Il 31 ottobre del 2001, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione 1325. Il documento sancisce per la prima volta l’importanza del ruolo delle donne nella prevenzione e soluzione dei conflitti. Da questo momento in poi, nasce l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza, poco conosciuta nella vulgata popolare rispetto ad altre tematiche trattate in sede ONU. Eppure, la sua attuazione coinvolge molteplici attori, tra cui l’Unione Europea e l’Italia stessa. Di che cosa si tratta? Donne, Pace e Sicurezza: l’Agenda poco nota delle Nazioni Unite

La Carta delle Nazioni Unite: le missioni di pace

L’Agenda Donne, Pace e Sicurezza (DPS) viene alla luce in sede ONU. Le Nazioni Unite nascono per eliminare il flagello della guerra per le generazioni future e si occupano primariamente di prevenzione e soluzione dei conflitti. Come lo fanno? Con le missioni di pace. Nell’Agenda DPS, molteplici sono i riferimenti alle missioni di pace delle Nazioni Unite, poiché la partecipazione delle donne migliora l’efficacia delle stesse. Quali sono queste operazioni di pace? In sede ONU si parla di peacemaking, peace-enforcement, peacekeeping e peacebuilding. Donne, Pace e Sicurezza: l’Agenda poco nota delle Nazioni Unite

Peacemaking e Peace-enforcement

In realtà, la Carta delle Nazioni Unite disciplina solamente il peacemaking e il peace-enforcement, ma nulla dice con riferimento al peacekeeping e al peacebuilding. Donne, Pace e Sicurezza: l’Agenda poco nota delle Nazioni Unite

Il Capitolo VI, intitolato “Soluzione pacifica delle controversie”, regola il peacemaking. Dall’art 33, deduciamo che il peacemaking è quell’insieme di condotte poste in essere quando il conflitto è in corso, affinché questo cessi. Sono le azioni per portare ad un accordo le parti ostili, attraverso i mezzi pacifici previsti nel Capitolo VI.

Le Nazioni Unite indicano la soluzione pacifica come metodo migliore. Tuttavia, hanno introdotto un meccanismo di risposta in caso di violazione dello Statuto dell’ONU. A tal proposito, il Cap VII, intitolato “Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione”, disciplina, oltre alle sanzioni ex art 41, il peace-enforcement. Sulla base dell’art 42, con peace-enforcement intendiamo quelle missioni, decise dal Consiglio di sicurezza, che si avvalgono dell’uso della forza armata. Questo avviene quando le sanzioni ex art 41 risultano insufficienti a ristabilire la sicurezza internazionale. 

Quali sono i problemi che caratterizzano tanto il peacemaking quanto il peace-enforcement? Il peacemaking fa riferimento alla mediazione operata da soggetti terzi che favoriscono i negoziati tra le parti in conflitto. Tuttavia, conciliare due parti nel bel mezzo di un conflitto è una sfida, considerando che la mediazione richiede il consenso degli interessati.  Per quanto riguarda il peace-enforcement, in quanto strumento coercitivo, non richiede la volontà politica. Qui il problema è stato un altro. Il Consiglio di sicurezza è composto da quindici Stati membri, di cui nove permanenti, con diritto di veto. Durante la Guerra Fredda, il Consiglio di sicurezza era bloccato dai veti incrociati delle superpotenze, impedendo la formazione delle forze armate internazionali previste dallo Statuto (articoli da 43 a 47 del Capitolo VII). In assenza di un esercito, le Nazioni Unite usano i contingenti internazionali, ovvero forze messe a disposizione dagli Stati e dislocate nei territori di interesse.

Peacekeeping e Peacebuilding 

Per tutte le problematiche legate sia al peacemaking che al peace-enforcement, l’ONU ha optato per una terza via nel promuovere la soluzione dei conflitti internazionali: le operazioni di peacekeeping.

Qual è il fondamento giuridico di queste missioni? Si parla di “Capitolo VI e mezzo”. Questo perché si attinge sia dal Capitolo VI che dal Capitolo VII: il principio dal VI, ossia il consenso delle parti; l’uso della forza dal VII.

Quali sono i principi cardine delle operazioni di peacekeeping? L’imparzialità e l’uso della forza solo per l’autodifesa. La differenza tra le operazioni di peacekeeping e quelle di peace-enforcement sta proprio nell’uso della forza. Per le prime l’uso della forza è limitato al livello tattico per difendere sé stessi, il proprio mandato e i civili (con il consenso delle autorità ospitanti). Per le seconde l’uso della forza è strategico, normalmente vietato agli Stati membri ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta dell’ONU, a meno che non sia autorizzato dal Consiglio di sicurezza.

Le peacekeeping operations si sono evolute nel tempo di pari passo con la trasformazione dei conflitti. Dalle contese territoriali di tipo internazionale si è passato ai conflitti interni agli stati, fino ad arrivare agli interventi umanitari. Proprio per questa evoluzione, le operazioni di peacekeeping sono divenute multifunzionali, formate da una preponderante componente civile rispetto a quella militare e arricchitesi di funzioni cosiddette di peacebuilding. Quest’ultime mirano a evitare una ricaduta in uno stato di guerra, favorendo una transizione più sostenibile possibile verso la pace. Donne, Pace e Sicurezza: l’Agenda poco nota delle Nazioni Unite

Diritto internazionale dei diritti umani e diritto umanitario 

Oltre a radicarsi nel diritto contro la guerra, l’Agenda DPS ha la capacità di realizzare sinergie con alcuni ambiti del diritto internazionale rilevanti quando si parla di pace e conflitto: il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto umanitario.

Durante la fase di conflitto, il diritto internazionale umanitario, che protegge chi non combatte o chi non combatte più (i feriti, i prigionieri), ha sicuramente più peso. La normativa comprende le quattro Convenzioni di Ginevra e i tre Protocolli aggiuntivi.

I diritti umani li possiamo attuare pienamente solo in tempo di pace, quindi nel periodo precedente e successivo al conflitto. Durante i conflitti armati, solo un nocciolo duro di questi sopravvive (vita, divieto di tortura). Per quanto riguarda i diritti umani, oltre i riferimenti in sede ONU, interessanti sono la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne

L’Agenda DPS, sia in relazione al diritto umanitario che ai diritti umani, presenta tutti gli aspetti di questi settori che hanno una rilevanza in termini di dimensione di genere. Cosa significa integrare una dimensione di genere? Significa guardare alle differenze, in termini di bisogni, capacità, caratteristiche e esperienze, che vivono uomini, donne, bambini e bambine, nei contesti di conflitto.   

Ma cos’è l’Agenda DPS?  

Come accennato, l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza è un pacchetto di dieci risoluzioni adottate dal Consiglio sicurezza delle Nazioni Unite. In verità, già prima della sua adozione, quattro conferenze ONU dedicate alle donne riconoscono l’importanza del loro ruolo nei processi di pace. 

Nel 1975, nella Conferenza di Città del Messico, si afferma come le donne abbiamo un ruolo vitale nella promozione della pace in tutte le sfere della vita.

Cinque anni più tardi, nella Conferenza di Copenaghen, gli Stati dichiarano che le donne di tutto il mondo dovrebbero partecipare nella maniera più ampia possibile per rafforzare la pace e la sicurezza internazionale.

E ancora, a Nairobi, nella Conferenza del 1985 si afferma che le donne dovrebbero avere la possibilità di partecipare attivamente ai processi decisionali relativi alla promozione della pace e alla cooperazione internazionale.

La conferenza più avanzata è la Piattaforma di Pechino del 1995, in cui si afferma che la pace a livello locale, nazionale, regionale e globale è inestricabilmente legata al progresso delle donne, che sono una forza fondamentale per risolvere i conflitti e promuovere la pace a tutti i livelli. 

A questo punto, la domanda sorge spontanea: perché la Risoluzione 1325, pietra miliare dell’Agenda DPS, è così importante? Perché è una risoluzione del Consiglio di sicurezza. Per la prima volta vengono scomodate le persone più potenti a livello mondiale. Invece, ciò che gli Stati hanno affermato nelle conferenze mondiali sulle donne costituiscono “mere” dichiarazioni. Inoltre, come suddetto, l’Agenda DPS integra i diritti umani e gli aspetti umanitari con il ruolo delle donne nella risoluzione dei conflitti. Il Global study del 2015, afferma che l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza non è uno strumento per rendere le guerre meno dannose per le donne, ma è uno strumento per prevenire i conflitti e per cercare di risolverli.  

La Risoluzione 1325 del 2000 

La Risoluzione 1325 del 2000 è stata innovativa per diverse ragioni. Una di queste, è la convergenza di tre attori principali: Organizzazioni Non Governative (ONG), Nazioni Unite e Stati. Senza uno di questi elementi, la Risoluzione 1325 non sarebbe stata approvata e non avremmo avuto l’Agenda donne, pace e sicurezza. La Risoluzione 1325 del 2000 si fonda su tre pilastri principali: partecipazione, protezione e prevenzione. 

1.PARTECIPAZIONE a pieno titolo delle donne ai processi decisionali in materia donne pace e sicurezza, alle operazioni di peacekeeping, all’azione umanitaria. 

2.PROTEZIONE delle donne contro la violenza di genere e necessità di garantire il giudizio dei responsabili. Qui si fa riferimento soprattutto al diritto umanitario e ai diritti umani. 

3.PREVENZIONE: qui il riferimento è al ruolo delle donne nella prevenzione, perché prima ancora di risolvere i conflitti, dobbiamo prevenirli. 

A questi tre punti principali, se ne aggiunge un quarto, più generico: relief and recovery.

4. RELIEF AND RECOVERY possiamo tradurlo con PROSPETTIVA DI GENERE. Questo in quanto rinvia ai bisogni specifici di donne (e uomini) nell’azione umanitaria, nel peacekeeping, nella negoziazione ed applicazione di accordi di pace e nelle misure DSR (disarmo, smobilitazione e reinserimento) dei combattenti. 

La Risoluzione 1325 del 2000 tocca tutti questi aspetti. Tuttavia, il suo focus principale è la partecipazione e il ruolo attivo delle donne nella promozione della pace.

La Risoluzione 1820 del 2008 

A seguire, la Risoluzione 1820 del 2008 è, assieme alla 1325 del 2000, uno dei capisaldi dell’Agenda DPS. Per quale motivo?

Prima della Risoluzione 1820 del 2008, le missioni di peacekeeping non ricevevano mandati espliciti per proteggere dalla Sexual and Gender-Based Violence (SGBV). La SGBV consiste nella violenza sessuale (o di genere), che colpisce specificatamente le donne. Con l’approvazione della Risoluzione 1820 del 2008, i membri del Consiglio di sicurezza affermano che la SGBV rientra nelle loro competenze in quanto legata alla pace e sicurezza internazionale. Questo perché la violenza di genere viene utilizzata come tattica di guerra. L’obiettivo è infliggere un costo maggiore al popolo che si vuole sottomettere.

Per tali ragioni, rispetto alla Risoluzione 1325 (2000), la Risoluzione 1820 (2008) si concentra maggiormente sulla protezione delle donne in situazioni di conflitto. Ciò  nonostante, la Risoluzione 1820 del 2008 non esclude riferimenti alla necessità di una piena ed eguale partecipazione delle donne nella prevenzione dei conflitti, nella loro risoluzione e nella costruzione della pace nella fase post-bellica. Donne, Pace e Sicurezza: l’Agenda poco nota delle Nazioni Unite

Le altre risoluzioni dell’Agenda DPS 

La Risoluzione 1325 del 2000 nasce dal peacekeeping di seconda generazione. I conflitti non sono più internazionali ma interni agli Stati. Questo porta a un peacekeeping multifunzionale, in cui la componente civile prevale su quella militare. Dal canto suo, la Risoluzione 1820 del 2008, nasce dal peacekeeping di terza generazione, ossia l’intervento umanitario. In questo caso, i conflitti assomigliano molto a veri e propri genocidi. Ma cosa dicono le altre risoluzioni dell’Agenda DPS?  

Risoluzione 1888/2009: sottolinea gli sforzi per porre fine alle violenze sessuali in situazioni di conflitto attraverso l’istituzione della figura di  un “Rappresentante speciale” e di un gruppo di esperti.  

Risoluzione 1889/2009: stabilisce la necessità di indicatori per il monitoraggio della Risoluzione 1325 e chiede al Segretario Generale di produrre un rapporto sulla partecipazione delle donne e la loro inclusione nel peacebuilding. Siamo quasi a dieci anni dalla Risoluzione 1325 e molte cose ancora non erano state attuate. 

Risoluzione 1960/2010: il Consiglio di sicurezza chiede al Segretario generale delle Nazioni Unite di stabilire un meccanismo di monitoraggio e segnalazione delle violenze sessuali in situazioni di conflitto. La logica è quella del naming and shaming, ossia si indicano le entità a rischio di violazione.  In questo modo, i perpetratori vengono incentivati a cessare la violenza per non essere pubblicamente segnalati come colpevoli. 

Risoluzione 2106/2013: tiene in considerazione, in una logica intersezionale, gli specifici bisogni delle persone con disabilità, nonché le violenze contro gli uomini e i ragazzi. Cita il Trattato sul commercio delle armi, che all’art 7 vieta che le armi vengano commerciate in posti in cui c’è il rischio che siano utilizzate per commettere o facilitare gravi atti di violenza di genere. 

Risoluzione 2122/2013: invita il Segretario generale a commissionare un Global Study sull’attuazione della Risoluzione 1325 del 2000. Il Global study sarà adottato nel 2015 ed evidenzia tanto le buone pratiche quanto le lacune e sfide nell’attuazione della Risoluzione. Il documento fa riferimento anche alle minacce alla pace e alla sicurezza internazionale causate da atti terroristici. Cerca infatti di spiegare come la guerra in alcune aree del mondo sia asimmetrica. Da un lato, gruppi di ribelli con armi rudimentali ed esplosivi. Dall’altro, poteri più grandi con armi all’avanguardia. 

Risoluzione 2242/2015: richiede una maggiore integrazione dell’Agenda DPS con l’azione di contrasto al terrorismo e all’estremismo violento. La Risoluzione fa inoltre riferimento ai rifugiati e all’impatto dei cambiamenti climatici.  

Risoluzione 2467/2019: interessante è il richiamo ai bambini e alle bambine nati/e dagli stupri di guerra. La Risoluzione esorta gli Stati membri a rafforzare l’accesso alla giustizia per le vittime di violenza sessuale in situazioni di conflitto e post-conflitto. Inoltre, afferma che l’emancipazione delle donne è necessaria per contrastare la causa principale della violenza di genere in situazioni di conflitto. Questa è la prima Risoluzione che crea dissenso: Cina e Russia si oppongono al fatto che il Consiglio di sicurezza si occupi di diritti umani. Per questo, la Risoluzione viene approvata senza l’unanimità.  

Risoluzione 2493/2019: chiede la piena implementazione di tutte le precedenti risoluzioni dell’Agenda donne, pace e sicurezza.  

L’attuazione multilivello 

Come detto, l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza è nata in sede ONU, ma viene applicata a cascata ai vari livelli: non solo internazionale ma anche regionale e nazionale. Uno degli aspetti più interessanti dell’Agenda DPS è proprio la molteplicità degli attori che coinvolge. Donne, Pace e Sicurezza: l’Agenda poco nota delle Nazioni Unite

Le organizzazioni internazionali a carattere universale e regionale 

Oltre l’ONU, varie organizzazioni internazionali prendono parte all’implementazione dell’Agenda.

La NATO, Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ha anche apportato alcune modifiche. Ad esempio, al posto delle tre “P” (Partecipazione, Protezione, Prevenzione) che caratterizzano la Risoluzione 1325, ha adottato le tre “i”, integration, inclusiveness and integrity (integrazione, inclusività e integrità). 

Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali a carattere regionale, legate a un’area geografica limitata, l’OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, aiuta gli Stati a sviluppare un piano nazionale di azione su Donne, Pace e Sicurezza.  

L’Unione Africana non ha una politica specifica. Ciò nondimeno, Bineta Diop, attivista senegalese per i diritti delle donne, è stata, nel 2014, Special Envoy on Women, Peace and security. Il mandato? Assicurare il coinvolgimento delle donne nella costruzione della pace e nella risoluzione dei conflitti.

Sempre nel continente africano, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, hanno adottato un piano regionale: ECOWAS Plan of Action for the implementation of United Nations Security Council Resolutions 1325 and 1820.

L’Unione Europea  

L’Unione Europea, l’organizzazione internazionale regionale con la forma di integrazione più ampia che conosciamo, non è stata da meno nell’attuazione dell’Agenda DPS. Ha adottato lo EU Strategic Approach (EU SA) to women peace and security (dicembre 2018) e  lo EU Action Plan on Women, Peace and Security (WPS) 2019-2024 (luglio 2019). Quest’ultimo, prevede degli indicatori per misurare la concretizzazione delle politiche in materia di “Donne, Pace e Sicurezza”. L’ Italia ha tratto alcuni parametri del suo Piano nazionale proprio da questo Action Plan.

In realtà, l’Unione europea aveva già approvato, a partire dal 2008, il Comprehensive Approach to the EU implementation of UN Security Council Resolutions 1325 and 1820 on women, peace and security. Il documento avrebbe dovuto guidare l’Unione nell’implementazione delle Risoluzioni dell’Agenda DPS, in tutta la sua azione esterna e politica estera. Tuttavia, il testo era troppo generale. Non specificava né cosa si intendesse per prospettiva di genere, né come avrebbe dovuto essere realizzata, né tantomeno chi sarebbe stato responsabile della sua attuazione.

Un’anno dopo, nel 2009, l’Unione Europea istituisce la Eu Informal task force on UNSCR 1325. Si tratta di riunioni periodiche tra rappresentanti degli Stati, organizzazioni della società civile e entità interessate dell’Unione. Possono partecipare altresì le organizzazioni con sede a Bruxelles, come la NATO e gli uffici delle Nazioni Unite ivi presenti. L’obiettivo della task force è aumentare il coordinamento interistituzionale sulle questioni relative alla Risoluzione 1325. 

EU Strategic Approach (EU SA) to women peace and security 

Il documento riprende i pilastri della Risoluzione 1325 (Partecipazione, Protezione, Prevenzione e Relief and Recovery), inserendo però delle novità e focus specifici. Difatti, enfatizza particolarmente il ruolo delle organizzazioni della società civile e adotta un approccio di genere che comprende anche gli uomini. Mira inoltre ad affrontare le cause profonde delle diseguaglianze di genere e dei conflitti, punto su cui le Nazioni Unite si sono dimostrate più deboli in termini di risposta. E ancora, lo Strategic Approach promuove un ruolo attivo delle donne e la loro leadership. Questo punto è interessantissimo se pensiamo a come, in sede ONU, l’Agenda abbia virato molto sugli aspetti della protezione. Viceversa, l’Unione vede le donne come agenti di cambiamento più che come vittime dei conflitti. 

Per concludere, l’ambito “Donne, Pace e Sicurezza” è divenuta una politica specifica dell’Unione. Questo porta a legarla a tutte le altre politiche che proiettano la dimensione di genere nell’azione esterna dell’UE. Donne, Pace e Sicurezza: l’Agenda poco nota delle Nazioni Unite  

Gli Stati e i piani d’azione nazionali 

E’ stato detto come, a delineare il quadro di riferimento normativo dell’Agenda DPS, concorrano politiche sviluppate a vari livelli, dal globale al locale. Sul piano “locale”, di particolare rilievo sono i piani d’azione nazionali (PAN), che circa un centinaio di Stati hanno adottato, su sollecitazione dell’ONU. Il primo Paese è stato la Danimarca nel 2005.

I piani dei vari Stati differiscono gli uni dagli altri, in quanto ciascuno può pianificare, orientare, prendere e enfatizzare ciò che delle politiche delle Nazioni Unite ritiene prioritario per il proprio Paese. Questo perché i PAN non sono eterni, ma durano solitamente due o tre anni.

In realtà, molti Stati non hanno adottato un piano nazionale, ma hanno scelto di inserire previsioni dell’Agenda DPS nell’ambito di altre politiche nazionali già esistenti. Da un lato, ciò costituisce un vantaggio, in quanto consente di usare le risorse in maniera ottimale. Dall’altro, il rischio è dare meno attenzione agli aspetti relativi alla tematica “Donne, Pace e Sicurezza”.  

I PAN dell’Italia

L’Italia ha adottato quattro piani d’azione nazionale, anche grazie alla spinta proveniente dalla società civile. Il I PAN (2010-2013) ha segnato il passaggio decisivo dell’Italia tra gli allora limitati Paesi con una politica specifica dedicata a “Donne, Pace e Sicurezza”. Il II PAN (2014-2016), così come il primo, si concentra sul ruolo dell’Italia nelle operazioni di peacekeeping ed è il più lungo. Il III Piano d’Azione Nazionale (2016-2020) è nettamente migliore rispetto ai primi due, sia a livello strutturale che di contenuti. Infine, il IV PAN (2020-2024) compie un ulteriore passo in avanti, prevedendo l’utilizzo di indicatori specifici presi in prestito dallo EU Strategic Approach. Donne, Pace e Sicurezza: l’Agenda poco nota delle Nazioni Unite

Verso una maggiore consapevolezza? 

Grazie a diverse iniziative formative promosse in ambito civile, rispetto agli anni passati, sempre più persone sono a conoscenza dell’Agenda DPS. Sicuramente di aiuto, il recentissimo inserimento di “Donne, Pace e sicurezza”, nella materia “Politiche di sicurezza e difesa UE”, presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. A partire dall’anno accademico 2021-2022, il modulo fa parte dell’offerta formativa stabile.

In considerazione delle difficoltà che la pandemia (e non solo) ha posto nell’implementazione dell’Agenda Donne, Pace e Sicurezza, portarla all’attenzione dell’opinione pubblica può aiutarne la piena ed efficace attuazione. 

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