Il 16 marzo 2014 in Crimea, i cittadini della penisola furono chiamati ad esprimersi in merito a se fossero d’accordo con il tornare a far parte della Federazione Russa. Il referendum in questione non ammetteva risposte negative, ed era composto unicamente da due quesiti, uno antitetico all’altro. Le circostanze in cui la regione autonoma della Crimea giunse a tale votazione furono sostanzialmente pacifiche, sebbene nella cornice di un colpo di stato risoltosi a Kiev poche settimane prima, e di truppe di “local-defense” russe provenienti in parte dalle file della flotta di tale vessillo residente sul Mar Nero, in parte direttamente dal territorio russo limitrofo.

Con riguardo a tali avvenimenti la comunità internazionale entrò in trambusto, parzialmente risoltosi con una risoluzione prodotta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, statuente l’illegalità del referendum in questione sia da un punto di vista di diritto interno ucraino che di diritto internazionale. Il presidente Vladimir Putin, d’altronde, invocò a giustificazione della propria intrusione negli affari interni ucraini diverse giustificazioni, tra cui la necessità di agire al fine di permettere al popolo della Crimea di autodeterminarsi in quanto minacciato da nazionalisti radicali insediatisi al governo in maniera fraudolenta. Ha dunque affermato di agire in risposta alla legittima difesa collettiva così come invocata dal legittimo Presidente Yanukovich, oramai riparatosi in Russia per fuggire alla violenza delle proteste. In tale contesto, la maggior parte della comunità internazionale, così come richiesto dall’Assemblea Generale, ha scelto di non riconoscere l’appartenenza della Crimea alla Federazione Russa, attuando una serie di sanzioni o “contromisure” severe, volte a ripristinare lo status quo ante gli atti verificatisi il 16 marzo.

Di fronte a tali episodi, bisogna chiedersi se tutto sia così bianco o nero come in apparenza. Se l’Assemblea Generale ha infatti decretato il referendum in questione come invalido, essendo questa un organo istituzionale appartenente alle Nazioni Unite, sarà sicuramente infallibile? Ebbene, sembra di no. Di fatti, sebbene le nazioni unite abbiano organi di riferimento al livello mondiale, soprattutto per ciò che concerne le spinte che essi conferiscono all’evoluzione del diritto internazionale, ciò non vuol dire che siano del tutto super partes. Non è infatti un segreto come all’interno dello stesso Consiglio di Sicurezza, le votazioni siano ineguali, conferendo la possibilità di apporre un diritto di veto unicamente ai “big five” uscenti vincitori dalla Seconda Guerra Mondiale. Ma focalizziamoci su cos’è successo.

I fatti: cos’è successo? ì

Anzitutto specifichiamo come la Repubblica autonoma di Crimea godesse di un’autonomia speciale nell’ordinamento costituzionale ucraino fino ad allora vigente. Disciplinata dal titolo X della Costituzione, la “Costituzione regionale” del 1998 aveva solo il rango di legge nazionale ordinaria, mentre il Consiglio supremo della Crimea emanava atti aventi natura regolamentare e non legislativa. Ne consegue che qualora vi fosse stato un contrasto tra norme regolamentari della repubblica autonoma e norme di legge nazionale, il Presidente ucraino avrebbe potuto sospendere con decreto l’applicazione delle prime e impugnarle dinnanzi alla Corte costituzionale. All’art. 134 della Costituzione ucraina, come anche all’art. 1, co. 1 della Costituzione regionale, era inoltre esplicito che la Crimea costituisse parte integrante del territorio ucraino.

Secondo la lettura dei fatti di Vladimir Putin, anche qualora la risoluzione di indizione del referendum risalente al 6 marzo 2014 fosse in contrasto con la Costituzione della repubblica autonoma del 98, essa non avrebbe comunque potuto essere legittimamente impugnata dal Presidente al fine di essere dichiarata incostituzionale dalla Corte, dal momento che il Presidente ucraino ad interim dell’epoca non era il legittimo Presidente di Stato, ma un presidente fantoccio stabilito dal Parlamento al seguito di un vero e proprio colpo di stato. Il 21 febbraio 2014 infatti, il Parlamento ucraino avrebbe votato la legge n. 742-VII che stabiliva la cessazione dell’efficacia della Costituzione ucraina del 96 e la restaurazione della Costituzione ucraina così come riformata dalla legge 8 dicembre 2004 n. 2222-VI. All’approvazione della legge, tuttavia, non è seguita la promulgazione poiché il Presidente legittimo in carica, Yanukovich, era già riparato in Russia tra il 21 e il 22 febbraio.

Le due versioni qui incominciano a divergere poiché, secondo le autorità russe, costui sarebbe stato costretto alla fuga (a causa della violenza dei manifestanti in piazza Maidan), mentre secondo l’opposizione egli avrebbe scientemente deciso di fuggire al fine di sottrarsi a tale proclamazione. Il 22 febbraio 2014, assunti i pieni poteri, il parlamento ucraino con una maggioranza di 328 su 450 deputati avrebbe votato una risoluzione prendente atto del fatto che il Presidente era venuto meno ai suoi obblighi, e si era ritratto dall’ufficio. Contestualmente si dispose l’indizione di nuove elezioni presidenziali anticipate, e si stabilì che ad assumere la carica di Presidente fosse, ad interim, il Presidente della Rada (Turchynov). A quel punto, sempre la Rada (parlamento ucraino), elesse il nuovo Primo Ministro Yatsenyuk e il nuovo governo. Secondo le autorità della Federazione Russa, la Costituzione del 96 non sarebbe mai stata realmente sospesa, mancando la promulgazione della legge speciale da parte del legittimo Presidente, e in quanto, ai fini della rimozione dal suo incarico, costui non è stato sottoposto a una procedura di “stato d’accusa”, così come prevista in entrambi i testi costituzionali.

A questo punto, continua la logica russa, priva di valore giuridico sarebbe anche l’impugnazione di fronte alla Corte costituzionale da parte del Presidente ad interim della risoluzione di indizione del referendum da parte del Consiglio supremo della Crimea e della città di Sebastopoli (che peraltro gode di un regime speciale di autonomia distinto dall’autorità del primo) i quali, di fronte ad un vuoto di potere, avrebbero potuto legittimamente indire un referendum vincolante sulla propria autodeterminazione. Ed in effetti, in nessuno dei due testi costituzionali è prevista la possibilità che il Presidente ucraino si auto-sollevi dall’incarico senza passare per la messa in stato d’accusa.

Ha forse ragione Putin? Crimea

Ne consegue, che l’assunzione di pieni poteri della Rada e l’emanazione di un decreto con cui applicare immediatamente le norme della Costituzione nella versione emendata del 2004 sembrano poggiare su basi costituzionali lacunose. Eppure, anche ammettendo che la Costituzione del 2004 non fosse mai stata restaurata, non può sostenersi che, dopo il 22 febbraio 2014, l’Ucraina si sia trovata senza una costituzione e dunque in una situazione di vuoto di potere. Si può, al limite sostenere che fosse rimasto in vigore il testo costituzionale del 96, sul quale aveva giurato il suo presidente eletto. A questo punto, sembra che (a sostegno delle tesi russe), nell’art. 138 del testo costituzionale ucraino si stabilisca che, tra le competenze della Repubblica autonoma di Crimea rientri l’indizione e organizzazione di referendum locali. Eppure, sia in base alla versione originaria della Costituzione ucraina, che a quella emendata nel 2004, tale potere va inteso come limitato alle materie di competenza regolamentare della Crimea e non come norma autorizzatoria di consultazioni referendarie sull’autodeterminazione del popolo crimeano, in quanto gli atti adottati dal Consiglio supremo della Crimea non possono essere adottati in contrasto con la Costituzione ucraina e con le leggi dell’Ucraina. Differente sarebbe stata la possibilità di un referendum consultivo, ma non certo su norme non suscettibili nemmeno di revisione costituzionale (art. 157). Tale questione avrebbe potuto essere posta unicamente da un referendum indetto dalla Rada.

il sacrosanto diritto di scegliere Crimea

Nel complesso, come anticipato, la comunità internazionale ha condannato le azioni russe e in particolare la validità del referendum tenutosi in Crimea sancente l’annessione alla Federazione Russa, basandosi sul concetto che non esisteva, all’interno dello stato ucraino, la possibilità per una comunità territoriale di secedere tramite referendum. Eppure, siamo sempre al solito discorso: quando mai, chi ha il potere, includerebbe nelle regole del gioco la possibilità di perderlo? Il punto, a ben vedere, non è chiedersi se il referendum fosse legittimo per il diritto interno, o per il diritto internazionale, ma chiedersi se sia giusto che sia vietato. Se sia giusto che chi detenga le redini possa creare terra bruciata attorno ai suoi competitors, o se magari, non sarebbe meglio smetterla di pensare l’umanità secondo una logica di sottomessi e sovrani, concependoci tutti come parte dello stesso sistema mondo, in un’ottica di unione e non di repulsione, dove tutti hanno le stesse possibilità, ma nessuno le impiega per sovrastare gli altri. Solo in un siffatto sistema allora, potremmo davvero utilizzare la parola libertà senza avere la sindrome dell’impostore alle calcagna. Comunque, per quanto concerne i fatti accaduti in Crimea, anche volendo analizzare i fatti in maniera più approfondita, non può che tornarci in mente l’antico proverbio romano per cui “il più pulito c’ha la rogna”.

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