Efficacia, efficienza, trasparenza e sviluppo: la “digitalizzazione” di imprese, amministrazioni e della società più in generale è ormai universalmente considerata un elemento chiave ai fini della promozione di un benessere equo e sostenibile; se per molte delle principali potenze europee il processo può definirsi quasi integralmente compiuto, in Italia si viaggia fra luci ed ombre…

La digitalizzazione: vantaggi ed opportunità
In un mondo interconnesso, dove lo scambio di dati sensibili ed informazioni così come d’interazioni fra soggetti di ogni genere e nazionalità è all’ordine del giorno, lo sviluppo tecnologico e digitale ha rappresentato e continua a rappresentare ormai da svariati decenni la risorsa più preziosa su cui poter fare affidamento.

Che la si guardi da un punto di vista imprenditoriale, statale, o semplicemente tramite gli occhi di un comune cittadino, risulta comunque impossibile negare l’impatto radicale dello sviluppo tecnologico sulle nostre vite.                                                                          Sebbene molti dei più comuni e diffusi vantaggi legati alla “rivoluzione digitale” siano facilmente ed intuitivamente percepibili, anche solo basandosi sulle proprie personali e soggettive esperienze di vita, è però solo adottando una prospettiva più oggettiva che possiamo cogliere effettivamente la portata innovativa di questo processo.

Da un punto di vista economico, la digitalizzazione ha avuto effetti indiretti e diretti a dir poco innovativi: sia in termini informativi e comunicativi, sia in termini di risparmio di tempi e costi di gestione.

Per quanto riguarda le imprese ad esempio, la digitalizzazione dei processi aziendali ha permesso comunicazioni, transazioni ed interazioni incredibilmente più rapide non solo fra gli stessi operatori economici coinvolti, ma anche con riguardo al rapporto con il consumatore; per non parlare poi dei benefici ottenuti in termini di “mercato”.

L’analisi di dati informatici e l’utilizzo di strumenti e tecnologie digitali permette infatti un più efficace controllo della produttività, riduce costi intermedi spesso superflui, aumenta il grado di monitoraggio dell’attività svolta e stimola politiche aziendali più trasparenti, efficaci e strategiche rispetto alle esigenze via via più riscontrabili.

Spostandoci su un piano individuale invece, i vantaggi e le opportunità introdotte dal processo di digitalizzazione sono sicuramente più diffusi e “flessibili” a seconda delle proprie personali prerogative: in generale però, anche qui a beneficiarne sono in particolare la rapidità delle interazioni e delle comunicazioni insieme alla sensibile riduzione di asimmetrie informative, spesso inevitabilmente presenti nei rapporti con altri soggetti pubblici o privati che siano.La digitalizzazione in Italia: un percorso lungo e travagliato

Adottando invece una prospettiva superindividuale, tipicamente quella statale, lo sviluppo tecnologico e digitale ha avuto il merito di “svecchiare” il rapporto con la “cosa pubblica”.  La digitalizzazione della pubblica amministrazione infatti si lega direttamente all’attività della stessa: oggi più rapida, snella e differenziata di quanto non lo fosse mai stata (fermo restando le differenze vigenti tra i diversi paesi).

Se per alcuni versi molti dei vantaggi qui riscontrabili sono gli stessi già evidenziati con riferimento all’aspetto impresario ed individuale, una menzione speciale la meritano la gestione di pratiche individuali e servizi pubblici, la formulazione di opere e piani programmatici nonché i sistemi di monitoraggio: i primi più vicini e soddisfacenti (burocrazia permettendo) per tempi e modalità rispetto alle esigenze dei cittadini; i secondi più completi, solidi e verosimili grazie all’afflusso eterogeneo di dati raccolti; gli ultimi più proporzionali, meno invasivi ma spesso più efficaci e tempestivi.

L’Italia e la digitalizzazione: dalle amministrazioni ai cittadini passando per le imprese
Come spesso accade per i processi strutturali, quali ad esempio quello della digitalizzazione, spesso sono richiesti tempi e modalità d’azione piuttosto lunghi e progressivi prima di arrivare all’ effettiva realizzazione.

Quella della “digitalizzazione” fu una via intrapresa durante i primi anni ’90, con l’obiettivo di rispondere all’esigenza di svecchiamento della macchina amministrativa e del miglioramento della stessa in termini di efficienza, trasparenza e produttività.

Il processo di digitalizzazione rientrava poi tra l’altro negli obiettivi di maggior interesse perseguiti dall’Unione Europea, la quale più volte aveva esortato i propri paesi membri a perseguire una riforma tanto innovativa quanto complicata.                                  L’obiettivo era duplice, sia economico che sociale: promuovere la competitività europea nel settore delle nuove tecnologie informatiche e digitale; sostenere il progresso economico e sociale comune attraverso la creazione di lavoro e il rafforzamento della coesione sociale.

Il processo di digitalizzazione riguardò quindi in prima battuta le pubbliche amministrazioni di ogni livello, anche virtù di quello che sarebbe stato di lì a pochi anni il processo di decentramento amministrativo, ovvero la riforma del Titolo V della Costituzione.
L’obiettivo primario era quello di creare “organizzazioni” aperte e trasparenti, capaci di gestire dati, documenti e procedimenti esclusivamente in modalità informatica: lo svecchiamento della macchina amministrativa si sarebbe poi compiuto attraverso l’offerta, a cittadini e imprese, di servizi integrati e non più frammentati secondo le competenze dei singoli enti di governo.

Nei primi anni di attuazione del progetto, apparve quasi immediatamente necessario cercare di coinvolgere oltre alle diverse amministrazioni, anche l’intero tessuto imprenditoriale insieme a cittadini di ogni luogo e professione: nonostante le ingenti risorse messe a disposizione negli anni e le innumerevoli strategie seguite però, il passaggio alla digitalizzazione avvenne con non poco ritardo, senza contare le pesanti disuguaglianze registrate sia in termini “interni” sia con riguardo agli altri partner europei.

Durante i primi 15 anni d’attuazione del progetto, iniziato all’incirca nel 1993, il processo di rinnovamento digitale risultò non poco penalizzato da una comune diffidenza generale, sia da parte di imprese che di cittadini: le prime non colsero nell’immediato le opportunità che si sarebbero poi aperte di lì a poco; i secondi non possedevano spesso abilità digitali, tecnologiche o telematiche tali da poter sfruttare a pieno gli strumenti messi a disposizione.

La situazione attuale: fra accelerazioni e rincorse
Nonostante siano ormai passati quasi trent’anni dai primi interventi normativi e attuativi della così detta “rivoluzione digitale”, il processo è ancora lungi dall’essere concluso.

Di miglioramenti ce ne sono stati, indubbiamente: il potenziamento della rete internet in tutto il territorio nazionale, un aumento generale delle competenze digitali di base nella popolazione, nuovi strumenti quali la “P.E.C.” e la fatturazione elettronica, fino ad arrivare a progetti più recenti e strutturali quali “S.P.I.D.”, “C.I.E.”, “PagoPA”; ma il gap con gli altri paesi europei è ancora molto amplio.

Secondo i dati ufficiali del “DESI”, ovvero un indice composito che fornisce informazioni sullo stato di digitalizzazione dei paesi membri sulla base di dati aggregati, l’Italia si trova attualmente al ventesimo posto, in leggera risalita dal venticinquesimo posto dell’edizione precedente ma comunque sensibilmente indietro rispetto a paesi come Francia, Germania, Spagna o Svezia.La digitalizzazione in Italia: un percorso lungo e travagliato

Le problematiche maggiori riguardano inevitabilmente fattispecie per molti versi storicamente critiche del nostro paese, come ad esempio il divario fra nord e sud o la generale “resistenza al progresso”, soprattutto se connesso a pratiche, prassi ed operazioni legate a metodi tradizionali ormai radicati e ampliamenti diffusi.

La situazione appare in un certo senso paradossale: se infatti in origine a pesare era la mancanza di “infrastrutture digitali” più moderne e affidabili, oggi il problema è rappresentato principalmente dalla mancanza di figure professionali specializzate nel settore, così come da una lacunosa formazione digitale e tecnologica di base, che spesso tramuta proprio lo stesso progresso digitale da preziosa risorsa ad ostacolo insormontabile.

Gli ultimi interventi governativi vanno infatti nella direzione di un netto potenziamento della formazione digitale e tecnologica personale, attraverso la previsione di nuovi e più completi percorsi di formazione digitale, spesso legati a progetti di inserimento lavorativo con imprese e partners aderenti, mirati in definitiva a fornire competenze settoriali piuttosto elevate e specifiche.

Dopo aver superato la “prima fase”, rappresentata dalla creazione e diffusione di infrastrutture digitali più “solide” e moderne, ed essere passati per “la seconda fase”, quella della progressiva integrazione della tecnologia digitale con i vari ambiti della società, l’Italia si appresta ad affrontare la “terza fase”: ovvero la creazione e la formazione di nuove e più vecchie figure professionali, capaci di gestire e regolare fenomeni e processi digitali con amplia versatilità, contribuendo così a diffondere una nuova e più completa “cultura digitale”.

Sviluppo digitale e PNRR: il piano di “Italia digitale 2026”
Nonostante i recenti sviluppi pandemici, la “corsa alla digitalizzazione” sembra continuare senza particolari problematiche in tutti i paesi europei, Italia inclusa.

A conferma dell’importanza rivestita da questo particolare “processo”, tanto strategico quanto innovativo, troviamo tra l’altro le ingenti risorse stanziate dall’Unione Europea nell’ambito del così detto “Next Generation E.U.”                                                            In Italia, per quanto riguarda il “Piano Nazionale di ripresa e resilienza”, si è stabilito che circa il 27% delle risorse totali vengano dedicate e investite nella transizione digitale.

L’afflusso di nuove e più ingenti risorse ha poi permesso di rivisitare il piano di “Italia Digitale”, aggiungendo nuovi e più ambiziosi obiettivi da perseguire e realizzare entro il 2026.                                                                                                                          Tra la generalità delle disposizioni contenute nel piano, cinque sono gli aspetti su cui sembra si voglia intervenire con maggiore impatto e tempestività: connettività, servizi, competenze, cloud e cittadinanza digitale.

Gli investimenti pensati dal “Piano Italia del 2026” hanno come traguardo principale quello di mettere l’Italia nel gruppo di testa in Europa nel 2026: al fine di realizzare un obiettivo tanto ambizioso quanto arduo, si è deciso di concentrarsi in particolare su alcune fattispecie specifiche.La digitalizzazione in Italia: un percorso lungo e travagliato

In primo luogo, è necessario diffondere l’identità digitale, assicurando che venga utilizzata dal 70% della popolazione.                                                                                        Altro obiettivo primario è quello di colmare il gap relativo alle competenze digitali, arrivando a circa il 70% della popolazione digitalmente abile e portando circa il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi in cloud.                                                                        Importante è poi assicurare che almeno l’80% dei servizi pubblici essenziali vengano erogati online, così come raggiungere, in collaborazione con il Mise, il 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra-larga.

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