L’Ospedale Psichiatrico di Teramo “Sant’Antonio Abate”, vanta una storia che risale al XIV secolo. Nel corso dei secoli si è evoluto, arrivando ad essere, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, una struttura di eccellenza e un punto di riferimento per la disciplina psichiatrica nazionale e internazionale.
La struttura originaria nacque nel 1323, per iniziativa di un filantropo teramano di nome Bartolomeo Zalfone, il quale mise a disposizione una parte della sua casa, disponendo che fosse adibita al ricovero di bisognosi, malati e pellegrini. Ne affidò la cura al capitolo della cattedrale della città, che se ne occupò per i successivi cinque secoli e più. Nel 1881, il presidente della Congregazione di carità, l’organo che era subentrato alla gestione delle strutture assistenziali dopo il varo della “Legge Rattazzi” del 1862, Berardo Costantini, destinò una sala della struttura al ricovero esclusivo di persone con deficit cognitivo e mentale. Nel tempo questo spazio si ampliò sempre di più e, con la realizzazione del nuovo ospedale civile in un’altra sede, il “Sant’Antonio Abate” divenne un centro per il trattamento dei soli malati psichiatrici, pensato più come luogo di ricovero e custodia che di cura e riabilitazione. Il processo di espansione di quella che dalla fine del XIX secolo divenne spregiativamente nota come la “città dei matti” continuò fino al 1931.
Le centinaia di pazienti che hanno attraversato quei corridoi, e che, in molti casi, vi hanno trascorso una parte cospicua della propria esistenza, hanno sperimentato sulla propria pelle l’isolamento e l’emarginazione sociale. Un particolare rilevante è che una minima parte di coloro che venivano mandati in manicomio oggi sarebbero stati classificati come soggetti affetti da patologie psichiatriche severe: molto più spesso, invece, in mancanza di adeguate conoscenze, ad essere reclusi erano persone con problematiche risolvibili oppure, molto più semplicemente, individui appartenenti a categorie svantaggiate e disprezzate. In tutti questi casi, la “malattia mentale” si ascriveva alla condizione sociale degradante in cui si veniva a trovare una buona parte della popolazione teramana, costretta a fare continuamente i conti con miseria, fame e malattie. In generale, tutte quelle categorie che non rientravano nei canoni del “cittadino da bene”, oltre a persone effettivamente alle prese con deficit cognitivi più o meno marcati.
Personaggi come Raffaele Roscioli, Guido Garbini, Marco Levi Bianchini, eminenti personalità della disciplina psichiatrica, assunsero la direzione del complesso nel corso dei decenni. A loro si deve la progressiva affermazione dell’ospedale come centro d’avanguardia. Furono introdotte migliorie tese a trasformare il centro di ricovero in una vera e propria struttura di cura: documenti nosologici per ciascun paziente, corsi di formazione per il personale, che divenne sempre più qualificato e specializzato, laboratori clinici, una biblioteca e altri aggiornamenti che non solo accrebbero il prestigio della struttura ma consentirono di migliorare sensibilmente la condizione degli internati e di introdurre una prospettiva di reinserimento nella società, grazie alle strutture ricettive e alle officine che vennero realizzate nel complesso allo scopo di valorizzare il percorso riabilitativo attraverso l’ergoterapia.
L’istituzione fu progressivamente smantellata dopo il varo della “Legge Basaglia” del 1978, che riformava il sistema assistenziale e disponeva la chiusura delle vecchie strutture manicomiali. L’ospedale, per via del suo ampio numero di ricoveri, continuò ad operare fino al 1998, anno della definitiva chiusura.
Fin da principio si è posto il pressante problema di tutelare il vasto patrimonio custodito all’interno della struttura ormai in disuso: USL locale, Soprintendenza Archivistica e Università si stanno occupando del lavoro di custodia e catalogazione del patrimonio archivistico. Rimangono tuttavia soggetti al deterioramento la notevole quantità di oggetti e suppellettili ancora custoditi all’interno del complesso, che si è trovato, per lunghi anni, in totale stato di abbandono. La questione del recupero e della rifunzionalizzazione di un complesso storico di così grandi dimensioni (sito all’interno del centro storico della città, peraltro) si è fatta presto largo nel dibattito politico cittadino e regionale.
A partire dal 2015 sono iniziati gli incontri tra gli enti locali per stilare un programma di recupero della struttura: la Regione Abruzzo, nel 2018, ha provveduto a stanziare circa 30 milioni di euro per la messa in sicurezza, il recupero e la rifunzionalizzazione del complesso. In particolare, sono interessati circa 11300 metri quadrati di spazi dell’“ex-manicomio”, di cui ben 3500 destinati a spazi aperti ad uso pubblico. Il complesso di edifici che compone la restante parte dovrebbe accogliere alcuni spazi dell’Università ma anche padiglioni museali, in cui conservare ed esporre il patrimonio materiale dell’ospedale, e locali ad uso dell’amministrazione o disponibili per attività commerciali. Il progetto mira a trasformare quello che è a tutti gli effetti un enorme rudere, portatore di degrado per il quartiere e per tutto il centro storico, in un punto nevralgico per la città, favorendo al contempo un rapporto più stretto con l’istituzione universitaria, che attualmente si trova in una posizione piuttosto periferica rispetto al centro cittadino.
A causa della pandemia di Covid-19 del 2020, tuttavia, i fondi stanziati sono stati dirottati per far fronte all’emergenza sanitaria; pertanto, i lavori preliminari per la messa in sicurezza del complesso, già avviati, sono stati sospesi e tuttora non sono attivi. La riallocazione dei fondi al progetto non è stata finora possibile e, ad oggi, non si può stabilire una data certa entro cui possa finalmente prendere avvio questo progetto di riqualificazione ambizioso e lungimirante che aprirebbe alla cittadinanza le porte di un’istituzione che per tutta la sua storia si è caratterizzata per la sua dimensione “altra” rispetto al resto della città. Una dimensione chiusa, che racchiude al suo interno una storia fatta di emarginazione e disprezzo, finora sconosciuta a gran parte dei teramani.
Per approfondimenti:
https://www.ospedalepsichiatrico.it
In foto: sezione dell’ospedale con l’arco di Porta Melatina (Foto di Fabrizio Primoli/Wikimedia Commons)