Il fenomeno capoeira

Tra arte marziale, musica e ballo. L’arte della comunicazione è in palestra.

Sono anni che il fenomeno capoeira ha invaso l’Italia. Nel programma di molte palestre italiane almeno due volte a settimana appare la disciplina brasiliana e non in pochi si sono accorti dell’evoluzione nella comunicazione che questa ha portato.

La capoeira è la sintesi dei linguaggi più usati nelle relazioni umane. La musica, il canto, le espressioni del corpo sono legati profondamente all’arte marziale e a ciò che ne comporta, quindi mosse di offesa, di difesa, calci, prese. Non finisce qui, attraverso diverse forme di ballo come il maculele o la samba il linguaggio si arricchisce portando sempre più le persone a confrontarsi e a esprimersi.

Fondamentale in un’arte profondamente affabile come la capoeira è l’axe, ovvero lo spirito che  coinvolge il praticante della disciplina dentro la roda e che lo porta a contribuire positivamente all’”energia” che si determina nel contesto. La roda non è altro che il “luogo” dove mettere in pratica  le proprie qualità ed è un cerchio formato da chi osserva i capoeristi impegnati ad esibirsi nei loro “ floreo”, le acrobazie. La musica e il canto sono la chiave di questa “energia” comunicata dal gruppo. Senza di esse la capoeira non potrebbe esistere e apparirebbe alla stregua di un normale sport da combattimento.

La storia di questa disciplina è curiosa ma racchiude in sé noti momenti infelici nella storia dello sfruttamento coloniale. Le origini dei padri fondatori della capoeira sono ben lontane dal paese che ne ha visto la luce e dove, attualmente, viene praticata da gran parte della popolazione. Circa 500 anni fa gli schiavi neri deportati dall’Africa al Brasile e costretti a lavorare in piantagioni di canna da zucchero inventarono una lotta adeguata alle loro condizioni. Era impedita loro la pratica di qualsiasi disciplina marziale e a rendere più difficile le cose erano stati incatenati i loro polsi per evitare qualsiasi sovversione. Per difendersi dai soprusi inventarono una lotta incentrata sulla forza e l’agilità delle gambe e inserirono gli elementi di musica e danza per mascherare ai padroni le proprie intenzioni. Formavano un cerchio, la roda, in cui tutti suonavano e cantavano col Birimbao, tipico strumento a percussione simile ad un arco. A questo punto davano inizio al confronto, chiamato “gioco”, tra i primi due lottatori-danzatori. Questo schema nella disciplina della copoeira è stato mantenuto ancora oggi.

Il paese da dove furono deportati gli schiavi e il luogo dove ci furono le prime manifestazioni di quest’arte marziale non sono ben chiari. Forse i trasferimenti hanno avuto inizio dall’ Angola, ma poche sono le informazioni storiche precise poiché il consigliere Ruy Barbosa fece distruggere nel 1890 tutta la documentazione che si riferiva alla schiavitù nera in Brasile. I due più grandi gruppi di tribù africane arrivati in Brasile furono i sudanesi e i bantu. I sudanesi, provenivano principalmente dal golfo della Guinea, nell’Africa Occidentale. Quelli più importanti, sia perché più numerosi, sia per la loro cultura, furono gli Yoruba dalla Nigeria e i Ewe dal Benin, che formarono in Brasile un ordine religioso chiamato Gege-Nago dagli antichi nomi delle loro etnie. La tendenza degli storici africanisti sembra quella di ritenere che i primi negri che arrivarono in Brasile provenissero dall’Angola. Gli stessi capoeristi utilizzano il termine capoeira Angola per definire uno stile della disciplina molto lento e teatrale. Questo stile si differenziarla dalla capoeira Regional, veloce e marziale.

In Italia la maggior parte delle palestre ospita un corso di capoeira. È consigliato praticare quest’arte marziale a tutte le persone che per esercitare uno sport abbiano bisogno di molti stimoli tra cui il divertimento.

Fonte: Claudio Palazzi, La voce di tutti

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