Black is King, potente e accorato nella sua romantica ode alla blackness. Una lettera d’amore che Beyoncé dedica all’Africa e al figlio Sir Carter. La magnifica, travolgente e vibrante call to action per la rivendicazione culturale del suo popolo contro un mondo nel quale il livellamento culturale è sempre più forte.

Black is King è un visual album scritto, diretto e prodotto dalla cantante americana Beyoncé in collaborazione con Kwasi Fordjour.
Il progetto è nato a partire dall’album “The Lion King: The Gift”, ispirato dalla partecipazione della star di Houston al film d’animazione “The Lion King” (2019). Dopo un anno di ulteriori lavori e con la collaborazione di più registi e di un cast di vari talenti (famosi e non), l’album si è trasformato in un docu-musical. Un tripudio di musiche, danze, costumi, acconciature e località che ci trasportano alla scoperta della ricchezza culturale dei popoli e del continente africano.

Il debutto globale, avvenuto il 31 Luglio 2020 su Disney+, non poteva avvenire in un periodo più significativo. Proprio a maggio di questo anno l’omicidio di George Floyd, l’ennesima uccisione di un cittadino nero, ha innescato la miccia di un profondo malcontento generale.

Ed è scoppiata la rivoluzione.

Un’America già piegata dalla crisi economica e sanitaria causata dal covid-19 e dilaniata da profonde diseguaglianze sociali è arrivata alla guerra civile. E la rivoluzione, sotto forma di una nube che tutto travolge e ricopre, si è distesa sulle città, bloccando le attività e distruggendo quello che incontrava. Si è scagliata contro i fantasmi del nostro passato, contro i nostri tabù e le ingiustizie sociali.

Il movimento Black Lives Matter è tornato allora sotto i riflettori mondiali e tale frase è stata scritta su intere strade. Molti quartieri, invece, sono stati occupati da milizie volontarie di cittadini che hanno protestato al grido di “End police brutality” e “Defund the police”. Le proteste hanno poi varcato i confini statunitensi per diffondersi nelle principali città del mondo. Tutto questo mentre Trump faceva costruire delle barriere protettive intorno alla Casa Bianca. Black is king 

Beyoncé Giselle Knowles è una cantautrice, ballerina, attrice e imprenditrice statunitense. La cantante è un’icona mondiale e tra i personaggi più influenti al mondo secondo Time. Negli anni si è distinta per l’acceso femminismo e il sostegno ai diritti degli afroamericani. Una battaglia che ha toccato livelli altissimi in Lemonade e Formation.

Nella prima ha parlato dell’infedeltà del suo compagno collegandola all’impatto storico della schiavitù sull’amore e sulle famiglie di colore.
Formation, invece, è un tributo alle donne nere che hanno preso parte ai movimenti per la giustizia sociale e un’accusa contro la brutalità della polizia federale statunitense. Questa canzone è stata poi provocatoriamente scelta per la sua esibizione al Super Bowl 50, portando all’attenzione globale le frequenti uccisioni di afroamericani.

In Black is King Beyoncé ha ripreso la storia de “Il re leone” per parlare della diaspora africana e per sostenere la rivendicazione culturale del suo popolo. La storia del principe che perde la via e dimentica le sue radici, lasciandosi abbagliare dallo splendore di tutto il meglio che il nostro consumismo ha saputo creare. Questa è la storia di tutti gli africani deportati dalla loro terra natia per subire un annientamento fisico e spirituale. Il trionfo finale del principe, che ha finalmente ritrovato se stesso, rappresenta quindi la speranza che i discendenti di quegli immigrati possano fare lo stesso. Una voce potente, quella di Beyoncé, materialmente e simbolicamente, che si leva contro le etichette che i bianchi hanno attribuito alla popolazione di colore per secoli.

Se gli afroamericani non hanno piena coscienza di se stessi come potranno averla gli Stati Uniti, personificati dall’immagine dello zio Sam, e chiunque altro al mondo?

“When it’s all said and done, I don’t even know my own native tongue. And if I can’t speak myself, I can’t think myself. And if I can’t think myself, I can’t  be myself. And if I can’t be myself, I will never know me”. “So Uncle Sam, tell me this, if I will never know me, how can you?”

Potente.

Black is King è inoltre una presa di coscienza del mondo che stiamo lasciando ai posteri e l’ennesimo tentativo di risanarlo. La cantante lo ha infatti dedicato al figlio Sir Carter e alle nuove generazioni.

“Siamo sempre stati meravigliosi, ci vedo riflessi nelle cose più divine del mondo. Nero è il re. Noi eravamo bellezza prima che loro sapessero cosa fosse la bellezza”.

Molte personalità di spicco hanno lamentato che Black is King abbia ridotto l’intero panorama culturale africano al banale stereotipo del tribalismo che il sistema occidentale ha sempre attribuito a queste popolazioni.

Tuttavia sarebbe ingenuo pensare che la millenaria ricchezza culturale di un continente come l’Africa possa essere condensata nello spazio ridotto di un documentario. Qui si tratta del messaggio e delle intenzioni. Bisognerebbe apprezzare chi pur agendo all’interno del sistema capitalista ne vede i difetti e ipotizza correzioni, per renderlo più equo e inclusivo. Chi sfruttando il proprio potere di coinvolgimento delle masse apre riflessioni collettive, spiragli da cui far passare la luce. E Beyoncé in questo è sempre stata in prima linea.

Black is King propone inoltre una strada da seguire. “Sarebbe un mondo migliore per noi se i re e le regine capissero che [dovrebbero considerarsi] uguali, condividendo gli spazi, le idee, i valori, le forze e le debolezze, compensandosi a vicenda. È così che si fa in Africa”. Una rivendicazione di un modo di essere africano che viene proposto al mondo intero come la via vincente. E così, come nel film il cerchio della vita si chiude (e si apre al contempo) con il sorgere di Simba a nuovo re, così anche la storia dell’umanità, che secondo più esperti è cominciata in Africa, si chiude (ma sarebbe anche un nuovo inizio) con la proposta di una via africana per il bene e la pace del mondo intero.

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