1999. Da allora il potere non l’ha più lasciato: ricopre la carica di Presidente per due mandati, fino al 2008, poi, non potendo ricandidarsi per un terzo mandato consecutivo in virtù dell’articolo 81 della Costituzione Russa, cede il Cremlino al suo delfino, Dmitrij Medvedev, passando a ricoprire nuovamente il ruolo di Primo Ministro.

Durante il mandato di Medvedev lo stesso art. 81 viene modificato, estendendo, a partire dalle successive elezioni presidenziali, il mandato del Presidente della Federazione da quattro a sei anni. Nel 2012 Vladimir Putin viene rieletto Presidente, carica confermata alle ultime consultazioni nel 2018. Dal 2004, anno della sua seconda elezione, Freedom House, agenzia che annualmente sulla base di studi politologici incentrati su numerosi parametri stila un report sul grado di democraticità di ogni Stato, definisce la Russia un paese non libero.

Carriera e controversie

La Russia da sempre è uno dei Paesi più complessi da analizzare dal punto di vista politico, sarà per la sua posizione geografica, che la rende di fatto uno Stato tra due continenti, sarà perché di fatto non è mai stata realmente democratica, sarà perché fin dai tempi degli Zar la personalizzazione del potere è sempre stata una caratteristica imprescindibile della gestione delle cariche autoritative stesse.

Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica del 1991, caratteristica fondamentale della neonata Federazione Russa, sotto la leadership di Boris Eltsin, è stata una grande frammentazione partitica, che suggeriva ai commentatori una possibilità di democratizzazione silenziosa nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso. Tuttavia il passaggio di consegne tra Eltsin e Putin è avvenuto, piuttosto che per via elettiva, come una vera e propria investitura del primo verso il secondo, in virtù di un accordo politico che permise ad Eltsin di distaccarsi dalla vita politica russa senza particolari traumi. Nel frattempo il nuovo leader aveva preparato bene la sua discesa in campo, tramite la strutturazione di un nuovo partito, Russia Unitaria, che alle elezioni si è comportato come vero e proprio catch-all egemonizzando la Duma.

Putin, fino al 2008, non si è mai realmente immischiato negli affari di partito, ha sempre preferito tenersene distaccato, ritenendo che un presidente dovesse cercare di essere sempre imparziale nei confronti della lotta partitica. Questa direzione è radicalmente cambiata nel 2008, laddove in virtù della sua candidatura come primo ministro ha assunto la guida del partito che lo ha sempre sostenuto per via parlamentare.

Allo scopo di restringere la frammentazione partitica, durante il mandato di Medvedev, sono state promulgate numerose leggi volte a cambiare la legge elettorale, aumentando la soglia di sbarramento per l’accesso alla Duma fino al 7% attuale. Inoltre con la creazione di partiti satellite come Russia Giusta, che appoggia l’operato del partito maggioritario Russia Unitaria, la compagine governativa si è di fatto assicurata una stabile maggioranza, inibendo le opposizioni, nonostante una leggera flessione dei consensi alle ultime elezioni.

Se volessimo tracciare una sequenza di come Putin si sia mosso come leader del suo Paese, si può notare che in una prima fase della sua carriera politica si è fortemente concentrato sulla sua figura e su un progressivo accentramento del potere: ha sempre cercato di dare un’immagine di sé di uomo forte, di guida, creandosi attorno un’aura di infallibilità, nascondendo i suoi fallimenti, e inibendo i dissidenti politici come Boris Nemtsov, ucciso in circostanze poco chiare.

L’immagine che Putin ha creato di sé ricorda molto per certi versi quella dei leader sovietici, per altri quella dei moderni dittatori, mantenendo tuttavia una certa sobrietà nei modi di apparire, probabilmente per farsi percepire più vicino ai cittadini. In una seconda fase, essenziale è stata la legittimazione estera, ricreando talvolta anche la logica dei due blocchi precedente alla caduta del muro di Berlino, intervenendo militarmente sia in Ucraina, in Crimea e in Donbass, sia in Siria per appoggiare il governo filo-russo di Assad. Gli interventi in Ucraina, paese membro dell’Unione Europea, tra l’altro, sono stati visti come illegittimi da parte della comunità internazionale e sono la causa delle sanzioni alla Russia di cui oggi tanto si parla.

Altri mezzi tramite cui Putin ha cercato, e secondo alcuni è riuscito, ad influenzare la politica internazionale sono stati i presunti tentativi di manipolare le elezioni di altri Stati, di cui è testimone il Russia Gate negli Stati Uniti, che ha minato in parte la legittimità di Donald Trump quale Presidente Usa. Secondo l’Espresso, inoltre, in un’inchiesta pubblicata il 24 febbraio del 2019, pare che Putin abbia finanziato la Lega di Matteo Salvini con circa tre milioni di euro.

Conclusioni

Vladimir Putin ha per certi versi riportato il mondo indietro nel tempo, all’epoca dello spionaggio e del controspionaggio, come testimoniato dal caso Sergej Skripal del 2018. Gestisce il potere in un modo che potremmo definire autoritario, reprimendo il dissenso nel suo Paese, controllando i media ed accentrando nelle sue mani i maggiori poteri dello Stato. Ne sono testimoni i progressivi allargamenti del controllo presidenziale sull’elezione dei presidenti delle regioni, che ad oggi devono essere approvati dallo stesso Presidente, così come le sentenze “benevole” della Corte Costituzionale, che ha permesso un costante superamento dei limiti imposti dalla Costituzione stessa.

Putin ricoprirà la sua attuale carica fino al 2024, dopo di che in linea teorica non potrà ricandidarsi. Solo allora sapremo definitivamente se e come la Russia procederà, quindi se ci sarà un ennesimo passo verso la dittatura, oppure un rivolgimento democratico. La rete di alleanze che lo zar di ghiaccio ha intessuto con i partiti sovranisti del nostro continente negli ultimi anni è sicuramente servita a minare l’unitarietà della politica estera europea, facendo esplodere una discussione sulla legittimità o meno delle sanzioni alla Russia, considerata in ogni caso come un’importante partner economico.

A questo proposito risulta interessante la dichiarazione del vicepremier Luigi Di Maio rilasciata sui social, in data 4 luglio, in occasione della visita di Putin: “Con il presidente Putin a Villa Madama. Perché l’Italia è un Paese sovrano, che dialoga con tutti salvaguardando, innanzitutto, i propri interessi commerciali” e la contrarietà del Movimento 5 Stelle alla costruzione del TAP (che i 5S hanno sempre addotto a motivi ambientali), il viadotto che ci collegherebbe col gas prodotto in Azerbaijan, e che dunque ci renderebbe meno dipendenti da quello russo.

Curiosa come la dichiarazione dello stesso presidente russo rilasciata ai media italiani, in cui ha ribadito i rapporti costanti che uniscono la Lega di Matteo Salvini a Russia Unitaria. Risulta evidente da questi avvenimenti che il nostro governo ha attuato sicuramente un’inversione di tendenza rispetto al precedente nei dialoghi con Vladimir Putin, che non veniva in visita in Italia dal 2015.

 

 

 

 

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