Guerra, povertà, fame, terrorismo, sanità; storie di sopravvivenza e coraggio. Parole e condizioni che confluiscono tutte in un unico concetto. Un concetto estremamente importante, che coinvolge o ha coinvolto in passato, tutti noi.

Le migrazioni non sono un fenomeno moderno, non sono frutto della società contemporanea, ma sono il frutto di un impulso, di un istinto, che vive dentro ogni essere umano: l’istinto di sopravvivenza.

Ad oggi, in Italia si contano complessivamente 153.407 mila migranti, contro i 98.653 del 2022 . Decidere di lasciare il proprio paese, la propria famiglia, la propria vita, per andare alla ricerca di qualcosa di meglio, di una vita migliore, di un paese migliore.

Un paese che dia la possibilità di vivere una vita dignitosa e nel rispetto dei diritti inviolabili e imprescindibili, come la libertà.

Tante e diverse sono le storie di tutti coloro che migrano da un paese ad un altro, ognuna degna di essere ascoltata.

Singole persone, bambini, famiglie iniziano viaggi che durano giorni, mesi, anni. Sono viaggi pericolosi, distruttivi, traumatici; sono viaggi della speranza, viaggi che queste persone sperano possano condurre loro in un posto migliore e riprendere in mano la propria vita.

Alcuni ce la fanno, altri perdono la vita, altri ancora rimangono prigionieri di chi durante il viaggio ha pensato bene di catturare e imprigionare queste persone per sfruttarle e torturarle.

Per quelli che ce la fanno, la strada continua ad essere tortuosa, per nulla semplice.

I migranti dall’Africa subsahariana, una volta superata la zona libica, attraversano il Mediterraneo, il più delle volte su pescherecci malandati e con una capienza nettamente inferiore al numero di persone che realmente salgono. Il peggio è passato, qualcuno può pensare, ma non è affatto così; il tragitto in mare ha i suoi pericoli e i suoi ostacoli, che spesse volte causano la morte di molti.

Di nuovo, per quelli che ce la fanno, il viaggio continua, verso un paese che non sanno nemmeno se li vuole. L’accoglienza è una questione delicata; si tratta di accogliere e fare ambientare persone distrutte, sia dentro che fuori, che vengono dalla parte del mondo che sembra esser stata dimenticata, che parlano una lingua diversa e hanno una cultura diversa, che faticano a fidarsi di chiunque incontrano.

In Italia dopo una prima accoglienza nei campi di emergenza, molti migranti vengono collocati nei CAS (Centri Accoglienza Straordinaria), strutture che vengono disposte per sopperire all’insufficienza dei centri di accoglienza standard. Il tempo di permanenza nei CAS dovrebbe essere di circa sei mesi, periodo in cui ognuna di queste persone dovrebbe imparare la lingua, superare i traumi vissuti e le barbarie subite, ambientarsi con la cultura e le usanze del paese accogliente, il tutto accompagnato da una difficile accettazione da parte di molti cittadini del suddetto paese, che faticano a comprendere le storie dei migranti.

Va da sé che è ovviamente difficile, se non impossibile, fare tutto questo in soli sei mesi, infatti molti restano nei CAS più a lungo, a volte anche anni; tra le persone accolte spesso ci sono giovani mamme con bambini molto piccoli, che hanno bisogno di un posto così per potersi riprendere da tutto quello che hanno vissuto. I centri sono gestiti e coordinati da persone che lavorano nel sociale; ci sono figure di riferimento come psicologi, educatori, assistenti sociali, che aiutano i migranti durante il percorso di riabilitazione e inserimento sociale.

Tante volte sentiamo giudicare, accusare e criticare queste persone. Giudizi e accuse che nascono dalla superficialità, da quell’impulso irrefrenabile di dover sempre trovare un colpevole; ignorare completamente le ragioni che spingono milioni di persone ad affrontare viaggi disperati, che il più delle volte finiscono male, per trovare un posto migliore dove vivere. Donne, uomini, bambini, soli e disperati, colpevoli di essere nati nella parte sbagliata del mondo.

Domandiamoci, al posto loro, noi cosa avremmo fatto? Avremmo avuto lo stesso coraggio di lasciare la nostra casa per una che non sappiamo nemmeno se la troveremo? Avremmo avuto lo stesso coraggio di attraversare il mare su un peschereccio al freddo, senza cibo ne acqua?

Non lo so. Quello che so , è che loro lo hanno avuto, il coraggio. E solo per questo, dovrebbero ricevere rispetto e solidarietà.

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