Tra le nostra pagine l’intervista ad Alberto Fonti che presenta il suo romanzo.
Buongiorno sig. Fonti e benvenuto tra le nostre pagine. Ha appena pubblicato il suo primo romanzo con Calibano Editore. Ce ne vuole parlare? “Il cassetto dei ricordi perduti” è un romanzo che ha come protagonisti Marco e Stefano, due ragazzi di San Miniato, amici d’infanzia, la cui vita viene sconvolta da un tragico episodio che li porterà ad allontanarsi per sempre, fino ad arrivare al suicidio di Stefano (nessuno spoiler, questo fatto si scopre nella seconda pagina). Tutta la storia si snoda nel giorno del funerale a cui Marco partecipa e in cui rivive il senso di colpa per quanto accaduto e l’impatto con la vita di provincia che aveva lasciato quando si era trasferito a Milano per lavoro, alternando mediante il flash-back alcuni episodi in cui viene raccontata la loro amicizia da ragazzi.
La scrittura è sicuramente frutto di un’inclinazione naturale, ma anche di un duro lavoro… qual è il suo pensiero? Scrivere è una forma di espressione, al pari del canto, della recitazione, della pittura e di tutte le altre arti, per cui una base, per lo meno buona, ci deve essere e che può essere ovviamente migliorata attraverso lo studio e l’esercizio costante. Il lavoro, come in tutte le professioni, c’è sempre dietro, un lavoro fatto di revisioni continue, di momenti di stallo per trovare il modo per descrivere una scena, un pensiero, per cui direi che questi due aspetti devono combinarsi inevitabilmente, altrimenti, a mio parere, non si può raggiungere un buon risultato.
Quali sono gli ingredienti per una buona narrazione che tenga il lettore sempre incollato al romanzo? Credo che per non annoiare il lettore si debbano cercare espedienti che lo incuriosiscano o utilizzare un linguaggio non troppo complesso e una narrazione scorrevole. Nel mio romanzo “Il cassetto dei ricordi perduti” ho utilizzato il “giallo”, nel senso che fino a metà del libro non si sa che cosa sia di tragico successo tra i due amici che li allontana per sempre, creando così un clima di attesa che porta il lettore a fare delle ipotesi che potrà vedere soddisfatte o meno quando scopre il reale motivo.
Che modelli letterari ha come riferimento? Molti e nessuno. Mi spiego meglio, non credo, almeno consciamente, di avere un vero e proprio punto di riferimento a cui mi ispiro, in quanto non riesco ad omologarmi all’interno di una corrente letteraria o di uno stile, apprezzando comunque autori e alcuni topos ricorrenti in specifici generi. Senza alcun dubbio i tratti maggiormente distintivi dei miei romanzi sono la suspence e la curiosità nel lettore, la descrizione delle emozioni e dei tratti psicologici dei personaggi oltre, ovviamente, al loro percorso formativo. Se dovessi scegliere e fare dei nomi, senza dubbio Patricia Highsmith, Giorgio Scerbanenco, l’accoppiata Fruttero & Lucentini, Stephen King, Luigi Pirandello e Virginia Woolf.
Ha già in programma un’altra storia? Il 22 Aprile uscirà il mio secondo romanzo dal titolo “Il sapore della pioggia”, edito da Calibano Editore, in cui Jacopo, un ragazzo fiorentino di vent’anni, intraprende un viaggio a Castelgioioso, un paesino del Molise, con suo nonno Vito, che vi aveva vissuto da giovane prima di trasferirsi a Firenze, col quale instaura un dialogo e una confidenza senza precedenti. Sto intanto finendo il mio terzo romanzo, che ha come protagonista una donna che scappa da Torino, dove abita, per andare a Parigi, una città a lei cara in cui spera di trovare sollievo alle sofferenze che l’hanno portata ad allontanarsi dalla sua vita.