Italia e Covid-19: la cultura dimenticata
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura […]”: tutti apprezziamo il superbo testo della nostra Costituzione ma le parole non sfamano persone. Se il Covid-19 ha condotto a qualche forma di consapevolezza, questa si concretizza nel dato di fatto che il settore culturale viene dimenticato di default in caso di crisi economica. Affrontiamo la questione con un’intervista a Germano Serafini, uno dei rappresentanti di quell’inesistente “ordine degli artisti” che ogni giorno fronteggia l’incertezza del futuro e l’instabilità della propria pratica.
Germano Serafini è un artista romano e cofondatore di Spazio Y, luogo indipendente dedicato alla ricerca e alla sperimentazione in ambito contemporaneo. La fotografia è il mezzo prediletto attraverso cui esprime se stesso, con un focus su natura e aspetti sociali.
Come è cambiata la tua giornata-tipo e quali sono stati gli effetti negativi del Covid-19?
Non è cambiato molto, perché rispetto ad un tipico “8-5 job” come lo chiamano gli Americani, il mio lavoro si svolge tra casa e studio. Il lockdown, in questo senso, mi ha permesso di riprendere lavori lasciati in sospeso, di dedicare più tempo ai miei hobby e di scaricare tensioni che, in periodo lavorativo pieno, avrebbero richiesto un tempo maggiore.
L’impatto negativo si è registrato nel calo di contatti interpersonali e di lavoro, poiché la mia attività è caratterizzata da multi-committenza e mobilità costante.
Dal punto di vista economico come hai affrontato la situazione? Hai pensato di lasciare il paese o di intraprendere attività in settori più stabili?
La prospettiva di andare all’estero aveva attraversato il mio pensiero anni fa, ma ho scelto di restare e combattere per un riconoscimento italiano, per lasciare una traccia in mezzo alle tante mancanze del nostro sistema. Avevo, però, viaggi di approfondimento che sono stati rimandati.
Sotto l’aspetto economico, la crisi mi ha colpito in prima persona perché nei sei mesi pre-Covid avevo investito tempo e denaro in un progetto inaugurato la settimana prima del lockdown, poi l’interruzione di oltre due mesi e il conseguente mancato recupero di fondi che attualmente non è stato controbilanciato dall’aiuto dello Stato. Il vero nocciolo della questione è la mancanza di un riconoscimento dell’identità dell’artista nel panorama italiano. Nel nostro settore si lavora principalmente con prestazioni occasionali o a contratto ed è per questo che alla creatività vengono affiancati lavori paralleli.
Covid o no, noi combattiamo costantemente con il fattore denaro e con la scarsa considerazione di questo mestiere, quindi l’impatto dell’epidemia non è stato emotivo ma economico. Lo Stato dovrebbe intervenire con forme di tutela e di sostegno, garantendo un minimo stabilito per legge, e dovrebbe farlo nella convinzione che l’artista (e il settore culturale) sia un elemento chiave della nazione.
In che modo hai sfruttato le potenzialità offerte dal web?
Ho iniziato ad impartire lezioni di fotografia online su consiglio di un’amica attrice, superando le difficoltà legate all’impossibilità di un rapporto face-to-face. È un’attività che continuerò in futuro perché mi permette di accedere ad una utenza esterna alla mia città di base, con il conseguente ampliamento delle possibilità lavorative. Tuttavia tra le mie conoscenze devo dire che siamo stati in pochi ad esserci attivati in tal senso.
Come vi state preparando per un’eventuale seconda ondata di Covid-19? Possiamo immaginare una futura mostra in modalità virtuale?
Una mostra solo virtuale è possibile ma unicamente per lavori ad hoc, per il resto si necessita di un luogo fisico per vivere le opere.
Trovo interessante e comoda la modalità di ripresa a 360 gradi, il tour virtuale è il futuro da un punto di vista documentativo, ma inteso come restituzione di un allestimento reale.
Per quanto riguarda Spazio Y troveremo sicuramente delle soluzioni perché “i problemi che si presentano e/o il bivio sono sempre stati uno stimolo per proporre nuove idee”, come ad esempio il progetto “Basic Necessities” lanciato durante questo periodo.
L’Italia si classifica prima al mondo per patrimonio culturale, il quale alimenta un settore economico rilevante (pari al 13% del PIL), ma che rappresenta soprattutto una forza-lavoro che produce un inestimabile valore aggiunto immateriale misurabile in termini di sviluppo della persona umana e di coesione sociale. È per tali motivi che sono inaccettabili le parole, nelle intenzioni rassicuranti, del ministro dei beni culturali D. Franceschini, il quale sul ritorno del turismo di massa nelle nostre città ha commentato: “Alla fine dell’emergenza torneranno come prima”. Il coronavirus, tra le tante note terribilmente dolenti, ha dato una scossa importante al sistema puntando i riflettori su un modello di gestione ormai obsoleto che necessita di un’azione incisiva e programmata; un contesto in cui si fa urgente il riconoscimento di categorie non ancora tutelate, l’aggiornamento del personale (includendo le tecnologie digitali, che si sono dimostrate essenziali) e una politica di qualità al passo coi tempi e con gli altri Stati.
Direttore responsabile: Claudio Palazzi