Ostia. Come poter narrare Ostia, da dove cominciare? Sembra assurdo poter pensare anche unicamente di racchiudere a parole, per chi l’ha vissuta, nelle sue varietà e sfaccettature, quell’amalgama di sub-culture, asti, rancori, ed amori, che caratterizza Ostia all’infinito. Come fosse una cresciuta Aci Trezza, quantomeno nelle dimensioni, allo stesso modo Ostia ne cattura lo spirito, ed entrambe sembrano sottrarsi alla linearità del tempo che impera tirannica nelle città odierne.

Cenni storici e descrizione del territorio

Cuore del X municipio della città metropolitana di Roma, l’unico ad affacciarsi sul mar Tirreno e a trovarsi interamente al di fuori del Grande Raccordo Anulare, Ostia ne è la frazione litoranea e contiene i quartieri Lido di Ostia Ponente, Lido di Ostia Levante e Lido di Castel Fusano. Il fiume Tevere ne delinea i confini con il comune di Fiumicino e gran parte della zona fu edificata a partire dai primi anni del XX secolo, al termine della bonifica dell’area portata avanti dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia.

Ma nonostante la Ostia metropolitana sia acquisizione relativamente giovane, le sue radici storiche si innestano molto più in là temporalmente, arrivando sino ai romani, ed in particolare al quarto re di Roma Anco Marzio, che la insediò, secondo la Tradizione, attorno al 630 a.C.: la così detta “Ostia Antica”, abbandonata in epoca alto-medievale. In tale quartiere, oggi impera di fatti, un immenso sito archeologico comprendente un’area di 150 ettari, ovvero solo il 40% riportato alla luce della città sepolta.

Ma la nascita del centro abitato – così come lo conosciamo oggi – avvenne durante il regime fascista al fine di estendere la città di Roma fino al mar Tirreno, e già nel 1916 si stabilì di assegnare alla nuova borgata il nome di Ostia Nuova, che nel 1923 divenne Ostia a mare. Solo dopo la Guerra, nel 1949 si optò per “Lido di Ostia”.

All’epoca del fascismo Ostia fu suddivisa in una fascia lungo il mare, con piccoli villini usati come seconde case da romani abbienti e una fascia per gli operai; contestualmente fu realizzato il progetto di un sontuoso stabilimento (lo stabilimento “Roma”) progettato dall’ingegnere Giovanni Battista Milani, che poi fu distrutto in seguito alla “terra bruciata” effettuata dall’Asse durante la ritirata nel 1943.

Oggi il territorio ostiense è vastissimo, e vanta più di 80.000 abitanti: si tratta più che di un quartiere romano, di una sorta di città entro la Città. Un macro-universo composito e contraddistinto da un sincretismo tra edifici e natura, che bagna il terreno di verde (l’ampia pineta) e di blu (il mare).

Una bellezza decadente: la vita di Ostia

Si tratta di una bellezza onnipresente, e per nulla limpida. È una bellezza decadente, quella di Ostia, che non esime mai dal brutto. Non c’è posto per gli estetismi qui. Si tratta di un fascino che si sviluppa su contraddizioni visibili, ed ossimori: è basata sull’assurdo, sulle incomprensioni. Dalla pineta brulicante di corpi in vendita, al porto noto per essere luogo snodo di traffici malavitosi, al mare con i suoi tramonti che gettano luce su baraccopoli e detriti.

Ostia è “Nettuno fratello di Giove” laddove Giove è Roma. Ed è tale la didascalia alla base della statua della suddetta divinità che osserva il Pontile da lontano. Luogo cardine di esistenza degli ostiensi, o quanto meno, il più visibile.

Luogo ove s’incontrano coppie di attimi sparsi, tutte su quel bordo mare, sul solco del Pontile, connessi da quelle impalcature senza nemmeno esserne consapevoli. Quante vite si sono sfiorate su quei marmi e quanti volti ha dovuto guardare in faccia quel Nettuno. Ostia è un via vai distratto di sparsi drammi e nessuno di loro che sia in grado veramente di toccarsi. Tutti coesistenti in quel marasma di situazioni, di ambienti, di classi sociali, di esperienze, di autori, di sfollati, studenti, insegnanti, di cui il territorio è intessuto.

Un pontile nuovo che alla sua destra, si specchia con il suo omonimo “rotto”, ma lì rimasto, quasi come presa di posizione, ad allietare gli animi di chi lo osserva. Un luogo solitario, uguale e contrario al fratello invece cardine di socialità.

E se avrai il coraggio, di addentrarti nelle strade che percorrono la pineta tutta, potrai scorgere, senza necessità di essere troppo fortunato, sepolti tra i fitti fogliami, corpi in vendita e mercificati, nella forma – ed oramai solo in quella – di donne. Donne poiché il cliente è sempre uomo. L’unico capace di compiere sapientemente, quel compito di chirurgica distinzione tra l’essere ed il possedere. Ma questo non è problema unicamente di Ostia. Qui tuttavia, emerge con una certa dirompenza, in quanto è scenario intarsiato di famiglie intente a fare picnic, tra una macchina in sosta e l’altra.

Sarebbe sicuramente più facile accettare le difficoltà del territorio se non si presentasse in tutta la sua bellezza: una bellezza non sempre raccontata, in favore di narrazioni mediatiche “serve dello scandalo”. Purtroppo però, tali narrazioni un fondo di verità lo celano, sebbene si tratti di una verità che a quanto pare non tutti gli ostiensi vivono con la medesima intensità.

OSTIAMOR

Questo almeno è quanto emerge dal reportage. Un progetto che si è proposto di entrare verticalmente ed orizzontalmente nel vivo di tale terra. La attraversa in orizzontale passando per i luoghi cardine, ed in verticale unendo testimonianze sparse di persone caratterizzate ognuna da una certa dose di rappresentatività.

Si incomincia con la tratta percorsa durante gli anni liceali da tutti gli studenti che dall’entroterra del X municipio avevano necessità di recarsi a Ostia in quanto sede di diversi licei ed istituti. Dai quartieri c.d. “dormitorio”, dunque, un marasma di studenti si ammassava sullo 06 Scuola, che li traghettava per la pineta, sino ad attraversare il Canale dei Pescatori, con destinazione Lido Nord: frazione di Ostia nota per essere il quartiere scolastico (presenti il Liceo Federigo Enriques, l’Anco Marzio, il Labriola, nonché scuole medie ed asili).

Luogo di incontri e di scontri, qua si formano i nuovi cittadini ostiensi e non, ed è proprio entro tali istituti che si prende immediatamente atto delle difficoltà che insistono sul territorio: dalle strutture fatiscenti, alle resistenze e reticenze opposte alle differenti iniziative. I licei a Ostia sono incubatori di realtà differenti, ma soprattutto, ricettacolo della sub-cultura ostiense, nella sua prima embrionale forma di comunità (quella scolastica).

Ma la necessità fa virtù, e fortunatamente si tratta di edifici che sebbene mantengano una personalità ostica, negli anni si sono saputi dotare anche di fari accesi sui giovani, ovvero professori dalle grandi personalità, amanti del territorio, e ostinati nel voler perseguire un cambiamento con i metodi più disparati – talvolta appoggiando l’esuberanza dei loro studenti, e talvolta opponendovisi. Certo, c’è anche chi, di far parte di tale cambiamento non aveva per nulla voglia, e appunto, svogliatamente, ha condotto il proprio “mestiere” optando per un educato “lavarsene le mani”.

Insomma, come spiegato all’inizio, Ostia ruota attorno alle contrapposizioni, agli ossimori, alle opposizioni (mare-pineta, bellezza-degrado, staticità dinamica), ed è al liceo che queste si incominciano più visibilmente a manifestare: dalle battaglie per ottenere autogestioni, a quelle tra i gruppi politici più attivisti. Non si può certo dire che non vi sia fermento.

Tutti i soggetti intervistati vi accennano, eppure sembra che tale fermento difficilmente porti ad un cambiamento; ed Ostia si rigira su sé stessa, quasi annullando anche le sue differenze stagionali. Ma il loro sguardo non è omologo. Ciascuno identifica i propri punti di messa a fuoco.

C’è anche la testimonianza di chi a Ostia non c’è nato, ma se l’è scelta, ed ha scelto di costruire lì, senza mai riscontrare particolari problemi e conducendo una vita tranquilla. C’è chi invece la sente come una gabbia dorata e chi solo come una gabbia. È un po’ la storia di tutte le periferie, ma con una poetica tutta propria.

Ad ogni modo, il tour continua gettando uno sguardo sulle varie opere di Street Art portate avanti dagli studenti, che terminano sulla Roma-lido: il c.d. “trenino” di Ostia. Si tratta del cordone ombelicale che la lega a Roma, e presenta, a specchio di tale rapporto farraginoso e scomposto, esattamente le medesime criticità: ciclicamente si intoppa, agli orari di punta passa con poca frequenza, e ricalca una sensazione di isolamento laddove invece dovrebbe (e vorrebbe?) unire. Ma quando passa, rimanendo in superficie quasi per l’intero tragitto, regala spettacoli immensi.

Si prosegue sino a Lido Centro, la parrocchia di Regina Pacis, le “giostre” che insorgono con la loro attrattività luccicante, luogo di svago e di minacce, dove l’innocenza dei giovani si scontra con le incrostature dei gruppi di estrema destra, e le comitive di “pischelli” che le abitano, tartarughe con il proprio guscio. Si intravede un luogo decaduto: un cadavere grigio andato a fuoco pochi anni fa, l’ennesimo edificio espropriato, abitato da chi in seguito se ne è appropriato, ed infine distrutto – non da una ruspa, ma dalla criminalità.

E poi il già declamato Nettuno, il McDonald’s, la pista ciclabile (acquisizione recente, efficientissima e lineare) lo stabilimento balneare Salus espropriato, ed ancora il vortice caotico del Pontile, sino a giungere a Idroscalo.

Ultimo luogo da me scoperto, l’Idroscalo “Carlo del Prete” nacque come impianto per l’ammaraggio e il decollo di idrovolanti e aerei anfibi. Utilizzato durante la guerra e principalmente da aviatori fascisti, ora al suo posto nasce un intero quartiere abusivo costituito all’incirca di 500 famiglie in una sorta di baraccopoli su terreno demaniale mai veramente asfaltato. Camminando per i suoi vicoli il silenzio è tombale. Rimbombano grida eccitate di bambini e di sottofondo scrosciano sugli scogli le onde del mare; ma siamo agli estremi di Ostia, e la percezione di trovarsi in un posto remoto, è presente.

Dall’altro lato del fiume Tevere che qui trova la sua foce, è possibile scorgere Fiumicino. L’atmosfera in realtà è tranquilla, la percezione è che nessuno voglia rogne, e lo sguardo indugia su di noi solo qualche istante, per poi tornare basso e preso dalle sue personali faccende. Più in là, macchine abnormi si intervallano a rottami scapestrati.

Ad osservare tutto questo è ancora una volta, eterno spettatore, il mare, che lava via le realtà fittizie e con la propria presenza, fa emergere l’assurdo: le baracche giungono sino alla spiaggia, e provocano grande contrasto con l’immaginario mainstream della villeggiatura estiva. Insomma, Idroscalo è un posto meraviglioso, ma decadente, e decaduto. Vicino, il quartiere popolare di Ostia Nuova, dove giace nascosto il monumento a Pier Paolo Pasolini, protetto da un giardinetto ameno e costellato di pietre con su incisa la propria opera. Come noto ai più, egli morì in questa zona e dopo aver tentato ostinatamente di raccontarla.

Allo stesso modo a raccontarci uno sprazzo di vita ostiense è Laura Foschini, una ragazza nata ad Ostia che ci parla anzitutto dello stabile dove vive. E sostiene come, a detta della madre, questo non sia cambiato minimamente dagli anni 60 ad oggi. La chiama la “piccola città”, ed emerge quest’embrione di comunità ricalcante dinamiche di paese. Il tono è dolce ed allo stesso tempo spaventato. “Tutti si conoscono” il che è “un bene ed un male” ma sicuramente qualcosa difficile da ritrovare altrove.

E poi il conflitto generazionale, l’amore e l’odio, l’accettazione ed il distacco: ma in ogni caso l’impegno comune per il cambiamento e la protezione del territorio. Si arriva poi a nominare ancora una volta il mare. Quel mare tanto criticato dai romani, verde, sporco, inquinato, spesso elevato a simbolo del degrado romano, a detta degli ostiensi diventa emblema della bellezza e della poetica del luogo. Un mare nostrum appunto, con personalità e carattere, che non perde di valore solo perché non corrispondente ai canoni caraibici.

Laura racconta come un tempo abitasse a Nuova Ostia, e come i genitori fossero stati costretti a trasferirsi in seguito ad una sparatoria e ad un blitz condotto dalla polizia. Poi sposta il discorso, e nota quanto fosse bello viversi il territorio da bambini, e quanto sia snervante viverlo da adolescenti poiché intriso di dinamiche discutibili e privo di spazi di aggregazione.

Gli spazi, il lungo muro

Il problema degli spazi di ritrovo per i giovani è problema particolarmente sentito ad Ostia. Nonostante non si tratti di un territorio privo di fermento politico, le diverse associazioni hanno dovuto lottare per ritagliarsi delle sedi. Insomma, qui poco o niente è scontato. Altro motivo per il quale larga parte delle iniziative di solidarietà sociale ed attivismo sono state spesso condotte dalle varie chiese di zona, alle volte in collaborazione con gruppi partitici: unici enti riconosciuti dall’alto, ed in qualche modo degni di poter condurre tale ruolo nella società.

edificio abbandonato ad Ostia, 2018

Per tutti gli altri, inclusi i giovani volenterosi anche semplicemente di studiare, spetta un trattamento diverso. C’è la possibilità di recarsi ad uno dei tanti luoghi di consumo, oppure ci si può appoggiare alla biblioteca Elsa Morante, che però stenta a rimanere aperta ed ha sulle spalle l’onere di essere l’unico ente adibito a tale scopo in un territorio su cui insistono circa 80.000 persone.

Ma la grande contraddizione che anche su tale tematica emerge è come in realtà questi spazi esistano. Semplicemente, come spiega Raffaele Biondo alla fine del filmato, 24 anni e da poco consigliere comunale nelle liste del PD, non si comprende come ad Ostia le leggi, anche quelle semplici non riescano ad essere rispettate.

Tornando agli spazi in realtà esistenti, come mostrato in qualche fotogramma, diversi sono gli scheletri che abitano Ostia. Spesso tale trambusto riguarda gli stabilimenti balneari. È emblematico come il mare tanto decantato sia, in realtà, presenza invisibile, poiché seppellito dai mastodontici bagni che si accostano l’un l’altro facendo a gara per chi riesce a manifestare più sfacciatamente la propria presenza alle macchine che sfrecciano sulla strada.

ex stabilimento Arca abbandonato, 2019

Tali colossi appunto, il Biondo ci dice continuino ad esistere nonostante il PUAR (Piano Regionale di Utilizzazione degli Arenili) tenga a specificare dei vincoli precisi alla visibilità del mare, e puntualmente accadono gli espropri.ì

Espropri che lungi dal terminare con una demolizione, conducono più spesso all’abbandono di tali edifici, che si trasformano in miniere a cielo aperto. Fortunatamente i più bisognosi talvolta ripopolano i cadaveri, ma ciclicamente anch’essi vengono sgomberati e riconsegnati ai loro destini. Sembra la messa in scena di una vera e propria associazione a delinquere, volta a riprodursi sclerotica su sé stessa, e destinata al compimento dei medesimi esiti.

ex stabilimento La Casetta Ostia abbandonato, 2019

Quando nasce una nuova realtà politica autonoma sul territorio, il primo comandamento è dunque questo: trovare uno spazio, con la consapevolezza che sarà compito arduo e privo di aiuti esterni, ma fondamentale al fine di poter condurre qualsiasi tipo di attivismo radicato, cioè capace di affondare le proprie radici in profondità, nella terra, nel sottosuolo.

Fermenti politici, la dinamica degli schieramenti

Lorenzo Bianchini, ci racconta della sua militanza. A suo dire, è naturale, se si è persone sensibili ed attente, cercare di darsi una risposta ai problemi che si incontrano quotidianamente, e nel suo caso la risposta è stata quella politica. Non una politica tesserata, non necessariamente adesione ai massimi sistemi ideologici, quanto una politica locale, che nasca dal basso e si leghi visceralmente al proprio suolo. Autonoma, appunto.

Nel caso concreto, egli parla del liceo come momento di inizio del suo sforzo in quest’ottica. Gli chiedo se negli ultimi anni vi sia stata una rimonta della destra, e, dopo aver delineato un quadro di tradizione politica come da sempre esposto agli influssi popolari, anche di estrema destra (sedi MSI e quant’altro), ammette che vi sia stata una ripresa, sia a seguito di iniziative populiste (per definizione seducenti) che in conseguenza ad assenze e mancanze sul fronte opposto.

Ed in effetti è così. Dai tempi del liceo Ostia subiva i medesimi influssi già in atto su scala nazionale, europea, mondiale: la rimonta degli pseudo-fascismi. Ma per il carattere radicale di tale frazione romana, qui la destra non poteva che rimontare nella sua veste più estrema (nascosta, ma nemmeno con troppo sforzo, sotto ad un manto di iniziative populiste moderate accaparra “consenso”) ed avvalendosi delle metodologie più vili. Aggressioni, vessazioni, minacce. Diverse le testimonianze che ci parlano di questo, contribuendo a rendere tali gruppi a immagine e somiglianza del più abile venditore ma anche del più sfacciatamente fraudolento.

La sinistra dal canto suo, sul territorio è sempre stata presente ma meno allettante. Realtà tanto schiva quanto attiva, più volte ha tentato di cambiare forma per rappresentare una degna opposizione alla tendenza raccontata, e periodicamente ci è riuscita. Altre volte no. Oggi il fermento c’è, e i giovani che restano nell’ostiense continuano a mettersi in discussione a tal riguardo.

Insomma, ci sono storie di chi va e di chi resta, ma Ostia è così. Quando la conosci ti entra nel cuore e te lo squarcia, è un amore tossico, un fato non richiesto. Nel bene e nel male, ti si lega addosso. Laura Foschini ha descritto il proprio rapporto con tale realtà come una sindrome di Stoccolma in chiave dramma-comica, sente di aver perso qualcosa conducendo la sua adolescenza qui, ma anche di aver acquisito molto.

C’è chi fugge alla ricerca del nuovo, e chi s’attanaglia per cambiarla, chi sosta altrove per qualche tempo, e chi osserva il mare con la consapevolezza che un giorno se ne andrà, ma ancora non sa dirti quando. È una donna bellissima ed acida, è dura e fragile come una madre triste che con difficoltà ama i propri figli, ma i figli saranno per sempre costretti ad amare la madre, anche nell’astio, anche nel rifiuto, anche nel dolore.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here